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.Luce.
view post Posted on 22/4/2023, 16:06 by: .Luce.     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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SENSI DI COLPA:
A CIASCUNO IL SUO


1_249

“Io... io mi sento in colpa da morire, non ce la faccio più!” mormorò Rubina con gli occhi arrossati e gonfi di pianto.
Da un quarto d'ora si trovava nello studio del padre, ed era accasciata nella poltrona di fronte a lui: a mò di barriera tra i due, c'era la scrivania piena di fogli ordinati raffiguranti le bozze di alcuni nuovi mostri.
Il suo arrivo era stato inaspettato: aveva parcheggiato la Quenn Panther in silenzio e nessuno, tranne Zuril l'aveva notata. Era entrata alla base camminando piano con gli occhi fissi a terra: niente a che vedere col suo passo spedito, altero e sicuro che da sempre la distingueva.
Re Vega era davvero sconcertato. Non aveva mai visto la figlia in quello stato, né durante l'infanzia e l'adolescenza, ma la cosa che lo preoccupava maggiormente era che lei non si decideva a parlare, non faceva che piangere e ripetere di essere più o meno un fallimento, un'incapace, un essere abietto; tutta la sua autostima sembrava piombata dentro un baratro senza fondo.
Provò allora ad indovinare mentre osservava la ragazza che consumava interi pacchi di fazzoletti di carta e una volta usati li appallottolava e gettava a terra. Le prese la mano dicendole piano con voce gentile: “Se ti senti così perchè l'altro giorno hai risposto male a Zuril buttandogli giù il telefono senza salutarlo, non pensarci più, si è già ripreso, anzi adesso lavora che è un piacere, ha fatto una cura ricostituente che gli ha davvero giovato, sai...”
“Non è quello a provarmi dei rimorsi, assolutamente no!” si agitò la ragazza.
“Avevo già dimenticato l'episodio, oltre al fatto che gli ho dato anche del viscido maiale, non mi faccio certo dei patemi nemmeno sul fatto che prima gli ho chiuso di proposito il piede dentro la porta, figurati!” aggiunse muovendo la mano con un gesto infastidito quasi stesse scacciando un insetto.
I toni della sua voce erano bassi, monotoni, incolori, senza espressione, né partecipazione.
“Sì, però Rubina, ti vorrei pregare di lasciarlo lavorare in pace adesso, perchè vedi, anche ci sono stati dei brutti momenti nei mesi passati e come ben sai, sono stato davvero ad un passo per eliminarlo, devo però riconoscere che è un genio, oserei dire che è insostituibile, per cui ignoralo, lascia correre, come non esistesse...”
“Capisci o non capisci che non mi interessa niente, niente di niente, mi senti quando parlo??!”
La principessa si era alzata dalla poltrona in preda alla disperazione con le mani tra i capelli. Adesso non mostrava rimorsi, ma rabbia nel non sentirsi capita: la sua voce era alta, e quasi isterica, poi si buttò nella poltrona sfinita, depressa e spenta come prima.
“Calmati, siediti e parliamo, aspetta”. Premette un pulsante, e dal muro uscì un vassoio con una tazza fumante, mentre lui distrattamente si versava un goccio di vermuth.
“Ecco, bevi questa tisana calmante, asciugati gli occhi, poi dimmi tutto ciò che ti fa così soffrire. Perchè dici di essere un mostro, una buona a nulla, prima hai accennato che non saresti mai voluta essere nata, ma come? Io sto male a vederti così, mi fai sentire un padre che non vale niente, mi chiedo in cosa ho mancato con te. Lo so, non hai più la mamma da quando eri piccolina, hai avuto poche amiche, pochi svaghi, ma sei giovane, bella, colta, intelligente e con tutta la vita davanti. Cosa ti manca?”
Re Vega parlava alla figlia con tono accorato e modi pacati, avrebbe dato tutto pur di vederla di nuovo felice; quando gli sembrava di perdere la pazienza di fronte al tergiversare di lei, si pentiva subito e un'ondata di compassione lo invadeva da capo a piedi. In quel momento sentiva di amarla tantissimo, mai come in quel momento l'aveva sentita sua e desiderava solo il suo bene e la sua gioia.
Il fatto grave era che lui si sentiva totalmente spiazzato e impreparato: un cataclisma, un’esplosione di vegatron, la notizia di un’insurrezione degli abitanti di Rubi con la figlia gravemente coinvolta, non lo avrebbero meravigliato di più.
La ragazza aveva gli occhi e il viso arrossati dal pianto, il naso gonfio, mentre singhiozzi involontari e inarrestabili le squassavano il petto facendola tremare. Provò a parlare senza riuscirci, le frasi uscivano rotte e incomprensibili, aveva un tremito convulso, poi una nuova crisi di pianto interminabile tornava a sconvolgerla.
Passarono così altri dieci minuti, intanto il sovrano passava mentalmente in rassegna con terrore, le malattie di tutti i suoi antenati e quella della moglie. C'erano stati casi di pazzia in famiglia? Disturbi bipolari, maniacali, ossessivi, schizofrenia, tentativi di suicidio, depressione cronica?
Non gli sembrava, rifletteva alternando lo stato d’animo tra il terrore e il sollievo, quindi cosa c'era? Bisognava che Rubina si decidesse a parlare una buona volta, accidenti, era pur sempre suo padre, se non si fidava di lui di chi avrebbe dovuto fidarsi, allora?
Una delusione amorosa? No, se anche fosse, quelle non generano sensi di colpa. E poi, da quando in qua i veghiani soffrivano di sensi di colpa? Mai e poi mai, che diamine!
Cos’erano questi sensi di colpa? Chi li aveva mai sentiti nominare?
Consultò rapido il computer, digitò nella tastiera “sensi di colpa: significato”. Non ci capiva nulla, buio, vuoto. Con gesto nervoso chiuse il coperchio e scrutò la ragazza senza che nessuna piccolissima luce gli illuminasse la mente.
Tentò qualche ipotesi e con voce esitante chiese: “Per caso, temi di non aver sterminato tutti gli abitanti di Altair in quel famoso genocidio? Guarda, che se anche qualcuno di loro è rimasto vivo non c'è da preoccuparsi, sono innocui, non hanno più niente, creperanno comunque di stenti, inquinamento... dalle stime che ho ricevuto, so che almeno un miliardo di loro sono schiattati.”
“No, non c'è rimasto vivo nessuno, sono sicura perchè me ne sono occupata personalmente: su questa vicenda sono con la coscienza totalmente a posto”, mormorò la ragazza alzando di poco lo sguardo in direzione del proprio genitore, ma senza che il suo umore ne giovasse. Col dorso della mano intanto, si puliva una goccia dal naso.
“Non è questo che mi fa soffrire, è cosa ben più grave, così grave che non riesco a parlarne nemmeno con me stessa, sono un mostro.”
Attonito e sbalordito Vega la guardò: faceva veramente pena, ancora qualche giorno, ma no, qualche ora e sarebbe morta di crepacuore, decise quindi il tutto per tutto. Superò la barriera che li divideva, avvicinò la sua poltrona a quella della figlia, le prese entrambe le mani e le parlò a cuore aperto e sincero.
“Rubina, tu sei l'unica figlia che ho, l'unica erede, io ti voglio un bene dell'anima, quindi qualunque cosa tu abbia fatto, fosse anche contro i miei sudditi, contro i nostri interessi, contro l'impero di Vega e anche contro di me, io ti dico fin da ora che ti perdono in tutto e per tutto, ma parla, ti prego.”
Con circospezione si guardò attorno e bisbigliando disse: “Ti sei messa in contatto con i terrestri e hai svelato a Duke Fleed dov’è la nostra base? Gli hai dato informazioni segrete e importanti? Vuoi tornare con lui, sposarti, farti una famiglia, avere una vita tranquilla? D’accordo, mi va bene, pur di farti contenta e vederti di nuovo felice, io ti prometto fin da ora di bruciare tutti questi progetti bellici nuovi fiammanti.”
La ragazza negò lievemente col capo, poi col tono di chi sta esalando l’ultimo respiro sussurrò:
“No, molto peggio.”
Re Vega si sentì cadere da un precipizio, quindi giocò l’ultima carta, dopodichè avrebbe alzato bandiera bianca, arreso e sconfitto.
“Hai messo del veleno dentro il mio bicchiere? Va bene, lo accetto, però prima di morire devi dirmi cosa hai nel cuore, cosa ti tormenta, tutto il resto non ha valore e me ne andrò in pace.”
La ragazza tirò su forte col naso, alzò il busto e fiera come Maria Antonietta al patibolo, si decise a dire con voce sicura: “La settimana scorsa sono andata da sola in sopralluogo di un pianeta da sottomettere, solo che...”
Una smorfia che preannunciava una nuova crisi di pianto la interruppe, il padre le strinse le mani per farle coraggio, incitandola a proseguire.
“Sai, è davvero un luogo ricco e molto bello anche, fin troppo. Ecco, io... quando una mattina mi sono trovata su quella spiaggia tutta bianca con la sabbia così fine che sembrava di seta, le palme, un mare così blu che al suo confronto, il colore dei miei occhi scompare... io... cioè voglio dire, è come che si fosse mosso qualcosa dentro, non volevo più andare via, i miei piedi sembravano di marmo, ero in estasi, non mi sono mai sentita così in tutta la vita. Quando più tardi mi sono ripresa cercando di ragionare, ho capito che mai e poi mai avrei potuto compiere omicidi, vandalizzare quel luogo di incanti, perchè ogni cosa mi affascinava, anche le persone, tutto! Di conseguenza ho avuto la certezza che mai più sarei riuscita a soffocare le rivolte nel sangue come ho sempre fatto. Tutto ciò non ha mai fatto parte del mio essere, questo cambiamento mi ha colta del tutto impreparata, quindi ho pensato: mai chi sono io veramente, cosa ci sto a fare? Quello di cui ero certa è che non volevo andarmene e la mia è una duplice sofferenza, sì, perchè soffro di nostalgia e mancato senso del dovere al contempo, ed è per questo desidero solo morire, anzi, vorrei non essere mai nata.”
Si prese il viso tra le mani, sopraffatta dalla vergogna e dai rimorsi.
L'espressione del sovrano si aprì in un largo sorriso: con garbo liberò il viso dalle mani della figlia e ammiccando le disse: “Da quanto mi dici, sembra il luogo ideale per una vacanza da re! Il posto giusto per ritemprarsi dalle fatiche, dagli obblighi, dallo stress, dai sudditi, no?”
Rubina aveva gli occhi vacui e interrogativi. Cosa le stava dicendo?
“Senti bene, allora: io te, ce ne andiamo là subito e di corsa, senza salutare nessuno, avvertiremo tutti una volta arrivati. Che ne dici? Partiamo immediatamente, dai, non guardarmi così, dico sul serio: da alcune settimane quei tre là si stanno comportando davvero bene, gli ho fatto prendere una paura coi fiocchi minacciandoli di sostituirli e disperderli negli spazi siderali, quindi posso davvero lasciali soli per almeno due settimane e per tutto quel tempo faremo solo quello che desideriamo come due turisti. Anzi, siamo davvero due stranieri in vacanza e ti garantisco che dopo questa meritata parentesi, diventeremo più cattivi e agguerriti che mai, pronti a conquistare l'universo e perchè no, anche altri universi se ci sono e se non esistono, ce li inventeremo!”
“Davvero? Ho sentito bene?” chiese lei incredula. La ragazza parve riaversi, gli occhi si spalancarono luminosi e gioiosi.
“La mia Quenn sarebbe da revisionare, mi dà qualche problemino e va così piano...”
“Niente, prendiamo il missile più veloce! Ho fretta di arrivare, non vedo l'ora, vorrei essere già là!”
Nell’arco di un’ora, erano già arrivati e sistemati; per tutta la durata del viaggio, Rubina aveva riempito di lacrime, stavolta dovute al sollievo, almeno un centinaio di fazzoletti di carta.


“Alcor? Alcor? Mi senti? Mi vuoi dire cosa ti prende?”
“Perchè cos'ho di strano?”
“Ti sei visto?
“No, ma ho una rabbia mista a rimorso, che spaccherei tutto!”
“Lo vedo, ma io che c’entro?”
“Che c’entri? Proprio tu, stamattina mi hai fatto le carte con aria da “signora so-tutto-io” e con l’indice alzato, mi hai garantito che oggi era il mio giorno super fortunato. Dico bene?”
“Mi ricordo, quindi?”
“Sono balzato in sella alla nuova moto per provarla, ho guidato fino a Tokio… sono sceso un momento all’edicola e quando ho fatto per riprenderla non c’era più! Rubata, rubata, capisci, con quello che è costata. Sono tornato qui con l’autobus e i nervi a fior di pelle!”
“Avevi spento il motore, quando sei sceso?”
“No, figurati, il giornalaio era a pochi metri: trenta secondi ci ho messo!”
“Bè, intanto che c’eri, potevi anche attaccare alla moto un cartello con su scritto: “Rubatemi pure” lo stuzzicò Maria ridacchiando, mandando ancora di più in bestia Alcor.
“La smetti di ridere? Lo sapevo, facevo meglio a stare zitto, non mi posso fidare di te”.
“Davvero?” lo apostrofò Maria, mentre con un fazzolettino si asciugava le liete lacrime.
“Vieni con me”. Lo condusse alla porta del garage e la motocicletta era proprio lì.
L’espressione sconvolta e muta di Alcor era uno spasso.
Con calma e pazienza, Maria gli spiegò:
“Quando sei partito di corsa, io ti ho chiamato più volte, ma tu niente, nemmeno hai girato la testa. Ho provato con la radio, neanche ti sei degnato di controllare. Se fossi stato più attento ai discorsi, avresti saputo che, siccome la moto è nuova, il rivenditore ci aveva fin da subito raccomandato che prima di usarla, necessitava di una messa a punto dal meccanico per un piccolo difetto di fabbrica, una cosa da nulla, però se trascurato rischia di lasciare a piedi il conducente. Ho quindi telefonato al tecnico dandogli indicazioni dove tu saresti potuto essere: lui fortunatamente era in zona, ha trovato il mezzo ancora acceso in pieno centro della città, ha riconosciuto la targa e l’ha portata in officina per finire il suo lavoro. Come vedi è tutto a posto e se vuoi possiamo andare a farci un bel giro insieme!”
Alcor scoppiò finalmente a ridere e tutto il malumore svanì in un attimo.
“Va bene Maria, sei davvero eccezionale, devo fidarmi di più di te! Vuoi guidare tu?”
“Sì! Andiamo, oggi è vacanza!”

“Grazie Dott. Procton, a stasera!” disse Venusia avviandosi lentamente verso l’automobile, aspettando che Actarus e il dottore si scambiassero le ultime impressioni.
Pochi minuti dopo, i due giovani erano pronti per tornare alla fattoria.
“Cosa ti succede Venusia? Mi sembri preoccupata”.
“Io… ecco io… mi sento in colpa… in colpa nei confronti di Maria.”
“Come? L’ho vista poche ore fa, ed era piuttosto contenta”.
“Lei ancora non lo sa, ma io sono in torto nei suoi confronti”.
“Vuoi spiegarmi tutto per bene, fin dall’inizio?” nel dire questo, Actarus spense il motore e attese.
“Quando ieri hai abbattuto quel mostro con l’aiuto della Trivella Spaziale, teoricamente sarebbe dovuta venire Maria, invece ero io… e la cosa grave è che lei non sa niente, non l’ho avvertita. Temo di averle fatto un grosso torto, sto male, se glielo dico ci rimarrà malissimo e se taccio…”.
Actarus la fissò qualche istante, poi scoppiò a ridere di cuore.
“Ma ancora non hai imparato a conoscere mia sorella? Da quando in qua macina rancore, tiene il muso? Mai, eppure con Alcor ne ha di battibecchi, ma tempo pochi minuti e non li ricorda più! Non mi sorprende che fossi tu a guidare la Trivella, lei non ha la tua prudenza, sulle prime ho pensato che avesse finalmente imparato ad essere meno impulsiva… o forse eri salita tu, come infatti è stato”.
Con tono più basso, ma più serio e grave, aggiunse: “Neppure con me ha mai serbato rancore… sa bene che non è certo merito mio se è viva e vegeta”.
Venusia sorrise felice, poi corsero al ranch, giusto in tempo per incrociarsi con Alcor e Maria che tornavano dalla direzione opposta.

“Ciao!” Si salutarono festosi, ma dopo un istante il sorriso sparì dalle loro labbra.
Dalla porta della casa e dalle finestre usciva un fumo nero e denso come la pece, Mizar corse fuori.
“Mizar! Cosa è successo? Dovè papà?” chiese Venusia col cuore in gola.
“E’ dentro e sta bene, solo che è disperato e si sente in colpa, perché ha bruciato tutta la cena che aveva preparato per la festa del dott. Procton. Vieni per favore!”
Tutti corsero in cucina; Rigel stava per terra insieme agli avanzi di pollo carbonizzati, li fissava, mentre grosse lacrime gli scendevano dagli occhi.
“Sono un buono a nulla! Guardate che disastro!”
Da un cassetto rovesciato, cercava un coltello, il più appuntito di tutti.
“Che figura da scemo… quindi ho deciso, faccio harakiri e non provate a fermarmi, dopo una figuraccia del genere non voglio più vivere!”
“Rigel, smettila di dire idiozie!” disse Alcor sfilandogli di mano il coltello.
“Guarda cosa abbiamo comprato in città per la festa di stasera”.
Apparvero sulla tavola alcuni vassoi di cartone contenenti le migliori specialità giapponesi. Con umore sollevato apparecchiarono nella grande sala, mentre Procton e i collaboratori scendevano dal furgone.
Rigel si stava già riprendendo e uscì nel cortile per salutarli.
“Caro Procton, è sempre un piacere averti qui, entra, entrate tutti, guardate cosa ho preparato da solo mentre questi fannulloni erano a zonzo tutto il pomeriggio.
Non mi hanno aiutato per niente, solo Mizar ha fatto qualcosa, per cui…”
“Per cui ci mettiamo subito a tavola, sennò si raffredda con le tue ciance (e bugie)” dissero tutti in coro con una gran risata.


FINE
 
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113 replies since 20/4/2016, 12:44   1873 views
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