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.Luce.
view post Posted on 22/4/2023, 15:34 by: .Luce.     +2   +1   -1
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Professore della Girella

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GIUSTIZIA INTERSTELLARE

1_13

Nella grande sala di fronte a Re Vega erano presenti Gandal e Zuril: questi ultimi due erano in forte apprensione.
"Si può sapere quando è iniziata questa storia? Perchè non mi avete detto niente?" tuonò il sovrano facendo tremare i vetri.
Si fece avanti Gandal.
"Veramente Sire, non pensavamo che la cosa raggiungesse un tale dramma, ed eravamo convinti che tutto si potesse risolvere facilmente."
"A quanto pare no!"
"Ma noi veramente... dovete riconoscere che questo è un epilogo imprevedibile."
"Basta, siete i soliti imbecilli!"
Zuril era uscito un momento e rientrò con un voluminoso pacco di dispense.
"Ecco Maestà, intanto qualcosa possiamo fare, in questi fogli ci sono i risultati delle ricerche di un staff di professionisti, un trattamento in via sperimentale, ma penso si possa tentare."

Il dramma era cominciato neanche un mese prima, quando Hydargos aveva scagliato l'ennesimo attacco alla Terra con un nuovo disco. Era sicuro di riuscire a disintegrare Goldrake, in quanto aveva messo un esplosivo nella testa del mostro che lui al momento giusto avrebbe fatto scattare distruggendo così l'avversario.
Al momento di premere il tasto per avviare l'esplosione, di fatto era andato in fumo il suo robot, lasciando illeso il suo acerrimo nemico.
Solita sfilza di improperi dai suoi superiori, risatine ironiche, minaccia di toglierlo dall'incarico, insomma ordinaria amministrazione.
Questa volta però Hydargos l'aveva presa peggio del solito, il suo umore era sottoterra e non sopportava più uno sguardo nè una battuta.
Aveva visto di sfuggita sulla sua scrivania alcuni volantini con la scritta "Notti di primavera": leggendo meglio vide che si trattava di una sagra della durata di una settimana nelle piazze del pianeta Dabih.
C'erano canti, balli, piatti tipici locali, spettacoli, il tutto in un pacchetto molto conveniente.
Lo guardò a lungo pensieroso, poi si decise a partire: aveva un mucchio di ferie arretrate e si meritava un pò di divertimento lontano da superiori insensibili, troppo esigenti, spocchiosi e che non ti scusavano il benchè minimo errore.
Salutò tutti in fretta e furia e la sera stessa era già arrivato a destinazione.

Si sentì subito a suo agio in quel luogo di gente socievole e simpatica, quindi, dopo aver lasciato il suo bagaglio all'albergo e una doccia veloce, si avviò verso la piazza dove si svolgeva la festa.
Era in fila col suo numero di prenotazione per avere un piatto misto locale, quando davanti a sé vide scendere una sciarpa fluttuante di seta e, prima che si posasse al suolo la raccolse, si guardò in giro per restituirla al legittimo proprietario e davanti ai suoi occhi comparve la creatura più affascinante che avesse mai visto.
"E' sua, signora?"
"Sì, grazie: piacere, mi chiamo Luna."
Dopo le reciproche presentazioni decisero di cenare assieme, passarono una piacevole serata e una magnifica nottata.

Luna era nata nel pianeta Dabih, ma aveva studiato e viaggiato molto in tanti pianeti sparsi nello spazio.
Intelligente e avvenente, aveva un fascino particolare e misterioso: intenso ma discreto.
Possedeva una lunga chioma blu notte che lei illuminava con mèches di tutte le sfumature del suo colore di base: azzurro chiarissimo, azzurro cielo, turchese, cobalto, il tutto arricchito con minuscole stelline di strass sparse qua e là. Occhi azzurro mare, labbra carnose e incarnato di alabastro. Figura flessuosa e aggraziata. Insomma, uno schianto.
Neanche a dirlo che in meno di dodici ore Hydargos era pazzo di lei.

Era quel tipo di donna che affascinava gli uomini senza sforzo alcuno, e il tutto avveniva senza bisogno di tante parole; chiaramente erano al suo livello, facoltosi, colti, intelligenti e di larghe vedute. La storia cominciava senza che nessuno dei due lo decidesse, bastava uno sguardo di intesa e allo stesso modo finiva: poteva durare settimane o mesi, non aveva mai avuto contatto con uomini gelosi, ossessivi, invadenti, esaltati o perversi.
Per tutti questi motivi, il mattino dopo aver passato la notte con quell'alieno, Luna rimase a lungo pensierosa su come aveva fatto a non capire subito che quello non era certo il suo tipo di uomo. Era semplicemente sgradevole in tutto e per tutto; modi rozzi, voce sgarbata, mani troppo grandi, volgari e invadenti che le aveva posato addosso senza risparmio nè sensibilità alcuna. Si sentiva disgustata di quell'incontro e non riusciva cancellare il ricordo di quell'essere e l'odore terribile di alcol e birra, misto a un dopobarba sicuramente primo prezzo con data scaduta; quanto a capacità amatorie, a voler essere di manica larga, ne poteva uscire con un appena sufficiente.
Alla fine, si disse che nulla la legava a lui, le aveva detto che la sua vacanza era di pochi giorni, bastava evitare altri appuntamenti. Rimase a lungo sotto il getto della doccia per togliere ogni residuo di stanchezza e soprattutto le tracce di quella notte da dimenticare.

Ma aveva fatto i conti senza l'oste, perchè Hydargos da parte sua, era al settimo cielo.
Per la prima volta nella vita si sentiva attraente, desiderabile, convinto di aver trovato il grande amore della sua vita e anche indifferente alle offese dei superiori, sì, perchè di sicuro erano invidiosi di lui, visto il suo improvviso e inaspettato successo amoroso con una donna che nessun veghiano si era mai immaginato nemmeno nei suoi sogni più audaci.
Era pieno di energia, faceva progetti, domande e risposte per conto suo. Di buon mattino era andato per le vie del paese facendo compere di vario genere, prodotti locali, regali per la sua amata, poi era corso a telefonarle per programmare la giornata.

Luna si stava appena finendo di vestire quando squillò il telefono.
"Buongiorno bellissima, come va? Senti già la mia mancanza vero? Se ci vediamo tra un quarto d'ora, è troppo tardi per te? Non vedi l'ora di rifare quello che abbiamo interrotto stanotte vero?
Ricominciamo subito, stà tranquilla."
Parlava forte, rideva da solo, non aspettava le sue risposte e chiuse la comunicazione con un:
"Aprimi, sono già da te."
Luna rimase parecchi secondi sbigottita col telefono in mano incapace di muoversi.
Com'era possibile? Ma chi era quell'essere e da dove proveniva?
Glielo aveva detto la sera prima... le sembrava... Vega... sì aveva detto pianeta Vega... ma adesso cosa voleva, era impazzito? Che fosse un tipo pericoloso?
Decise allora di non farsi trovare, uscì di casa velocemente senza lasciare tracce.

Quando Hydargos non trovò la sua amata ad aprirgli la porta, lungi dal pensare ad un rifiuto, si esaltò molto credendo lei volesse farsi desiderare, una ritrosia istintiva associata a timore di quella forte sensualità che lui le aveva svegliato, ormai convinto di essere un grande seduttore esperto e ricercato.
La incontrò casualmente nel tardo pomeriggio nei pressi di un bar e prima che lei se ne rendesse conto, lui l'aveva già agguantata per un braccio, trascinata dentro il locale, parlandole senza sosta di notti di fuoco a venire, matrimonio entro l'estate, progetti assurdi e senza interpellarla.
Contemporaneamente, si serviva da solo da bere da bottiglie prese in ordine sparso.
Superato il primo attimo di shock, Luna dovette convenire di trovarsi di fronte a un esaltato un po’ pazzo, ma innocuo e decise di liberarsene con un atto inequivocabile.

Alcuni mesi prima, aveva conosciuto e frequentato per pochi giorni un giovane brillante e attraente; lui si era dovuto assentare per lavoro, poi era tornato e l'aveva contattata il giorno stesso e le aveva chiesto se era disposta a riprendere i loro incontri.
Molto lusingata lei aveva accettato e gli aveva dato appuntamento a casa sua per la sera; lo stesso appuntamento aveva dato a Hydargos un quarto d'ora dopo.
Quando Ron era entrato nella sua stanza, lei aveva fatto in modo di sedurlo immediatamente: lui non se l'era fatto ripetere due volte, così quando l'alieno entra entrato, aveva capito tutto subito anche se non era certo un'aquila.
Davanti alla scena dei due abbracciati e quasi senza vestiti, Hydargos vide scarlatto: senza pensarci su prese dalla tasca l'arma e sparò verso l'uomo ferendolo di striscio ad un braccio.
Dalla finestra aperta la gente vide un gran trambusto e chiamò la polizia, la quale non si fece attendere.
Hydargos venne portato al Comando dove gli fecero alcune domande, presero le impronte digitali, prelievo ematico, registrarono tutti i suoi dati, e gli dissero alla fine di tornare difilato nel suo pianeta in attesa del processo; gli avevano applicato un dispositivo invisibile e indelebile che, in caso di fuga, l'avrebbero trovato anche in capo all'universo.

Quando era tornato su Vega, con molta fatica aveva raccontato a Gandal la sua brutta avventura, in seguito avevano coinvolto anche Zuril. Alla fine, avevano dovuto confessare la verità al loro Sovrano, anche perchè Hydargos dava segni di forte squilibrio.
Stava malissimo per la fine della sua storia amorosa sulla quale aveva investito il suo futuro, alternava momenti di ira assoluta contro Luna, ad altri che la scusava e ne aveva nostalgia, non sapeva niente della sua posizione legale, perchè in quel pianeta le leggi erano molto confuse.
Avevano delegato la faccenda ad uno Studio di Avvocati, i quali si erano recati di persona sul pianeta Dabih, ma erano tornati con notizie scarne e confuse.
L'unica notizia certa era che, siccome l'estate era imminente, tutti i nuovi processi sarebbero iniziati solo a settembre inoltrato, però non avevano capito che tipo di condanna avrebbero applicato in un caso come questo.
In Cancelleria davano poche e vaghe notizie e da veri strozzini, per ogni parola che concedevano erano biglietti di banca che se ne andavano.
Dal Comando di Polizia avevano ritirato i risultati del prelievo ematico, nel quale era emersa qualche traccia di sangue nell'alcol; non capivano però se questa fosse una prova a favore dell'imputato, dato che aveva sparato in stato alterato, o l'esatto contrario.

Alla fine Vega si era spazientito dandogli degli incapaci, i Principi del Foro se ne erano andati offesissimi, lasciando però una parcella salatissima ai loro incontentabili e volubili clienti.

Hydargos era tenuto continuamente sedato con una flebo, dentro la quale era stato miscelato di tutto: ansiolitici, antidepressivi, antiomicidi, antisuicidi, prodotti omeopatici, fitoterapici, collaudati e sperimentali, nonostante ciò faceva temere per la sua salute.
Con questo grave inconveniente erano in ritardo col programmare gli attacchi contro la Terra, quasi al verde e non vedevano soluzioni immediate.
"Zuril! Vieni subito qui."
"Eccomi Maestà."
"Spiegami il contenuto di quelle dispense, cosa significa?"
"Ecco Sire, mi sono permesso di consultarmi con un pool di specialisti, comprendenti il medico di base, un neurologo, uno psichiatra, i quali hanno appena messo a punto in via di sperimentazione questo sistema: perchè Hydargos si adatti alla sua situazione, è necessario mandarlo in un luogo verde, senza rumori, senza traffico, con la raccomandazione di riposare, svagarsi, prendere regolarmente le medicine, ascoltare musica, leggere, guardare dei film, ammirare il panorama. All'interno di queste gradevoli attività, vanno inseriti dei messaggi nascosti ma non troppo, che gli ricordino il suo stato e glielo facciano accettare poco alla volta.
Direi una sorta di messaggi subliminali, però più espliciti."
Re Vega pensò a lungo, non era molto convinto, anche se al momento idee migliori non si prospettavano, però il grosso problema era trovare il luogo indicato: il loro pianeta non aveva nessuna di queste caratteristiche, la base lunare nemmeno.
Passò mentalmente in rassegna tutte le sue invasioni, ma gli atti vandalici erano stati estremi.
Provò a contattare sua figlia Rubina, la quale dopo un bel pezzo gli rispose seccata di lasciarla stare, in quanto impegnatissima in un genocidio dalle proporzioni mai viste prima e lo liquidò con un:
"Arrangiati e vedi di non scocciarmi più per queste sciocchezze."
Forse per la prima volta il Sovrano si pentì della sua ferocia, pensò a lungo, poi prese una decisione un'ora prima assolutamente impensabile.


Di buon mattino, il Dottor Procton entrò come sempre al Centro Ricerche Spaziali: da un po’ di tempo non c'erano minacce da parte dei veghiani e si chiese preoccupato il significato di questo prolungato silenzio.
Accese quindi il monitor per controllare e l'immagine che si materializzò davanti agli occhi lo fece indietreggiare di alcuni metri per lo shock.
Obiettivamente, la figura di Re Vega non era mai gradevole, tantomeno se appariva all'improvviso e ingrandita rispetto all'originale.
Stranamente non aveva un'espressione minacciosa, quindi Procton si fece coraggio, mentre sperava si calmassero i battiti accellerati del cuore e attenuasse il fastidioso senso di acidità che lo spavento gli aveva procurato.
Poichè il Sovrano non si decideva a parlare, fu il dottore a rivolgergli la parola:
"Buongiorno... a cosa... a cosa devo… questa sua visita inaspettata?"
Con un certo imbarazzo e prendendo l'argomento alla lontana, Vega gli chiese il favore di cui aveva bisogno in quel momento e aggiunse che, per tutta la durata del soggiorno di Hydargos presso la Terra, non ci sarebbe mai stata nessuna minaccia da parte loro e nemmeno l'ombra del più piccolo minidisco.
Procton stette alcuni minuti pensieroso, poi disse:
"Prima di darle una risposta devo parlarne con gli altri, risentiamoci tra alcune ore."
Mandò quindi a chiamare subito Actarus e Alcor assieme a tutti i collaboratori, e alla fine decisero parere favorevole.


Il sole era già alto nel cielo quando Hydargos appena sveglio spalancò la finestra che dava un'ampia visione panoramica di tutto il ranch Makiba.
Erano i primi di giugno, Mizar aveva appena iniziato le vacanze estive e correva nel vento con un nuovo aquilone.
Rigel era come sempre appostato sull'alta torre avvista-ufo, più in là Venusia si apprestava con tenacia a mungere tutte le capre.
Alcor stava lucidando il suo TFO, mentre Actarus metteva la sella al cavallo per portare le mandrie al pascolo.
Rientrò nella camera e diede un'occhiata al programma giornaliero che doveva seguire: appena alzato alcune gocce di ansiolitico, poi della buona musica, a metà mattina mezza compressa di antidepressivo, letture che gli avevano procurato, nessuna ansia, pensare solo a cose piacevoli.
Vide sopra al tavolo un CD con scritto: canzoni miste, quindi accese l'apparecchio per ascoltarlo: iniziò una melodia per lui sconosciuta, ma piacevole, dal titolo “Tanta voglia di lei.”
Dopo alcuni minuti, Hydargos avvertì un vago senso di disagio misto ad apprensione, tuttavia le parole della canzone gli sfuggivano e con esse il senso.
Ne seguirono altre, come: “La ballata di Michè”, “Don Raffaè”. Qui cominciò a sudare in modo copioso, il disagio aumentò fino a sfociare in panico totale nella canzone “La ballata dell'amore cieco”.
In questi ultimi brani era impossibile equivocare, le parole non davano scampo a dubbi, sono scandite in modo chiaro e il suo duplice dramma gli si palesò davanti agli occhi e la mente: cominciò a tempestare di pugni il registratore nel tentativo di spegnerlo, ma poichè non ci riusciva, staccò con violenza la presa elettrica strappando con essa anche buona parte del muro e dell'intonaco. Preso dal panico, si attaccò al flacone delle gocce svuotandolo in un fiato.
Rimase accasciato sulla poltrona per venti minuti buoni e, mentre cercava di calmarsi, il suo sguardo fu catturato da alcuni volumi sparsi sul comodino.

Avevano un aspetto innocuo e invitante, ne prese uno a caso: “La nausea”, e cominciò a leggere i primi capitoli. Angoscia e depressione lo invasero gradatamente e costantemente man mano che proseguiva la lettura, così il libro scivolò a terra assieme al suo umore.
Deciso a non arrendersi per così poco, ne scorse altri: “Avevano spento anche la luna”, “Il Processo”... ma gli bastò leggere la trama per abbandonarli subito.
Col fazzoletto si asciugò le gocce di sudore che scendevano senza tregua, si affacciò alla finestra per respirare e ammirare il panorama; tutti sembravano allegri, senza pensieri, ma come facevano?
Rientrò e si decise a cercare qualcosa che gli facesse dimenticare quelle musiche e letture dal significato minaccioso. Poco lontano notò un piccolo volume in disparte, ne scorse il titolo: “Gabriella garofano e cannella.”
Gli parve innocuo, forse poteva arrischiarsi a leggere qualche pagina: per due volte allungò la mano, poi la ritrasse quasi fosse un oggetto incandescente.
Si fece coraggio e, dopo alcuni brani, si lasciò trascinare dal piacevole racconto in mezzo alle piantagioni di cacao, i fazendeiros, l'arabo Nacib proprietario del bar Vesuvio rimasto senza cuoca, le sedute spiritiche di donna Arminda, il presepe perenne nella casa delle sorelle Dos Reis, finchè la lettura lo avvinse e l'umore migliorò decisamente.
Il suo animo si era appena calmato, quando con la velocità del fulmine s'imbattè nel momento in cui il fazendeiro Jesuino Mendonca sparava due colpi sicuri e mortali alla moglie Sinhazina colta in flagrante adulterio con il dentista Osmundo Pimentel.
Hydargos sobbalzò all'improvviso, ma si decise di continuare la lettura, rincuorato dal fatto che in questi casi il processo era solo una formalità: l'onore offeso si lavava col sangue, poi si disse che lui non aveva ucciso, aveva sì sparato, perchè un vero uomo così faceva, ma non era un criminale.
Con rinnovato interesse proseguì tranquillo, fino ad arrivare al capitolo “Delle calze nere.” Il suo cuore accellerò i battiti in modo preoccupante, mentre orrende visioni gli comparivano davanti di calze nere fluttuanti per tutta la stanza soffocandolo sotto parvenza di corvacci neri.
Durante la notte che aveva passato con Luna, aveva subito notato che la sua camera era piena di calze nere di tutti i tipi: velate, coprenti, a rete, compressione graduata, ed erano appese in diversi punti della stanza, formando un gradevole movimento scenografico, complice la brezza notturna primaverile che passava dalla finestra aperta.
Dal panico Hydargos balzò sopra al tavolo, teneva i palmi delle mani appoggiati al muro terrorizzato, alla fine uscì dalla stanza correndo giù per le scale, giusto in tempo per incrociare Rigel che lo apostrofò con un allegro: "Tutti a tavola! Si mangia!"
Avevano apparecchiato fuori, visto il bel tempo e la temperatura gradevole; clima allegro e conviviale, ma con un pasto molto spartano, che consisteva in riso condito con appena con qualche pezzetto di verdura e da bere una grande caraffa d'acqua, dentro la quale era disperso un dito di vino insipido.

Dopo pranzo, Hydargos si sentiva inquieto e tutto scombussolato, decise quindi di andare a riposare e nel dormiveglia ebbe visioni allucinanti: si vide in carcere sul pianeta Dabih, Luna andava a trovarlo portandogli non le solite arance, ma una variegata macedonia, lo faceva fuggire di nascosto, scappavano insieme, poi lui veniva ripreso, i veghiani gli davano dell'incapace e non facevano niente per lui, calze nere che fluttuavano soffocandolo, sentiva dei sudori freddi dappertutto, caldo e freddo insieme, frasi e parole sconclusionate gli bombardavano nel cervello.
In preda alla disperazione corse fuori senza sapere dove; arrivò in cucina, giusto in tempo per incrociare Actarus che si stava preparando un caffè doppio.
Passò velocemente nel soggiorno con l'intenzione di dare un'occhiata al contenuto di alcuni DVD.
Ne scorse due titoli: “Le relazioni pericolose”, “Revenge.”
"Nooo!!! E' una persecuzione" e li scagliò lontano, comunque deciso ad accendere la televisione, dove almeno uno straccio di telegiornale o documentario dovevano pur esserci.
Era l'orario degli spettacoli artistici: l'opera lirica che trasmettevano volgeva quasi al termine. Trasmettevano “Madama Butterfly” e capitò nell'esatto istante in cui Cio-Cio-San faceva harakiri.
Con gli occhi fuori dalle orbite, Hydargos lanciò il telecomando verso il televisore e in preda al delirio uscì nel cortile correndo, giusto in tempo per cadere sopra la vasta pozzanghera creatasi dal copioso bucato del lunedì.


Contemporaneamente, nel pianeta Dabih erano accadute molte cose: Ron, il compagno di Luna, quando aveva saputo che lei aveva architettato quella messinscena in cui lui avrebbe potuto lasciarci la pelle, era rimasto molto male e la loro relazione si era praticamente interrotta insieme ad un lungo viaggio che stavano progettando percorrendo la Via Lattea in sopralluogo di pianeti semisconosciuti.
Del resto lui, anche se non era mai stato in pericolo di vita, doveva affrontare una lunga riabilitazione, dato che lo sparo gli aveva lacerato il muscolo.
Luna da parte sua stava malissimo per quel disastroso e pur breve incontro e alla fine aveva preso una decisione drastica.
Sapeva che nel suo Paese la giustizia era il luogo dove troneggiavano i sette vizi capitali all'ennesima potenza, sotto parvenza di uffici asettici e formali.
Senza sforzo alcuno aveva sedotto uno ad uno gli addetti della sezione penale del Tribunale - nonchè postribolo d'infima categoria – così, prima delle ferie, con un processo a porte chiuse, in fretta e furia avevano condannato Hydargos all'ergastolo, in cella di isolamento e lavori forzati.

Il veghiano si alzò a fatica, sporco di fango e di erba che gli si era appiccicata addosso, quando portando lo sguardo verso l'alto, vide qualcosa scendere dal cielo.
Sembrava un'astronave e, appena atterrata, scese una figura a lui in qualche modo familiare; si avvicinò con cautela, la figura gli stava allungando le braccia verso di lui, si avvicinò di più e la riconobbe.
"LUNA!"
"Caro, sono proprio io, sono venuta a prenderti!"
"Davvero? E per quanto staremo insieme?"
"Per sempre, sì, per sempre."
Hydargos le corse incontro, non la ricordava tanto bella e innocente, sì innocente, ecco, lei non aveva colpa alcuna, senza dubbio quel tipo voleva usarle violenza, lei non era stata capace di difendersi, finchè non era arrivato lui. Fece un lungo respiro e si sentì pieno di orgoglio maschile, perchè l'aveva difesa, sì, l'aveva difesa, visto che un vero uomo non è un vigliacco e lei lo amava di sicuro, al punto che doveva aver messo a soqquadro l'universo per riuscire a trovarlo in quel posto lontano, sperduto e isolato.
La prese tra le braccia, lei gli sorrise felice ignorando l'erba e il fango, salirono sul velivolo e partirono in gran fretta.

Dalla Terra tutti guardarono finchè l'astronave diventò un puntino invisibile nel cielo; Procton, Actarus e Alcor si scambiarono un lungo ed eloquente sguardo.
La tregua era finita, presto i veghiani avrebbero ripreso in modo massiccio i loro attacchi e bisognava essere pronti. Quindi, tutti e tre si avviarono lentamente e silenziosamente verso il Centro di Ricerche Spaziali.


FINE
 
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113 replies since 20/4/2016, 12:44   1873 views
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