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Luce's fanfiction gallery

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view post Posted on 22/4/2023, 16:57     +3   +1   -1
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Professore della Girella

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IL SACRIFICIO

2_62

Mineo,
la tua giovane vita non è semplice, sei una combattente di valore, molto coraggiosa, con un grande senso del dovere, amore per la tua patria e i tuoi compatrioti.
Il destino ha deciso che non puoi vivere spensierata e felice come meriti, ma il nemico vuole dominarti, la tua stella non è più indipendente e per tornare libera pretende la tua vita in cambio.
Sai che non puoi sottrarti ai tuoi doveri e con un tremito che stenti a dominare nonostante il tuo coraggio, accetti questa crudele realtà e ti lanci nello spazio profondo.
Sulla Terra incontri degli amici, non ci credi, è impossibile che siano dalla tua parte, per te è logico che vogliano solo ucciderti… invece no, anzi, ti accolgono come una persona speciale, sei ammirata, elogiata, tutti ti vogliono già bene. Come è possibile tutto ciò?
Sì, è possibile, è un balsamo per l’anima, da quanto tempo non provavi questo sentimento quasi sconosciuto?
Eppure era là, sepolto nella polvere dei ricordi, forse in un’infanzia lontana e sperduta, in una giovinezza mai vissuta, un rimescolio di pensieri e sensazioni lontane, che ora ritornano vive e prepotenti.
E’ così naturale lasciarsi andare al bene… puoi restare qui per sempre se lo vorrai…

Ti ridesti all’improvviso! “Cosa mi succede? Sono qui per compiere la mia missione, cosa sto facendo?”
In un gioco di luci e ombre, di bene e di male, volere e negare, il tuo cuore non ha pace.
Alla fine decidi: “Me ne vado, qui non posso restare, addio a tutti. Grazie, vi ricorderò sempre.”
Ancora una volta sparisci nel cielo, adesso in una notte trapunta di stelle.

Ma il nemico non perdona il tuo tradimento, ha deciso che non devi più vivere! Per lui non servi più a nulla e vuole vendicarsi!
Vieni colpita, anche se l’amico “terrestre” che condivide la tua sofferenza, esilio, nostalgia e rimorso, è già in soccorso. Ma è troppo tardi!

L’alba che si adagia sul mare ti dà l’ultimo dolce saluto, ma non sei sola; due braccia ti sostengono e ti implorano di resistere, di farti forza.
Il tuo pensiero è per la tua patria, per la sua indipendenza… e la raccomandi a lui.
L’amico che è con te, promette di combattere sempre fino alla fine, di vendicarti… il tuo sacrificio non è stato inutile, ricordalo!

Ora il tuo spirito libero e leggero vaga sopra ogni cosa, vola a casa tua, puoi restare lì per sempre adesso, non vi lascerete mai più se lo vorrai.

Ricorda sempre che il Male può vincere qualche battaglia, ma non la guerra!
E’ così, e non ho bisogno di ricordartelo, perchè lo sai già.


FINE
 
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VENUSIA SCENDE IN CAMPO

1_263

A metà serie, gli invasori di Vega dimostrano gravi problemi energetici; così, per procurarsi ciò che era fondamentale per i loro dischi e le loro basi, decisero di attaccare in massa i depositi terrestri di superuranio, con tanto di minidischi e mostri come armi d’attacco.
Goldrake e Goldrake 2, però, erano sempre all’erta e proteggevano le basi con forza e determinazione.

Da questo punto in poi, iniziò ad entrare in gioco anche Venusia, la quale nel frattempo aveva pensato bene di cambiare look: da cow-girl a space girl, immediatamente divenne più donna.

Oltre a Venusia, anche Actarus decise di cambiare gli abiti civili, divenendo più principe e meno contadino, mentre Alcor pensava che coi veghiani sempre pronti ad attaccare, non rimanesse tempo per certe sciocchezze come quella di seguire la moda, spendere soldi nei negozi di abbigliamento e in profumi costosi.
Niente da dire su questa libera scelta, però, quando il vestiario mostra qualche segno dovuto all’usura nella zona gomiti e ginocchia e non emana più fragranza di sapone di Marsiglia, un pensierino a tal proposito sarebbe meglio farlo.

La figlia di Rigel non ne poteva più di stare quaggiù, mentre il suo Actarus scattava lassù, così, approfittando di un salvataggio di Alcor, che venne ferito nell'azione, si mise ai comandi del suo mezzo e salvò Goldrake da un mostro di Vega.
Mizar, salito con Venusia su Goldrake 2 durante l'attacco di Vega, venne così a conoscenza che Actarus era in realtà Duke Fleed, il pilota di Goldrake.

Alla fine di quel combattimento, Actarus ringraziò la ragazza per avergli salvato la vita e con parole romantiche, tenendola saldamente tra le braccia, la invitò a continuare a fare la contadina e non la guerriera.
“Guarda il cielo. Il sole sta andando giù. Non lascerò questa bella Terra in balia di Vega, ti prometto che la difenderò. Ti prego Venusia, se non sei in pericolo mi sento più forte.”
Lei, con un sospiro: “Oh, Actarus.”

Però Venusia voleva a tutti i costi essere alla guida del Goldrake 2, per poter essere di aiuto ad Actarus e il suo pianeta.
Ed era anche sicura che Alcor e Procton erano d’accordo con il suo desiderio e pronti ad appoggiarla con tutti i mezzi.
Così, con il loro aiuto, Venusia imparò segretamente a guidare il Goldrake 2, certamente mentre Actarus stava lavorando presso la fattoria.

Un bel giorno di primavera, durante una cavalcata, Actarus le suggerì di fare attenzione con quel cavallo purosangue indomito, e lei comprese che quella poteva essere l'occasione per iniziare la discussione che aveva in mente.
“Non ho paura di niente. Sono anche capace di guidare il Goldrake 2 di Alcor, per tua informazione.”
“Eh? Che cosa?”
“Non lo sapevi? Alcor mi ha insegnato a pilotarlo, e mi ha anche detto che non appena sarò pronta lo potrò guidare da sola. E allora ti sfiderò.”
“Vuoi davvero sfidarmi, Venusia?”
“Certo.”
“Va bene. Allora… seguimi!”
Actarus lanciò il suo cavallo alla massima velocità lungo i difficili sentieri della foresta, seguito da Venusia, che era in grado di stargli alla pari per gran parte della corsa, ma ad un certo punto lei gridò di fermarsi.
“Fermati, fermati Actarus, ti prego. Il cavallo, il cavallo…
“Non ci penso nemmeno, porterò questa sfida che hai voluto fino in fondo.”
“Ti dico di fermarti, fermati! Il cavallo non è stato ancora ferrato, è pericoloso!”
Lui non la sentiva e vedendo che non poteva battere Venusia con la corsa, Actarus lanciò il suo cavallo in un tempismo perfetto per attraversare il fiume, mentre Venusia venne costretta a fermare subito il suo animale che non era in grado di oltrepassare le acque.
Col fiatone e il cuore a mille, ora che finalmente Actarus e il suo cavallo erano arrivati, lei ripetè:
“Il cavallo non è stato ferrato bene, poteva ammazzarsi!”
“Cosaaaa??!”
“E adesso chi lo sente mio padre?”
“Mi dispiace Venusia, volevo solo farti capire che la guerra sta diventando sempre più difficile, e io non voglio che tu ne sia coinvolta.”
“Portiamo a casa il purosangue piuttosto, e speriamo non si sia fatto troppo male.”

Venusia era delusa e dispiaciuta per almeno due motivi. Far cambiare idea ad Actarus si era rivelato essere molto più difficile del previsto. In più, doveva anche affrontare la rabbia di suo padre. Seduta su una sedia, ascoltava le lamentele di Rigel.
“Allora, mi rispondi o no? Vuoi cercare di capirmi, eh? Oppure credi che non ci sia niente di sbagliato a flirtare con quel ragazzo senza la mia approvazione? Ricorda, sei ancora minorenne! Dovresti cercare qualcosa di meglio della compagnia di un ragazzo così ordinario come Actarus.
Cosa ci trovi di così speciale in lui? E’ solo un ragazzo pigro e buono a nulla, posso dirtelo io che lo conosco bene! Hai visto cosa ha combinato oggi con quella bestia? Non solo non si è preoccupato che avesse i ferri a posto, ma gli ha fatto fare un salto chilometrico, roba da ammazzarlo!!!”

Ma Venusia non disse a suo padre una sola parola. Come poteva spiegare a Rigel sul suo rapporto con Actarus, la sua vera identità, la sua voglia di combattere?

Actarus guardava Venusia a cavallo sotto il tramonto, riflettendo sul fatto che, nonostante i suoi tentativi di tenerla lontana dalla guerra, lei ne era comunque rimasta comunque coinvolta, poi iniziò a pensare che avrebbero potuto combattere insieme, ma allo stesso tempo temeva moltissimo per la sua incolumità. Non voleva che lei rischiasse di perire in combattimento. Sapeva molto bene quanto i veghiani erano spietati.

L’occasione le arrivò pochi giorni dopo, quando Alcor dopo un viaggio nello spazio infinito tornò esamine alla base. Goldrake era in serie difficoltà, dal monitor dello studio di Procton si capiva benissimo che da solo non poteva farcela.
“Posso farlo io” pensò Venusia, e poco dopo si alzò in volo con Goldrake2.
Actarus non la riconobbe subito, credette che finalmente Alcor gli fosse venuto in soccorso.
Il primo tentativo di aggancio non andò bene, ma la seconda volta il tempismo e la sincronia furono perfetti. Insieme distrussero il mostro veghiano senza sforzi.

Solo a fine combattimento lui si accorse che il pilota era in realtà la ragazza del ranch, fu quindi costretto ad arrendersi all’evidenza: lei era brava e coraggiosa, le forze di Vega sempre più agguerrite e la sua ferita al vegatron si faceva sempre più sentire.

Combattiamo insieme Venusia contro questa crudele guerra, e alla fine vinceremo.

Il rosso del tramonto in mezzo al cielo arancio, la primavera ormai sbocciata in tutto il suo splendore, sottolinearono questo momento drammatico, dolce e romantico insieme.


FINE
 
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RUBINA

3_43

La principessa di Vega fissava la sua immagine nello specchio della toeletta, mentre con la spazzola pettinava lentamente i lunghi capelli rossi.
Il riflesso del vetro abbracciava quasi tutti i mobili della stanza, il vasto letto di ottone, l’armadio laccato di azzurro, la carta da parati celeste con piccoli fiordalisi disegnati.

Queste erano le sue ultime ore che avrebbe passato nella sua casa, sul suo pianeta, stava per partire, ma non era un viaggio qualunque, sarebbe andata via di lì per sempre, per diventare niente di meno che…
“Ti comunico che sei ufficialmente fidanzata col Principe del pianeta Fleed, quindi molto presto partirai.”
Poche succinte e fredde parole che non ammettevano repliche, per dirle che la sua vita da ora in poi sarebbe stata totalmente stravolta.
Il padre l’aveva così liquidata con fare sbrigativo come si trattasse di spedire un pacco, una missiva, non l’aveva nemmeno guardata mentre decideva il suo destino.
Lei non aveva replicato, sapeva bene che sarebbe stato inutile.
Aveva abbassato lo sguardo ed era corsa fuori in giardino sentendosi di pietra come le statue che ornavano quel parco immenso.

Il groviglio di sentimenti contraddittori la agitavano tutta, non sapeva se essere triste o lieta.
Per tutta la giovinezza aveva accarezzato il sogno di sposarsi, avere una famiglia sua, fuggire via da quel posto che non amava, dal padre e dalla sua sete di conquista, ma ora che il suo desiderio si stava realizzando, voleva solo rimanere dov’era, o almeno che qualcuno le avesse chiesto cosa veramente desiderava, i suoi timori, le incertezze, le inevitabili paure verso un futuro ignoto.
Lo sapeva bene che un giorno o l’altro questa sorte le sarebbe toccata, era più che logico, ma non voleva essere trattata come un oggetto, come non avesse diritto a dei sentimenti, a delle idee proprie.

Ritornò al presente e il suo sguardo annebbiato da un velo di lacrime si posò sull’enorme bambola dal viso di porcellana adagiata sulla poltrona di broccato.
Era lì da tempo immemorabile da quanto poteva ricordare, forse ancor prima della sua nascita, erano cresciute insieme, Rubina le aveva sempre confidato le sue gioie, le tristezze, i segreti.
Ora doveva dirle addio, perché quella parte di vita se ne andava per sempre e non sarebbe tornata mai più.
Aveva tanta voglia di piangere ma non poteva, non c’era nemmeno il tempo per quello, visto che era proibito per una principessa mostrarsi sofferente, non c’era tempo sufficiente per cancellare ogni traccia di lacrime, quindi con sforzo eroico cacciò in fondo alla gola il nodo che le impediva quasi di respirare e si alzò, pronta per il viaggio.
Sulla soglia abbracciò un’ultima volta con lo sguardo la sua camera, il posto che amava di più e in silenzio si dissero addio.

Fuori, ad attenderla per accompagnarla verso quella patria lontana, c’erano alcuni dignitari di corte, il padre nemmeno l’aveva salutata, meglio così si disse, anche se il suo cuore era trafitto da una spada di dolore, vuoto e delusione.
Per una frazione di secondo provò l’impulso irresistibile di fuggire, salire sulla sua navetta e perdersi nello spazio infinito. Naturalmente non fece nessuna di queste cose, ma solo ciò che l’etichetta del suo ruolo pretendeva.
“Sono pronta, andiamo.”

La sua voce non tradiva alcuna emozione, era bellissima, fiera e nobile, la sua vita cominciava adesso e doveva, ad ogni modo, farsela piacere.


Il proseguo della storia è indicativamente quando Vega ha già attaccato e distrutto Fleed, non è ancora arrivato alla Terra e devo pensare che Rubina sia sul pianeta Rubi da circa un paio d’anni.


Il profumo intenso, meraviglioso e al tempo stesso terribile di quei fiori rossi appena sbocciati che Rubina si era vista recapitare come gentile omaggio da un suddito fedele, il quale non poteva certo immaginare che quel dono le avrebbe riportato alla mente ricordi dolorosi, l’aveva letteralmente sconvolta.
Era un giorno come tanti altri: di primo mattino, una giornata di primavera inoltrata, qualcuno aveva bussato alla porta del palazzo sul pianeta Rubi, dove la principessa si era stabilita lì da qualche anno in qualità di governatrice di quella stella e le aveva recapitato un cesto pieno di fiori rossi.
Da tutti gli abitanti era stata subito benvoluta.
Si era dimostrata generosa, interessata a tutto e tutti, anche se i grandi occhi azzurri lasciavano indovinare una tristezza lontana, perché mai partecipavano ai suoi sorrisi che dispensava largamente a chiunque incontrasse, restavano sempre spenti e delusi, ma questo lo poteva vedere solo qualcuno che la conosceva bene, lei non si mostrava mai triste, né tantomeno disperata, quindi non avendo amici intimi, la sua solitudine passava inosservata.

Sola, nel vasto soggiorno, con ancora indosso una vestaglia di velluto rosa antico, Rubina non era riuscita a contenere l’ondata di dolore che la travolgeva come un fiume i cui argini sono stati spazzati via da una corrente feroce e crudele.
Lacrime involontarie uscivano senza tregua dagli occhi e i ricordi dei momenti felici, quando aveva deciso che in fondo, suo padre aveva avuto ragione a fidanzarla col Principe di Fleed, la buttarono a terra e non ebbe la forza di opporsi.

“… Duke, lo sai perché mio padre mi ha mandata qui, su Fleed?”
“Ma cosa c’entra tuo padre con noi due?”
“Mio padre vorrebbe che tu mi sposassi, mi sposeresti?”
“Non si possono imporre certe cose.”
“Allora io non ti piaccio! Duke, ti prego, dimmelo!”
“Non volevo dire questo, credimi Rubina.”
“Allora dimmi: cosa provi per me?”
“Tu sei bella come un fiore.”

Dopo i primi giorni di incertezza, la loro storia era decollata sotto i migliori auspici.
Avevano scoperto di avere tante cose in comune, tutto era bellissimo quando erano insieme e per Rubina era stato un vero balsamo la vicinanza coi genitori del ragazzo, rappresentavano davvero ciò che lei aveva sempre desiderato, la famiglia sempre agognata pur senza saperlo, con quanta generosità la vita la stava ripagando delle tristezze del passato.
Rubina assomigliava davvero a quei profumatissimi fiori rossi che costeggiavano il lago, mentre navigava su una barchetta accanto a Duke.
Spesso il vento le riportava il loro profumo e lei lo associava sempre alla gioia dei suoi primi palpiti di adolescente, a quel luogo di incanti che mai smetteva di affascinarla.

Poi, la fine…
Un brutto giorno era davvero finito tutto. Quando re Vega le aveva brevemente comunicato che il fidanzamento con Duke Fleed era andato a monte, lei dapprima non gli aveva creduto, anzi, non voleva e non poteva crederci.
Invece era davvero tutto finito, perché la nave del Comandante Gandal l’aveva riportata di corsa su Vega, a casa sua, e subito dopo aveva avuto la notizia che Fleed era stato attaccato.

I ricordi di quel periodo erano molto vaghi e confusi, sapeva solo di avere sofferto moltissimo, spesso la sua mente era visitata da propositi di vendetta e suicidio, la sua vita non aveva più senso, né la giovinezza e bellezza.
In seguito, ancora disperata e sola, aveva avuto notizia da un funzionario di corte, che il padre aveva deciso di mandarla a governare su Rubi, e lei, che in passato aveva molto ammirato dalle immagini col satellite quel meraviglioso pianeta, si era aggrappata a questa promessa come il naufrago con un relitto. Piano piano l’idea del trasferimento divenne una costante nei suoi pensieri e in un certo senso la sua cura.

Col tempo era rifiorita. Certo, lo strappo del suo amore perduto era sempre lì, nel suo cuore, però sanguinava meno, ora non si sentiva più inutile e fondamentale era stato il fatto di non essere più su Vega, aveva una sua vita da disporre come le piaceva, indipendente, era benvoluta dalla sua gente e nessuno si permetteva di gestire il suo futuro come meglio credeva.
“Era destino, si vede che era destino.” Così pensava tra sé la ragazza, ripetendo la frase come un mantra, perché all’inizio si chiedeva sempre: “Se mi fossi opposta con più forza a rimanere su Fleed, se avessi avvertito Duke che mio padre ci aveva ripensato potevamo fuggire, oppure fare resistenza… se avessi saputo… se credevo che… avrei fatto…”
Di notte soprattutto, non aveva pace e rischiava davvero di impazzire, allora, immersa in un bagno di sudore si alzava, preparava una tisana con dentro alcune gocce di ansiolitico e la mente stanca si abbandonava al sonno.
Un giorno aveva sentito questa frase da qualcuno, non ricordava chi: “…era destino, questa disgrazia che ci è avvenuta era scritta, non potevamo farci niente.”
Quindi l’aveva plasmata su di sé, aveva smesso di torturarsi e al tempo stesso, vedere cosa di bello la vita poteva ancora offrirle.

Quella mattina invece non le era stato possibile che l’onda dei ricordi e dei rimpianti la travolgesse: quei fiori rossi erano gli stessi ai quali Duke l’aveva paragonata, erano il ricordo del suo primo, grande e per ora unico amore della sua giovane vita, racchiudevano tutti i suoi sogni infranti, un mondo distrutto per sempre.
Cadde a terra in ginocchio, mentre lo sfogo delle lacrime rompeva gli argini e con esse, parte della sua disperazione trovava un poco di sollievo.

Un rumore alla porta la fece alzare di scatto. Davanti a lei c’era il Ministro Zuril.
“Scusate Altezza, la porta era appena accostata e sono entrato, ma se volete torno più tardi, sono qui per conto del sovrano.”
Lo sguardo che lui aveva, era di malcelata attrazione per quella giovane ragazza, che in quel momento era infinitamente bella e triste.
Rubina alzò il capo fieramente e lo fissò in viso; non voleva mostrare debolezza, mentre lui, quasi inconsapevole e con delicatezza, posava la sua mano sulla guancia di lei.
Ancora una volta la principessa, vinta dal dolore, si abbandonò disperata sul petto di Zuril.
Lui la strinse tra le braccia, mentre lei non aveva più ritegno a mostrare il suo stato d’animo, né la forza di respingerlo.
“Oh! Zuril, voglio morire, non ce la faccio più, voglio solo morire- mormorava lei piano e ormai priva di forze.”
Lui continuava a tenerla stretta e a sussurrarle parole dolci.
Si staccò da lui e lo fissò.
“Dimmi che sono bella, che posso piacere, che non meritavo una vita simile, dimmelo per favore, dimmelo!”
“Tu sei la più bella e io ti amo, ti ho sempre amata Rubina” le disse baciandola.
“Dammi un altro bacio, dimmi ancora che ti piaccio e posso piacere.”
“Nessun’altra è come te.”
Nel dirlo la sollevò e prendendola tra le braccia la posò sul divano di velluto turchese.

Un’improvvisa folata di vento, le riportò alle narici quel profumo meraviglioso e crudele dei fiori rossi appoggiati sul tavolo di legno pregiato che le ricordava il suo amore lontano perduto: era l’odore che l’aveva accompagnata nei giardini di Fleed, nelle vaste sale del palazzo reale, nelle passeggiate col suo principe, nei raduni con tutta la famiglia, nei sogni ad occhi aperti, nelle notti insonni, quando immaginare l’avvenire accanto a Duke, era gioia senza fine.
Chiuse gli occhi abbandonandosi a quell’abbraccio, mentre le sembrava di scendere e vagare senza meta dentro un abisso oscuro e profondo senza fine, dal quale saliva la voce di Zuril che le sussurrava all’orecchio intense parole d’amore.

Sono trascorsi otto anni dall’attacco di Vega su Fleed.
Sul pianeta Rubi è in corso una rivolta e per vie ignote, Rubina ha appena saputo che Duke Fleed è ancora vivo.
Nel corso degli anni, anche se sporadicamente, lei ha mantenuto la relazione con Zuril, il quale spera in segreto, di averla tutta per sé anche legalmente.
Rubina non è mai stata per niente contenta di questa storia, ed ora, è arrivata ad un punto di rifiuto totale per quell’uomo avido ed egoista, quindi vuole troncare di netto i loro incontri.


Una sera, mentre si apprestava ad uscire da sola per distrarsi, un rumore di passi nell’oscurità le fece girare di scatto la testa.
“Zuril! Che ci fai qui? Dovresti essere su Vega a quanto ne so.”
Lui abbassò lo sguardo a terra con mestizia senza parlare.
Lei si sentì improvvisamente priva di volontà, quindi mormorò: “Ormai sei qui, rimani.”
A stento l’uomo riuscì a contenere l’ondata di gioia che lo invadeva da capo a piedi, intanto la ragazza rientrava nel palazzo.
La donna che era a servizio, rimase piacevolmente sorpresa nel vederla rientrare e si apprestò a servire la cena nel piccolo salottino molto intimo ed accogliente.
Non fu una cena allegra. Ogni approccio verso Rubina era destinato a cadere nel vuoto.
Zuril le sfiorava la mano e lei la sottraeva, le accarezzava la spalla e lei si spostava infastidita, nemmeno un casto bacio trovò terreno fertile in quella donna sempre più fredda e distante.

Finita la cena e congedata la cameriera, Rubina fissò dritta lo sguardo all’uomo che aveva di fronte e gli disse: “Devo parlarti Zuril, qualcosa di estremamente grave sta succedendo.”
“E’ qualcosa che riguarda noi due?” domandò lui pieno di ansia.
“Esatto. Lo schifo che sento per te è tale, che ti dico fin da ora di non volerti più vedere da nessuna parte, mai più, chiaro? Dopo la prima volta che siamo stati insieme, mi sono lasciata amare da te quanto hai voluto, ma ora basta, io sono libera di disporre della mia vita come voglio, non sono una donna mercenaria dedita a soddisfare le voglie di un essere schifoso come te!”
Sul viso dell’uomo era visibile tutta la sua delusione insieme alla perfidia che non esitò a puntargliela come arma diretta.
“Ho capito perfettamente: hai detto che io ti faccio più o meno schifo, questo mi è chiaro. Quello che invece non è per niente chiaro a te, è che re Vega, sì tuo padre, ha deciso di farti diventare mia moglie, me lo ha messo per iscritto, guarda, per questo sono venuto qui, volevo dirtelo di persona.”
Tirò fuori dalla tasca un foglio dove era indicato per filo e per segno la condizione di Rubina e il suo ruolo futuro.
Gli occhi smarriti di lei leggevano quelle parole che la buttavano a terra, nella disperazione più buia.

Quella sera, era se possibile ancora più bella e affascinante del solito.
Un lungo abito di seta amaranto le fasciava la splendida figura: portava gioielli dello stesso colore, alle orecchie, al collo e al dito. Brillava di luce propria, Zuril sentì che non poteva resisterle, ma dopo un tentativo di bacio ardente, si trovò un’arma puntata contro.
“Vattene subito di qui, vattene!” gridò lei con quanto fiato aveva in gola.
“Sparisci subito o sparerò, non sto scherzando, cosa credi?”
L’uomo indietreggiò un poco, mentre le labbra si stiravano in un sorriso diabolico.
“Non puoi, sono autorizzato a questo, tu sei mia! Ora me ne vado, ma tornerò presto, perché così deve essere.”
Uscì svelto dal portone centrale, Rubina chiuse bene a doppia mandata, poi si diresse alla radio per contattare il padre.

Appena avuta la comunicazione, senza tanti preamboli, Rubina lo investì con queste parole: “Ho saputo che Duke Fleed è ancora vivo e tu me l’hai nascosto per tutti questi anni, perché?”
Vega non rispose, ma il suo silenzio era una tacita ammissione.
Dopo alcuni istanti le disse: “Ho saputo che su Rubi è scoppiata una rivoluzione, cosa intendi fare?”
“Allora è vero, Duke Fleed è ancora vivo!”

Il video si spense e dopo alcuni minuti, arrivò a Rubina uno scritto del padre dove le comunicava la sua decisione a detronizzarla e darla in pasto a quell’essere che detestava in poche, fredde e succinte parole, come otto anni prima, quando aveva deciso per lei di spedirla su Fleed.
Quel giorno almeno glielo aveva detto di persona, stavolta in una pagina insignificante.
Il pensiero del suo principe la fece star male. Come poteva andare da lui in quella condizione?
Ora non era più una principessa, non aveva poteri regali, ma cosa ancor più grave, se lui avesse saputo che lei era di Zuril, sì di quell’uomo che molti anni prima aveva progettato l’attacco al suo pianeta…
No, non poteva essere così, era terribile.

In un triste soliloquio diceva a sé stessa: “Tu sei davvero stata una sconsiderata ad avere una relazione con quell’essere infame, come pensi che ti accoglierebbe ora, quello che era il tuo fidanzato, se sapesse come sei diventata? La tua vita non avrà più gioie ora, dopo il male che ti sei fatta!”
Provava odio per Zuril e questo odio aumentava via via che la pena per lei stessa diventava più grande.
Rubina scivolò a terra vinta dal dolore e su quel tappeto azzurro, versò tutte le sue lacrime di dolore, pentimento e rimpianto, finché vinta dalla stanchezza di addormentò.

Il nuovo giorno la salutò col cinguettio degli uccelli sul davanzale in cerca di briciole.
Rubina si alzò da terra: il suo corpo era tutto indolenzito dopo quella notte sul pavimento, quindi si buttò dentro la vasca di acqua profumata in attesa che le lavasse via tutta la stanchezza.
Più tardi, dopo una leggera colazione, andò al computer in cerca di qualcosa, nemmeno lei sapeva cosa, era senza una meta precisa, ma cercava comunque una via d’uscita al suo stato dentro il quale, un padre senza cuore l’aveva buttata senza un briciolo di umanità.
Il video presentò tutte le costellazioni, i pianeti, li osservò da vicino, poi i tasti premuti dalle sue mani, le regalarono sullo schermo, un’immagine inattesa e meravigliosa.
“Ma quello è il pianeta Fleed!” disse la ragazza ad alta voce.
“Quelle luminescenze indicano che la radioattività si sta attenuando. Il pianeta Fleed sta rinascendo!
Allora io…, sì ora io posso andare da Duke Fleed e dargli la notizia! E quando lo saprà, di sicuro vorrà tornarci e ci andremo insieme. Devo partire subito, mi recherò in prossimità del pianeta per fotografarlo e poi… E poi la mia vita sarà diversa!” si disse piena di gioia battendo le mani, gli occhi scintillanti, la bocca sorridente, mentre il colorito si faceva più roseo.

Fu pronta in meno di un’ora. Lasciò alcuni ordini scritti sul quaderno per i sudditi e salì sulla pantera cosmica.
Una nuova vita la attendeva e il futuro che vedeva davanti a sé, era tutto rosa, brillante e splendente come Fleed in quel momento.


FINE
 
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L’ULTIMO BACIO

1_455

I due giovani attraversarono i giardini reali tenendosi per mano e di corsa atterrarono sulla spiaggia dove la sabbia era bagnata dal mare.

Naida e Duke. Gli amici d’infanzia ora adolescenti che insieme avevano scoperto il mistero dell’amore reciproco, il desiderio di conoscersi veramente, il bisogno continuo di cercarsi, incapaci di stare a lungo senza vedersi, comprendersi senza parlare, nascondersi agli occhi degli altri e al contempo poter gridare a tutti la bellezza dell’immenso dono che avevano ricevuto.
Gli occhi di Naida brillavano. Tutta la sua figura era piena di vita e gioia di vivere.
Una sensualità insieme composta e prorompente, il lieve affanno del respiro dopo la breve corsa, la lunga chioma verde che brillava sotto i raggi di quel sole estivo in un cielo senza nuvole.
“Ti amo. Non posso stare senza di te.”
“Lo so Naida, anch’io ti amo e così sarà per sempre.”
Un lungo bacio sottolineò questo momento di intimità, poi insieme corsero tra le onde del mare e si tuffarono. Dopo una lunga nuotata approdarono dalla parte opposta della spiaggia, dove c’era una radura con tante siepi e gli insetti ronzavano sopra i fiori gialli.

Stanchi e accaldati, sedettero sotto l’ombra di un albero scambiandosi confidenze sottovoce, quando un rumore improvviso li spaventò.
“Sirius! Ma cosa ci fai qui, scendi subito da quel ramo, forza!”
“Faccio quello che mi pare!” le rispose con impertinenza il fratellino, poi con rinnovata energia si spostò acrobaticamente da un ramo all’altro con agilità sorprendente.
“Non dovresti essere qui, torna subito a casa, mi sono spiegata?”
“Veramente tu, anzi voi due non dovreste essere qui, lo so molto bene. I nostri genitori sono stati chiari: oggi non saresti dovuta uscire per nessun motivo, quindi vi ho seguiti e ora racconterò tutto una volta a casa.”
Con una linguaccia lunga almeno un metro, Sirius sottolineò la sua impertinenza.
Lei rimase male, ma non disse nulla, poi si girò verso Duke.
“Naida è vero, si è fatto tardi, andiamo” mormorò lui con gravità, ma contemporaneamente le stringeva la mano in segno di solidarietà, confidenza, promesse di incontri clandestini negli angoli segreti della notte.
Lei abbassò lo sguardo e tutti e tre in silenzio, presero la via del ritorno.
Sirius saltellava felice e contento: il suo dolce preferito acquistato lungo la via, sancì il tacito accordo della promessa del suo silenzio.

In prossimità delle loro abitazioni si separarono e ognuno rientrò nella propria dimora.
Duke entrò da una porta laterale del palazzo reale che conduceva direttamente nelle proprie stanze, Naida e Sirius varcarono l’ingresso della loro villa dal portone centrale, mentre due domestiche erano impegnate nelle pulizie di tutto il pianterreno.
La ragazza entrò nello studio del padre: era una stanza divisa da una porta scorrevole in legno, lei dalla libreria cercava un romanzo per ingannare la noia, quando riconobbe la voce sommessa dei suoi genitori che evidentemente stavano dall’altra parte della camera.
Non potè fare a meno di ascoltare la conversazione.
“Nostra figlia e il principe erede al trono si frequentano da sempre, sono cresciuti insieme ed è ben visibile che questa amicizia si sia trasformata in una passione tipica dell’adolescenza… ma sappiamo che non potrà mai sfociare in un matrimonio, perché pur essendo anche noi nobili, resta sottinteso che lui potrà sposare soltanto una ragazza del suo rango, quindi bisogna…”

Naida si turò le orecchie e scappò di sopra senza far rumore.
Si chiuse nella sua stanza, mentre la memoria le ripeteva all’infinito come un disco rotto, la conversazione appena sentita. Non voleva crederci, no, non poteva finire tra loro due, poi si amavano, il resto cosa contava? A quanto ne sapeva non c’era nessun’ altra ragazza in vista, quelle erano solo frasi, solo parole senza senso.
Era così sconvolta che non riusciva nemmeno a piangere e la sua sofferenza aumentava col passare dei minuti.

Prese subito una decisione: sarebbe andata da lui di nascosto quella sera, come aveva fatto tante altre volte quando la casa era immersa nel buio e lei, silenziosa come un gatto usciva, lui l’aspettava e l’alba del nuovo giorno li sorprendeva abbracciati.
“Sì, farò così e nessuno ci separerà mai”, disse con voce alta e sicura alla sua immagine riflessa nello specchio, bellissima, fiera e nobile.


-------------------------------------------------------------------------------------------

Due giovani, belli nell’aspetto e nell’anima, di stirpe e cuore nobile attraversarono i giardini e le residenze reali tenendosi per mano, di corsa raggiunsero la spiaggia dove la sabbia è lambita dalle acque del mare.
Le onde portano sulla riva conchiglie, stelle marine, tronchi di alberi spezzati.
Lei si buttò a terra di schianto dopo la lunga e affannosa corsa, i lunghi capelli verdi sembravano un meraviglioso manto di tenera erba primaverile.

Una sensualità composta e prorompente allo stesso tempo, il lieve affanno del respiro dopo la breve corsa, la lunga chioma verde che brilla sotto i raggi del sole di un’estate appena sbocciata; languida e dolce, come il loro amore.
Lui le scostò i capelli dal viso e la guardò come la vedesse per la prima volta. I suoi occhi non erano più gli stessi, ma spenti e tristi, benchè la bocca fosse tutta un sorriso.
Perché?
Lei non rispose, lo sguardo è lontano, verso l’infinito, con gesti esperti e sensuali lo guidò verso le gioie dell’amore.
Un lungo bacio sottolineò quel momento di intimità…
… poi insieme si tuffarono tra le onde del mare lievi come seta…

Naida ha da poco saputo che dovrà farsi da parte.
La ragion di Stato non contempla la passione, l’amore vero e reciproco. E’ crudele, e si fa beffe di questi sentimenti.

E’ come la vedesse su di sé, la sta soffocando; è una grande bocca, avida e tenace, dove solo il potere, l’ambizione, la ricchezza hanno valore. Le dice di allontanarsi, un’altra sta per arrivare, tu devi sparire.
Lei si sente stupida e ridicola, il cuore sta sanguinando senza sosta e sa che la ragion di Stato, ora sta perfidamente godendo del suo infinito dolore. Quell’orribile ed enorme bocca ride di lei senza sosta.

Comprende che lui è ancora all’oscuro di tutto e non vuole perdersi neanche un attimo di quegli attimi meravigliosi che, proprio perché sono gli ultimi, saranno i più belli e indimenticabili.

La notte è arrivata, una notte stellata, una notte di luna piena.
Crudele nella sua sfacciata e commovente bellezza.
L’intimità continua, ma ora è un lieve sussurro, un cercarsi nella penombra, a stento riconoscersi, mentre riflessi nei loro occhi ci sono ancora l’odore del sole, del vento e del mare.

Siamo nati l’uno per l’altra, nemmeno la morte potrà dividerci.
Sembra che niente possa spezzare l’incanto. Se solo il tempo si fermasse.

Come farò a sopravvivere senza di lui? Forse morirò, oppure…
Vivrò di questi istanti, e nessuno me li potrà rubare.



FINE

Edited by .Luce. - 5/7/2023, 09:57
 
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RISVEGLI

2_63

Duke Fleed era di sicuro un ragazzo bellissimo, intelligente, ricco e rispettato, sicuramente abituato ad ottenere quello che voleva senza chiederlo due volte. Quante ragazze mozzafiato gli giravano attorno quando viveva su Fleed? Quante volte avrà incontrato nella sua gioventù da principe delle ragazze che sospiravano per lui, pronte a fare qualunque cosa…

Indubbiamente sì, ma poiché faceva coppia fissa con Naida, suppongo che anche lei abbia avuto almeno una volta l’occasione per distrarsi, specie nei momenti di solitudine.
Ecco come può essere andata secondo me.

Il sole di mezzogiorno era rovente e nemmeno l’ombra di una siepe si intravedeva lungo quella strada diritta che conduceva alla reggia. Naida la percorreva con coraggio, forza e determinazione, sostenuta dalla certezza di avere ben presto quello che sognava.
Rallentò il passo e con la mano si asciugò il sudore che le imperlava la fronte; tutta la radice dei capelli era bagnata e i fili più corti restavano appiccicati ai lati del viso pallido e dall’espressione impenetrabile. Aveva il respiro corto, camminava scalza senza curarsi di dove mettesse i piedi, con piccoli passi veloci che sfioravano appena il terreno.

Doveva incontrarsi con quel ragazzo che conosceva fin dall’infanzia e avevano condiviso tante cose insieme. Si erano dati appuntamento in un punto piuttosto lontano dalle loro abitazioni e siccome per il resto di quella giornata non avevano impegni, avevano pensato di occuparla facendo le cose che più a loro piacevano.
“E’ quasi l’una, come mai ancora non si vede?” pensò la ragazza oscurandosi in viso.
“Non viene più, lo so” disse a voce alta.
“E’ già successo altre volte…”
La voce tremava di rabbia e dolore, riprese a camminare senza una meta precisa e lo sguardo fisso a terra.

“Ehi, ma non guardi dove vai?”
Naida alzò lo sguardo e vide il giovane col quale si era appena scontrata. Era un bel ragazzo aitante, il quale, nonostante la contrarietà per quel piccolo incidente, non sembrava arrabbiato, solo un poco seccato e sorpreso.
“Mi dispiace, scusami, non ti avevo visto.”
“Io sì invece, e questa non è la prima volta.”
“Cosa?”
“Ti ho già vista alcune volte e l’ultima due giorni fa, a quel raduno di studenti presso il palazzo vicino alla biblioteca”.
Silenzio assoluto da parte di lei. Era molto amareggiata per l’appuntamento mancato, si sentiva stanca e delusa, voleva solo andarsene.
Il ragazzo le sorrise tendendole la mano.
“Mi chiamo Roy, e tu?”
“Naida” gli rispose porgendogli meccanicamente la sua senza stringerla.
“Bellissimo nome, è proprio adatto a te! Allora Naida, che ci fai qui tutta sola per la strada con questo caldo?”
“La stessa cosa che fai anche tu, suppongo” gli rispose con voce incolore, ma al tempo stesso maliziosa.
“Io sto per prendere il mio disco e andare nella costellazione qui vicina; c’è una festa nella piazza di una piccola città. Ci andiamo insieme?”
Senza attendere risposta, il ragazzo l’aveva già presa per mano e condotta sopra il suo mezzo di trasporto; lei l’aveva seguito senza fare resistenza.

Atterrarono dopo una ventina di minuti di volo.
“Sei mai venuta qui, conosci questi luoghi?”
“Non ricordo…” gli rispose quasi infastidita e con uno sguardo assente.
Per tutta la durata del viaggio, lei aveva tenuto ostinatamente gli occhi fissi verso il finestrino e si era limitata a rispondere a monosillabi alle rare domande che lui le aveva fatto.
Naida continuava a pensare al suo ragazzo, Duke Fleed che lei amava tanto e che ora la sua assenza, le procurava un male quasi fisico.

Roy aveva intanto parcheggiato il suo disco in una vasta piazza poco distante dal centro. Naida gli camminava a lato, silenziosa e assorta.
In breve arrivarono alla piazza di quella località: c’era il pieno di gente, venditori ambulanti, musica, intrattenimenti.
Quel ragazzo era alto e di bell’aspetto, dal carattere gioviale e senza complicazioni. Era stato subito attratto da quella giovane che ricordava aver già intravisto di sfuggita alcune volte e lo intrigava moltissimo per il suo mistero, quell’aria strana e forse triste, per il fascino che la sua avvenenza emanava e il fatto che lei pareva esserne inconsapevole.
Verso l’imbrunire, si fermarono a mangiare qualcosa in un locale poco lontano dal centro.
Alla fine della cena, lui le prese entrambe le mani, le portò alle labbra e la fissò intensamente negli occhi.
“Naida… restiamo qui stasera, vuoi?”
Lei aveva la testa inclinata di lato e le stanche membra appoggiate alla sedia. Annuì con un cenno del capo, poi si alzò per prima da tavola con modi aggraziati e sensuali.
“Vado ad avvertire che non rientro a casa, aspettami.”
Dopo alcuni minuti tornò al tavolo dove Roy era rimasto. La prese per mano e la condusse verso una piccola locanda, un edificio che un tempo doveva essere stato bianco, ma la trascuratezza dei gestori e il passare del tempo, avevano dato un’impronta grigiastra e un tantino decadente.
I fiori appassiti nel rettangolo del giardino e nei vasi sui davanzali dove l’intonaco si scrostava, completavano il quadro.

Entrarono nella piccola hall deserta e debolmente illuminata.
“Cosa volete?” chiese una voce afona.
“Una stanza per questa notte” rispose Roy alla donna che era apparsa come per magia, grigia e spenta come quel luogo.
“Ecco qui, ultimo piano. Non c’è l’ascensore.”
Diede loro una chiave arrugginita e di nuovo scomparve da dove era venuta.
I due ragazzi salirono le scale di quello spazio angusto e semibuio, ma arrivati in cima, una grande vetrata lasciava entrare tutte le luci insieme alla vita di quella città in piena festa.

La stanza era avvolta in una penombra tutta blu; la brezza entrava dalla finestra spalancata facendo fluttuare la tenda bianca come fosse un fantasma. Si alzava e sollevava in una danza infinita e sempre nuova: portava con sè voci, profumi, ricordi…
Naida si abbandonò come priva di forze e lasciò che tutto si compisse. Nemmeno per un istante i suoi occhi si staccarono da quella danza magica e rassicurante… anche lei se voleva poteva essere così: leggera, fluida, incorporea, senza pensieri, vagare come più le piaceva e dove voleva senza spazio e tempo, niente ricordi, dispiaceri, delusioni…


“… Ho avuto un imprevisto e non ti ho potuta avvertire. Un’importante riunione in famiglia insieme ad alcuni funzionari… non potevo assolutamente mancare. Quando ho chiamato a casa tua, mi hanno risposto che non c’eri…”
“Ma ora sono qui e qui voglio restare.”
Il principe di Fleed le sorrise ammirandola tutta. Era splendida e irresistibile. Una regale sensualità a stento trattenuta dal respiro affannoso di lei, dal calore che emanava la sua pelle.
Naida gli prese la mano e la portò alle labbra, poi lo sguardo fissò un punto lontano, verso una nota finestra del palazzo coperta da una tenda tutta bianca e che il vento caldo gonfiava.
Era questa, una tenda di stoffa molto più pesante dell’altra, quella della locanda, dove lei si era abbandonata senza riserve, ma anche senza aspettative, né desideri a quel giovane appena conosciuto.
Le tende del palazzo reale infatti, nella loro pesantezza, parlavano sottovoce ma con insistenza di obblighi importanti, cerimonie ufficiali, ruoli circoscritti e ben definiti.
Quella garza bianca che volava libera nel cielo, aveva tutto un altro linguaggio, quello che i nobili nemmeno dovrebbero conoscere.

Anche lui seguì lo sguardo di lei, e senza parlare si avviarono in quella direzione.


FINE
 
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LA CLASSE NON E’ ACQUA

1_264

L’inconfondibile rumore di un grosso pallone di gomma da masticare scoppiato, fece girare lo sguardo di Zuril verso il rettangolo della porta.
Era vestito con eleganza estrema, tutto in nero: mancavano solo gli ultimi ritocchi, che consistevano nell’eliminare ogni traccia aliena dal suo aspetto.
La figura della principessa Rubina si era materializzata sulla soglia.
“Sua Altezza ha perso la parola? Che c’è, non sono abbastanza elegante per la Sua presenza?” l’apostrofò lui con tono e sguardo ironici all’ennesima potenza.
“Oh no, sei fin troppo elegante per finire di costruire quella dannatissima base sottomarina sulla Terra; devo forse pensare che il motivo che ti spinge a scendere dalla Luna, sia di altro interesse?”
Gli disse sbattendo sul tavolo il biglietto del teatro di Tokio, sul quale era indicato il giorno dello spettacolo di lirica.
Lui non si scompose affatto, ma tutto intento a sistemarsi la cravatta, stirò le labbra in un ampio sorriso.
“Esatto, cara! Hai fatto centro!” e nel dirlo, estrasse dal cassetto una busta e la sbattè davanti agli occhioni celesti della principessa.
“Da quanto si legge in quel cartoncino, tu stai per fare la stessa cosa”, le disse con noncuranza, mentre sistemava il fazzolettino di seta bianca dentro la tasca in alto della giacca.
“Dico bene?” insinuò con studiata malizia, spruzzandosi senza parsimonia di raffinata e costosissima acqua di colonia.
“E dal momento che condividiamo lo stesso segreto interesse, perché non usare un unico mezzo di trasporto per recarci lì? Semplice, economico ed ecologico!” le disse, lasciandola basita.
“A proposito cara, anzi, Altezza, con quale toilette pensi di esibirti in platea?”
Rubina aveva taciuto per lunghi minuti totalmente spiazzata. Decise che tanto valeva arrendersi e con voce bassa, sussurrò: “Con questo abito che indosso.”
Zuril la osservò un paio di volte dall’alto in basso, poi dal basso verso l’alto. Si accomodò sulla poltrona per capire se fosse il suo computer oculare ad aver perso dei gradi, oppure lei che non aveva capito un accidente di cosa fosse in realtà l’ambiente del teatro e di come ci si dovesse presentare.
La ragazza portava i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava un lungo abitino di cotone a fiori tutto svolazzante, le ballerine ai piedi e niente trucco.
Il Ministro congiunse le mani e le posò sotto il mento, mentre cercava qualcosa di sensato da dirle.
Bisognava partire da zero, prima elementare, no, così non si poteva andare in nessun posto, tranne che tentare di integrarsi in un gruppo di Figli dei Fiori, sempre ammesso di trovarlo.
“Allora, Rubina, intanto sputa subito quella gomma, poi ti mostro com’è fatto un abito da sera.”
“Non c’è bisogno, ne ho tanti nella mia camera, vado subito a metterne uno” gli disse un tantino risentita e offesa.
“Fatti anche il trucco e la giusta pettinatura!” le gridò mentre lei era già corsa fuori.
Tornò dopo una decina di minuti con i capelli sciolti e vaporosi, un miniabito aderentissimo arancione e tutto glitterato con scollo all’americana.

A Zuril cascarono le braccia, la mascella e l’umore.

“No, scusami Rubina, però questo non puoi chiamarlo abito da sera. Partiamo subito dal colore: sbagliatissimo per il teatro e per te, perché fa decisamente a pugni coi tuoi capelli rossi.
Secondo gravissimo errore: questo modello non è da sera e nemmeno da mezza sera! E’… non so bene come esprimermi senza offenderti… voglio comunque essere gentile… non è da principessa, ecco!”
“Ma io vado sotto falsa identità, nessuno deve sapere che sono nobile” gli disse con tono piccato.
“Allora, visto che davvero non ci senti, ti dico chiaro e tondo, che solo le ragazze in cerca di clienti di notte e sotto un lampione si vestono così! Hai capito adesso, o devo scendere in altri particolari poco fini e per nulla educati?”
“Va bene, va bene, quante storie, uffa!” disse lei sbuffando e buttandosi a peso morto sulla poltrona di velluto cremisi.
Zuril aprì il suo armadio e a sorpresa, videro la luce una decina di abiti elegantissimi, raffinati e certamente molto costosi.
Rubina balzò a terra e corse tutta contenta a guardarli da vicino.
“Ma sono stupendi! Dove li hai presi?” mormorò la ragazza, mentre con una mano sfiorava quelle stoffe preziose.
“Lascia stare questi dettagli, scegline uno che ti stia bene, piuttosto.”
“Questo! Ecco, questo mi piace tanto!” disse lei e corse via a cambiarsi.
Era un lungo e liscio abito in seta blu notte con scollatura a punta e senza maniche: piccoli e quasi invisibili brillantini illuminavano di stelle quel cielo scuro. Una larga sciarpa in tulle della stessa tinta adagiata sulle spalle, completava la semplice ma raffinata toilette.
La fanciulla apparve nel rettangolo della porta e Zuril la osservò con sguardo severo e professionale, tenendo in mano un bicchiere pieno di grappa.
“Ecco, il vestito è giusto, ma su di te non va.”
“Perché?”, sussurrò lei alquanto delusa, mentre il sorriso sulle labbra si spegneva all’istante.
“Semplicemente perché richiede un fisico diverso dal tuo, capisci?”
“No!” gridò lei quasi disperata.
“Sarò semplice e chiaro: la scollatura va adeguatamente riempita. Quindi, o ti cerchi un bravo chirurgo estetico che a tempo di record ti faccia lievitare il decolletè di almeno due taglie, o scegli un modello diverso: hai ampia scelta, mi pare” le disse indicando l’armadio con la mano, mentre dal cassetto estraeva una sigaretta.
“Ma uffa, e dimmelo prima, no? L’hai detto tu che potevo scegliere un abito qualsiasi!”
“Che problema c’è? abbiamo ancora molto tempo a disposizione, prima di partire” rettificò lo scienziato, aspirando una lunga boccata di fumo.
“Questo va bene?” gridò lei arrabbiata, estraendo un vestito rosa pallido con le maniche a tre quarti, scollatura quadrata e dalla gonna ampia e ricca.
“Provalo”, rispose lui con tono neutro.
“Lo provo e me lo tengo, stavolta non lo cambio più! Che fatica essere belli!”
“Come vuoi, però ti avverto subito che, in Giappone si usa tirare uova marce non solo agli artisti mediocri, ma anche agli spettatori malvestiti. Dopo, non dirmi che non ti avevo avvertita.”
Zuril parlava con calma serafica e il tono adulto che di solito si usa con chi proprio non vuole capire. Stranamente non rivolgeva a Rubina nessuno sguardo ammirato, né tentava il benchè minimo accenno di corteggiamento. Erano quasi due estranei che dividevano lo stesso segreto, la stessa trasgressione e avevano tutto l’interesse che nessuno della base lunare li scoprisse.
“Ecco, mi piace e rimango così, non ti provare a dirmi che non sto bene, chiaro?” lo aggredì lei con la voce lievemente tremula e incrinata dal pianto represso.
“Ottimo, ti sta d’incanto! Ora accomodati sullo sgabello davanti allo specchio per l’operazione trucco e parrucco, forza!”
“Ancora? Ma che roba è? si fa tardi, andiamo!” brontolò lei sbuffando e protestando.
“Ci penso io, sarai una meraviglia.”
Con il ferro caldo e una spazzola, i capelli si trasformarono in tanti lunghi e morbidi riccioli che le ricadevano con grazia sulle spalle. Una coroncina di fiori e brillantini completò l’opera.
“Non tirare in quel modo, mi fai male, accidenti! Un giorno o l’altro, vedrai che te le taglio, quelle brutte zampacce verdi!”
“Ora guardati, non sembri più tu” le disse porgendole lo specchio.
“Sto benissimo, ora andiamo?”
“Trucco! Ti ricordo che hai la pelle molto chiara e le forti luci del teatro rischiano di farti sembrare uno spettro, quindi via libera al fondotinta e fard sulle guance.
“Quando finisce questa tortura, si può sapere?” replicò la ragazza al limite della sopportazione.

Venti minuti dopo….

“Finito! Sei splendida, la più bella dell’universo!”
“E’ vero… ma dove hai imparato tutte queste cose?” si ammirava compiaciuta nello specchio e le scarpe nuove in raso come l’abito le stringevano un poco, ma l’eccitazione di partire per questa nuova avventura, aveva il sopravvento su ogni piccolo fastidio.
Lui, da vero cavaliere le diede il braccio, aprì la porta facendola passare e insieme varcarono il lungo corridoio camminando a piccoli passettini.
“I biglietti?”
“Li ho presi, sono nella borsetta di raso. Voglio guidare io!” gli rispose lei fremente, al colmo della gioia.
In fondo, sulla porta d’ingresso, si materializzò una lunga e imponente figura: re Vega!
I due tapini si strinsero l’uno contro l’altra, mentre il sovrano tentava di mettere a fuoco le loro persone, faticava non poco a riconoscerli.
“Ma… ma voi siete… impossibile, come avete fatto?”
“N… noi… veramente… n… non sapevamo… cioè… non è come sembra, possiamo spiegare tutto” balbettarono insieme.
Il re sorrise come non aveva mai fatto.
“Ma certo che non sembrate voi, siete eccezionali!”
Zuril e Rubina rimasero attoniti.
I due trasecolarono, mentre il sovrano stringeva gli occhi in due fessure per inquadrarli meglio.
“Così non vi riconoscerà nessuno e sarete liberi di buttare bombe a destra e a manca, attacchi terroristici, bravissimi! Chi potrà mai pensare male di voi?”
Con sguardo pieno di orgoglio paterno, il re abbozzò una lieve carezza sulla testa della figlia, forse la prima da quando era nata.
“Andate pure, attendo vostre notizie a breve… sono molto contento che adesso collaborate insieme e siete così affiatati.”
Come due automi, Zuril e Rubina salirono sulla navetta parcheggiata.
“Guida tu, io non ne ho più voglia” disse lei porgendogli il telecomando.
Salirono sul mezzo e si lanciarono nello spazio.
Dopo molti minuti di silenzio, lei, tenendo ostinatamente lo sguardo verso l’oblò, chiese: “Dove andiamo adesso?”
“Io a suicidarmi, e tu?”
“Svolta a destra, la vedi quella costellazione? Ho una mia base, mi fermerò lì per un lungo periodo.”
“Ecco, siamo arrivati, è questo il luogo?”
“Sì, ciao e buon suicidio: ti consiglio di usare un sistema rapido e indolore, addio.”
“Ciao, Rubina, stammi bene”, le sussurrò facendola scendere dal velivolo.
“Perso per perso, tanto vale che vada a vedere lo spettacolo: a morire c’è sempre tempo” decise lo scienziato osservando l’orario e il biglietto del teatro. Cambiò rotta e puntò veloce sulla Terra.


FINE
 
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CENTRO DI RECUPERO

1_265

“Ti dico che Hydargos tiene le bottiglie di liquore sotto il letto, poi altre ben nascoste nei cassetti della scrivania, qualcuna nell'astronave, delle altre non mi ricordo dove, ma poi vedrai che mi verrà in mente.”

Lady Gandal, di rosso vestita e con la voce più stridula del normale, notiziava il consorte con particolari minuziosi sul ben noto vizio di Hydargos, vizio del quale tutti ne erano a conoscenza, ma che secondo quanto lei diceva aveva rotto gli argini, ora non si poteva più tacere, anche perchè il soggetto in questione, prendeva una cantonata dietro l'altra quando guidava gli attacchi bellici contro i terrestri.
Non usava bene i comandi dell'astronave, guidava a zig zag come un ubriaco, aveva la voce impastata, barcollava, il suo già scarso acume era molto al di sotto dei livelli soliti.

Gandal era piuttosto scocciato che fosse la moglie ad aver scoperto queste ultime novità; dopotutto il comandante era lui, quindi suo il compito e la responsabilità di vigilare su una condotta irreprensibile dei suoi sudditi.
“Ma sei davvero sicura?” le chiese con voce un tantino tremolante.
“Io lo vedo come sempre, cioè voglio dire, bere ha sempre bevuto e lo sappiamo tutti, però non lo vedo così fuori di testa come mi stai dicendo tu.
Non è mai stato una cima, a volte si fa prendere troppo dall'ansia e dalla rabbia, ma del resto ha avuto così tante sconfitte per colpa di quel dannatissimo Goldrake, che essere alterato non è poi così strano. Voglio dire che il suo atteggiamento non è da ubriaco fradicio, ma da uno che vuole riuscire nell'impresa e viene sistematicamente battuto, quindi è per forza frustrato, ma non...”
“Zitto! So bene quel che dico e te lo dimostrerò, vedrai!”
Il comandante tacque e quindi di malavoglia acconsentì, ma si ripromise di tenere a sua volta gli occhi bene aperti.

Dal canto suo, Hydargos era lontano anni luce al pensiero di immaginare ciò di cui si stava parlando alle sue spalle e quindi al pericolo incombente.
Tutto contento al pensiero di essere solo e non visto, accese il computer in sala di comando, entrò col suo nickname nella pagina “ordini online” e una meraviglia di bottiglie multicolori gli allietarono subito la vista.
Con la bava alla bocca lesse bene le marche, i tipi, le gradazioni, l'anno e il luogo del prodotto imbottigliato, i costi, i tempi di consegna, quindi con gesti rapidi ed esperti digitò un grosso ordine e a caratteri cubitali scrisse: “Urgente” con inchiostro rosso vivo e ben sottolineato.
Sentì dei passi nel corridoio e con scaltrezza cambiò subito pagina e passò in quella definita: “Mostri da combattimento”. Si mise ad osservare con espressione impegnata e tesa il meccanismo di quella macchina che doveva essere già perfetta e pronta all'uso.
Come Gandal mise la testa dentro la stanza, fece finta di non aver sentito subito e questo solo per dargli ad intendere la totale concentrazione sul suo lavoro.

“Come andiamo? Procede tutto regolare? Se non sbaglio, una nuova formazione di minidischi che precedono il mostro è già pronta. Tu a che punto sei?”
Hygargos attese qualche secondo prima di alzare lo sguardo e rispondere.
“Tutto bene Comandante, ci siamo quasi.”

Dietro le quinte, Lady Gandal svolgeva un servizio segreto davvero di tutto rispetto.
Aveva innescato una rete invisibile e sottilissima di informazioni, microfoni spia, telecamere nascoste all'occhio di chiunque. Voleva salire di grado, ecco perchè, ora l'occasione le si presentava su vassoi d'oro zecchino, non doveva sbagliare una mossa e alla fine re Vega avrebbe dovuto farle l'inchino, ammirarla, ringraziarla, incoronarla e ancora di più.
Ogni tanto una vocina sottile ma insistente le interrompeva in modo brusco i sogni e le ricordava: “non correre troppo con la fantasia, ti ricordi la storia della ricottina?
Lei faceva tanti castelli in aria e quando ha fatto l'inchino sono finiti a terra, ricotta e sogni di gloria. Stai attenta, fa un passo per volta.”
Quelle parole la facevano arrabbiare e tentava di farle tacere, ma tornavano sempre.

Il giorno dopo, arrivò alla base uno scatolone con scritto “fragile” indirizzato a Hydargos.
I soldati lo stavano maneggiando, quando lui dal fondo del corridoio li prevenne concitato:
“Non toccate quelle armi, le ho inventate io usando una formula da me studiata, poi le ho fatte costruire fuori, in un pianeta dove hanno fabbriche speciali.”
Intimoriti si allontanarono, lui portò il pacco nella sua camera, si chiuse a doppia mandata e lo aprì.
Una meraviglia di bottiglie provenienti da ogni angolo della Terra, gli accarezzò lo sguardo.
Non erano i soliti liquori che maneggiava abitualmente, ma navigando su internet, aveva scoperto che i terrestri sapevano coltivare molto bene una certa pianta, la quale pianta produceva un frutto chiamato “uva”; questo frutto, una volta spremuto e fermentato nella giusta maniera, produceva un liquido dorato oppure rosato, o ancora quasi nero buonissimo e di tanti sapori per giunta: amabile, secco, dolce... che meraviglia!
Febbrilmente aprì le bottiglie e senza indugio ne tracannò diversi calici, uno per ogni tipo, poi ricominciò daccapo fino a svuotarle.

L'allarme ben noto a tutti, suonò con tono altissimo: re Vega voleva subito che Gandal si recasse da lui.
“Eccomi maestà, agli ordini!”
“Bene, ho bisogno di voi e della vostra metà subito, in questo istante.”
“Per servirla!” Lady Gandal aprì il cranio del consorte e si mise sull'attenti.
“Comandante Gandal, ora voi accompagnerete subito quell'alcolizzato cronico di Hydargos al Centro Alcolisti Anonimi che si trova sul pianeta Zul e resterete con lui tutto il tempo necessario alla riabilitazione. Vostra moglie vi sarà di aiuto.”

Silenzio di tomba per molti secondi.
“Vedo che non ci sono obiezioni ed è tutto chiaro, quindi ora andrete a prelevarlo di peso, dato che si trova sicuramente in uno stato comatoso quasi irreversibile e farete il vostro dovere.
Sono settimane che lo sto spiando, ho visto quello che combina di nascosto e se non lo faccio disperdere nello spazio è solo perchè in un momento di riflessione ho voluto concedergli un'ultima possibilità. Appena arrivati sul posto, fatemi sapere. Arrivederci.”

I due coniugi non ebbero né il tempo e la voglia di articolare una sillaba; con la coda tra le gambe e quasi per inerzia, si recarono da Hydargos, il quale giaceva profondamente addormentato con la testa appoggiata sul tavolo e il pavimento della camera completamente disseminato di bottiglie vuote.
Aprirono subito la finestra, dato che l'aria era irrespirabile e rischiava di portare al coma anche loro.


E ADESSO, MUSICA!

I lettori sono pregati di sintonizzarsi mentalmente nelle parti in corsivo con la melodia dei Pooh “Tanta voglia di lei”, parodiata per l’occasione.

GANDAL: Mi dispiace di svegliarti
forse amico non sarò, ma d'un tratto so che devo portarti, in un posto dove so.

LADY GANDAL: e non dici una parola
sei ubriaco più che mai, in silenzio guarderai l’aurora, so che non perdonerai.

IN CORO: mi dispiace devi andare
il tuo posto è là
il mio sire si potrebbe svegliare
chi lo sentirà.
Strano luogo di una sera
io maledirò, la tua voglia conosciuta e sincera
ma nella mente c'e' tanta tanta voglia di lei
(indicando una bottiglia vuota).

LADY GANDAL: lui si muove e la sua mano
dolcemente cerca me
e nel sonno sta abbracciando
pian piano il bicchiere che non c’è.


CORO: mi dispiace devi andare
il tuo posto è là
i terrestri si potrebbero svegliare, chi li ammazzerà.


GANDAL: strano posto di una sera
io ringrazierò, la mia lady
conosciuta e sincera
e nella mente
c'è tanta tanta voglia di lei.


Chiudi gli occhi un solo istante
la tua porta è chiusa già
ho capito che cos'era importante
il tuo posto è solo là.



FINE
 
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MORDERE LA VITA

2_64

I nostri quattro piloti, Actarus, Alcor, Venusia e Maria, quando escono dalla Base ed entrano in formazione (Maria permettendo), intonano questo motivo deciso da loro nei momenti di pausa tra un attacco veghiano e l’altro. E’ per farsi coraggio, vincere la paura, caricarsi e avere una marcia in più, è l’inno che li rappresenta, la voglia di combattere per una giusta causa.
Viene cantata in coro da tutti, non ci sono solisti, però anche qui la competizione non manca.
Alcor e Maria sono convinti di avere le voci migliori del coro; lui è il più bravo tenore del mondo, lei Maria Callas se la mette sotto un dente. Quindi non mancano battibecchi, liti, fare a gara a chi grida di più, così arrivano stecche improvvise e sgraditissime, accuse reciproche per gli errori, mettere il muso, “te lo faccio vedere io chi è il migliore, non capisci niente, vatti a nascondere, eccetera”.
In questi casi, Actarus e Venusia si ammazzano dalle risate.
“Bravi ragazzi” di Miguel Bosè.

Bravi ragazzi siamo amici miei, tutti piloti noi del ’56.

Anche se non è vero, hanno deciso di essere nati tutto nello stesso anno per par-condicio.
Maria è stufa di essere messa in un angolo (a suo dire) e di essere trattata come una ragazzetta incapace. I tre, hanno deciso di accontentarla, sperando che questo gesto democratico la faccia smettere una volta per tutte di partire per prima, uscire dalla formazione, attaccare il super mostro cattivone da sola, mettersi nei guai, far perdere tempo a tutti, nonché rischiare e far rischiare grosso.

A spasso in un mondo che si dà via la vita è solo acrobazia.
Camminiamo sul filo del cielo a più di cento metri dall'asfalto.
Siamo un punto là in alto, bandiere nel vento di città.

E stare in piedi è quasi una magia, tra tanti imbrogli, tanta ipocrisia.
Andiamo avanti senza mai guardare giù, tornare indietro non si può più.
Camminiamo allo sbando in un mondo, che sta quasi per toccare il fondo.
Sospesi nel tempo, in crisi da un'eternità.


Camminiamo sul filo nel cielo, si può cadere da un momento all'altro
Sospesi nel tempo, spossati nel vento di città.



Re Vega vuole la Terra a tutti i costi, lo sappiamo bene. Ormai non ci dorme più la notte, è il suo chiodo fisso; un giorno, senza nemmeno sapere come, ha intonato un motivo con parole molto chiare che lasciano intendere bene la sua fissazione.

“Io vivo per lei” di Andrea Bocelli.

Il sovrano sta fissando lo schermo e il suo agognato pianeta azzurro è lì davanti agli occhi: il suo sguardo è offuscato dalla rabbia mista al senso di impotenza.
Improvvisamente dalla sua bocca esce una canzone inventata lì per lì dalla disperazione.

Re Vega:
Vivo per lei da quando sai, la prima volta l’ho incontrata, non mi ricordo come ma
mi è entrata dentro e c’è restata.
Vivo per lei perché mi fa vibrare forte l’anima, vivo per lei e non è un peso.


Zuril:
Vivo per lei anch’io lo sai e tu non esserne geloso, lei è di tutti quelli che
hanno un bisogno sempre acceso, come uno mostro in camera, di chi è da solo e adesso sa,
che è anche per lui, per questo io vivo per lei.
È un pianeta che ci invita a sfiorarlo con le dita, attraverso un robot forte
la morte è lontana, io vivo per lei.

Re Vega:
Vivo per lei che spesso sa essere dolce e sensuale,
a volte picchia in testa una è un pugno che non fa mai male.
Vivo per lei lo so mi fa girare di città in città,
soffrire un po’ ma almeno io vivo.

In coro:
È un dolore quando parte.
Vivo per lei dentro Skarmoon.
Con piacere estremo cresce.
Vivo per lei nel vortice.
Attraverso la mia voce si espande e amore produce.


Zuril:
Vivo per lei nient’altro ho e quanti altri incontrerò
che come me hanno scritto in viso: io vivo per lei.


Re Vega:
Io vivo per lei
sopra un grattacielo o contro ad un muro…
Vivo per lei al limite.
… anche in un domani duro.

In coro:
Vivo per lei al margine.
Ogni giorno una conquista, la protagonista sarà sempre lei.


Re Vega:
Vivo per lei perché oramai io non ho altra via d’uscita,
perché la Terra lo sai davvero non l’ho mai tradita.
Vivo per lei perché mi dà pause e lotte in libertà.
Ci fosse un’altra vita la vivo,
la vivo per lei.


In coro:
Vivo per lei è unica.
Io vivo per lei.
Io vivo per lei.
Io vivo per lei.


Actarus e Maria sono appena tornati su Fleed. Ovunque si respira un silenzio così pesante che anche il loro respiro sembra un grido.
“La voce del silenzio”.

Actarus:
Volevo stare un po' da solo per pensare e tu lo sai ed ho sentito nel silenzio
una voce dentro me
e tornan vive troppe cose che credevo morte ormai
e chi ho tanto amato dal mare del silenzio ritorna come un'onda nei miei occhi
e quello che mi manca nel mare del silenzio mi manca sai, molto di più.


Maria:
Ci sono cose in un silenzio che non m'aspettavo mai,
vorrei una voce. Ed improvvisamente
ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto
ed io ti sento amore, ti sento nel mio cuore
stai riprendendo il posto che tu non avevi perso mai,
che non avevi perso mai, che non avevi perso mai.

In coro:
E quello che mi manca nel mare del silenzio
mi manca sai, molto di più, ci sono cose in un silenzio
che non m'aspettavo mai, vorrei una voce
e improvvisamente ti accorgi che il silenzio
ha il volto delle cose che hai perduto
ed io ti sento amore, ti sento nel mio cuore
stai riprendendo il posto che tu non avevi perso mai
non avevi perso mai, non avevi perso mai.


Contemporaneamente, sulla Terra, Alcor e Venusia puliscono le stalle e intonano la stessa nostalgica melodia con voce rotta, spezzata da un groppo che sale continuamente dalla gola.
Correre alla Base e salire sulla Cosmo Special per andare a fare un salutino ai loro amici è un attimo: hanno avuto entrambi la stessa idea e scappano senza salutare nessuno.
A metà strada un disco a loro molto familiare taglia la strada e quasi fanno uno scontro.
I loro amici fleediani hanno avuto la stessa idea e lacerante nostalgia, ora devono solo chiedersi e mettersi d’accordo per: “facciamo a casa nostra o vostra?”


FINE
 
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VATTENE VEGA

3_45

Vattene Vega, che sei ancora in tempo.
Credi di no?
Incollerito, sei scontento!
Vattene Vega,
che pace più non avrò, nè avrai; vattene o saranno guai.


Perderemo il sonno, credi di no?
I missili e minidischi,
pure il computer leggeremo male,
cattivone vedrai…
ci chiederemo come mai... ce l'hai così tanto con noi...


Magari ti chiamerò:
" Presuntuoso Cattivone, Dudu dadadà"
Ed il tuo nome sarà, l’odio e la crudeltà.


Di un grattacielo colpito che crollerà,
il Tuo nome sarà, il buio e l’oscurità.
Sulla strada per me,
ed io col disco in su… con l'alabarda t'infilzerò...
sempre là… sempre Tu... ancora un altro pò...
E poi... ancora io ti vincerò.


Vattene Vega,
mio barbaro invasore credi di no?
Invadente truffatore, vattene un pò,
che pace più non avrò, nè avrai.
Vattene, o saranno guai.


E gravi incidenti, cattivone vedrai…
la stellare guerra che ne verrà…
il nostro Cosmo Special sarà lì,
sfolgorante e brillante così…

Ancora ti chiamerò:
" Cattivone sparito, Dudù dadadà "
E il tuo nome sarà il freddo e l'oscurità.
Un comandante agguerrito che scomparirà


il tuo Odio sarà, un mese di oscurità
e nel Cielo non c'è luce nuova per te,
ed io col mio disco in sù
la Trivella ci sbatterò… sempre là… sempre tu…
ancora un altro pò… e poi, ancora ti distruggerò.


Magari ti chiamerò:
" Cattivone polverizzato, Dudù dadadà "
e il Tuo nome sarà, la sconfitta che ne verrà.

Di un minidisco scoppiato che si incendierà,
il Tuo nome sarà un pugno di cenere che svanirà…
il Goldrake ci sbatterò…


sempre là… sempre Tu...
ancora un altro pò.
E poi.... ancora in coriandoli e cenere, ti ridurrò.


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SINCERITA’

1_266

Stavolta è Venusia a cantare, esattamente nel proseguo - da me inventato - dell’episodio 23, quando lei e Actarus hanno finalmente recuperato il puledro di Rigel e chiarita una volta per tutte la sua natura aliena.
Sulla strada del ritorno, lei intona la canzone di Arisa nel suo primo Sanremo del 2009.

Sincerità
Adesso è tutto così semplice, con te che sei l'unico complice
di questa storia aliena.
Sincerità
un elemento imprescindibile, per una relazione stabile
che punti alla solidità.
Adesso è un rapporto davvero, ma siamo partiti da zero;
all'inizio era poca ragione, nel vortice dell’alienazione.

E spalare, spalare letame, per ore, per ore, per ore.
Aver molte cose da dirsi, paura ed a volte pentirsi.
Ed io coi miei sbalzi d'umore
e tu con le solite fughe, sfiorarsi ogni due settimane,
bugie per non farmi soffrire, ma a volte era meglio morire.
Sincerità
Adesso è tutto così semplice

con te che sei l'unico complice, di questa storia intergalattica.
Sincerità
Un elemento imprescindibile, per una relazione stabile, che punti alla solidità.
Adesso sembriamo due amici, adesso noi siamo felici.
Si litiga quello è normale, ma poi si spala ancora letame,
parlando di tutto e di tutti, facciamo duemila progetti.
Tu a volte col disco voli lontano, ti penso e ti tengo vicino.
Sincerità

Scoprire tutti i lati deboli, avere i veghiani come stimoli,
puntando all'eternità.
Adesso tu sei mio, e ti appartengo anch'io
e mano nella mano dove andiamo si vedrà.
Il sogno va da sè, regina io e tu re, di questa storia sempre a lieto fine.
Sincerità
Adesso è tutto così semplice, con te che sei l'unico complice
di questa storia aliena.
Sincerità

Un elemento imprescindibile, per una relazione stabile
che punti alla solidità
.


FINE
 
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SCELTE DI VITA

2_65

“Cosa desidera di più dalla vita, Altezza?” chiese la giovane giornalista con tono gentile alla principessa Rubina.
“Voglio… essere povera”, le rispose dopo un attimo di esitazione e lieve tremito nella voce.
“Prego?”
“Sì, ha capito benissimo. Io voglio essere povera, anonima e di classe proletaria”.
La donna scrisse queste parole nella sua agenda, cercando di mantenere un’espressione neutra.
“Se non ci sono altre domande, può andare”. Disse la ragazza con tono educato, ma che non ammetteva repliche.
“Le ho concesso udienza, ma ora il mio tempo con lei è finito”.
E così dicendo, si alzò dalla poltrona e fece strada alla giornalista verso l’uscita del palazzo di Rubi.
Molto delusa, la donna uscì dal portone, ma si girò un attimo per guardarla in viso.
La principessa stava dritta come un fuso con gli occhi fissi e vitrei. Chiuse bene l’uscio e se ne andò spedita verso i suoi appartamenti.
Rimasta sola, iniziò a canticchiare:

Giornalista
per favore va via
tanto tu in casa mia
no, non entrerai mai
c'è tanta gente che ha bisogno di parlare
e ogni giorno si traveste un pò
invece io voglio vivere e cantare
e devo dirti di no. . .


Nobiltà
per favore va via
non aver la mania
di abitare con me
ormai dipingerò di rosso la mia stanza
appena parti lo farò
al posto tuo ho già invitato la volgarità
e finalmente vivrò.


Zuril
per favore va via
tanto tu nel letto mio
no, non entrerai mai
ci son tante donne che ti vogliono
e si strappan i capelli per te
invece io voglio un clochard
e a casa mia lo terrò.



FINE
 
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PIANGE IL TELEFONO

1_267

Luogo: Base lunare Skarmoon.
Rubina ha appena saputo che Duke Fleed è ancora vivo e si reca alla base di corsa, ora si trova nei suoi appartamenti per prepararsi all’incontro con lui. E’ un momento importante e decisivo, ora la sua vita sentimentale può cambiare, l’importante è non sbagliare nessuna mossa.

Sappiamo della passione che Zuril prova per lei e vuole conquistarla.
Lei non ne vuole ovviamente sapere.
Zuril telefona a Gandal, il quale si trova abbastanza vicino a Rubina e a tratti riesce a vederla, mentre lo scienziato è dalla parte opposta della base.

Zuril va identificato nella parte di Domenico Modugno, Gandal nel ruolo, logicamente adattato alla situazione, di Francesca Guadagno.
Consiglio di sintonizzarsi con la melodia in sordina anche nelle parti non cantate, perché è molto più suggestiva.

ZURIL: Pronto? Ascolta, Rubina è vicino a te? Devi dire a Rubina c'è qualcuno che…

GANDAL: Posso provare a chiamarla, ma sta facendo il bagno, non so se può venire.

Rubina sta uscendo dalla vasca tutta gocciolante, ed è coperta da un piccolo asciugamano pastello; davanti all’armadio spalancato della sua camera, osserva i vari capi d’abbigliamento per decidere cosa sia meglio indossare.

ZURIL: Dille che son qui, dille che è importante, che aspetterò…

GANDAL: Ma tu, hai fatto qualche cosa a Rubina? Prima mi ha detto: “Digli che non ci sono.”

ZURIL: Ma dimmi, è già arrivata qua, è bella la sua casa, su Rubi come va?

GANDAL: Credo bene, solo che di te non vuole parlare.

“Vediamo… Allora, è primavera inoltrata, questo abito a fiorellini può andare.”
Dopo qualche istante, piuttosto arrabbiata: “Ma no! Cosa sto facendo? Se Duke Fleed mi vede con questo vestito da educanda, ricomincerà con la solita tiritera: “Sembri un fiore, sei bella, fai figura, stai bene, bla, bla, bla. Io voglio andare al sodo invece! Ci siamo visti otto anni fa, il tempo dell’asilo è finito da un pezzo per tutti e due mi pare! Una bomba sexi devo essere!”

ZURIL: Dille che son qui che soffro da sei anni, l’aspetto già.

GANDAL: Mi parevano qualcuno in meno… Però, il tempo come vola!

ZURIL: Piange il telefono perché lei non verrà anche se grido ti amo
lo so che non mi ascolterà.
Piange il telefono perché non hai pietà, però nessuno mi risponderà.


“Questo completino nero sadomaso è l’ideale. Minigonna con le borchie, tacco venti, spilloni, guanti e stivali lunghissimi. Smalto e rossetto neri.”
Dopo qualche istante, con disappunto: “No, non sono convinta, non va affatto bene. Sospettoso com’è, potrebbe pensare che voglio ferirlo con queste potenziali armi e se mi scappa anche questa volta, chi lo ripiglia più?”

ZURIL: Piange il telefono, perché lei non verrà anche se grido ti amo,
lo so che non mi ascolterà.
Piange il telefono perché non hai pietà però nessuno mi risponderà.
Ricordati però, piango al telefono l'ultima volta ormai
ed il perché domani tu lo saprai.


Falla aspettare!

GANDAL: Sta uscendo…

“Ho trovato, ecco cosa mi metto! Vestitino semi trasparente, corto e svolazzante: apparentemente casto, ma che non lascia quasi nulla all’immaginazione, ballerine ai piedi.
Quando arrivo alla radura dei fiori gialli dove gli ho dato appuntamento, qualche istante di fermo immagine, in modo che possa vedermi bene. Mi metterò controluce, così le trasparenze saranno in risalto, poi gli corro incontro. Immagine bucolica, apparentemente casta e innocente.
Al primo accenno da parte di lui che gli sembro un fiore, lo gelerò così: “Qui c’è un magnifico letto di fiori, approfittiamone! Poi, con la mano lo butto a terra e il resto verrà da sé!
Una spruzzata di profumo “Malizia”: mi pettino con la testa in giù, così i capelli diventano belli gonfi, lacca a volontà e sono pronta.”

ZURIL: Falla fermare!

GANDAL: E’ andata via!

Rubina sta attraversando il corridoio col suo trolley. Di vestiti è meglio averne un certo numero, non si sa mai. Il completino nero sadomaso giace sul fondo insieme ad altri di tutti i colori e lunghezze; del resto, mica vuole fare solo un salutino al suo principe. Ora che l’ha beccato, ha deciso di tenerselo ben stretto e per sempre.

ZURIL: Se è andata via… allora addio…

La pantera cosmica sta decollando, lasciando dietro di sé una nuvola di fumo nero.
Rubina ha azionato i motori al massimo ed è quasi arrivata.
Buona fortuna!



FINE


 
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MOLTI RICORDI E POCHI RIMPIANTI

2_66

Il TFO di Alcor giaceva come sempre parcheggiato dentro il deposito del ranch Betulla Bianca.
Rigel era più che mai deciso ad usarlo, voleva a tutti i costi provare l’ebbrezza di spiccare il volo e approfittare dell’occasione per incontrare i suoi amatissimi amici dello spazio.

“Come membro del comitato ho il dovere di contattarli, altrimenti potrebbero offendersi, devo fare di tutto per riuscire a vederli. Voglio assolutamente approfittare di questa giornata in cui Alcor starà fuori tutto il giorno, quindi prenderò finalmente il volo col suo mezzo. Lui non vuole mai lasciarmelo usare, non si fida di me, ma si pentirà quando gli porterò notizie dallo spazio, anzi, qualcuno verrà fin qui alla fattoria per stare con noi! Non sto più nella pelle al solo pensiero, voglio partire subito!”

Pieno di energia e ottimismo, con una pala tentava invano di aprire il cofano, ma dopo un’ora di inutili fatiche, si trovò a terra tutto sudato e con la testa che gli girava.
“No, non va, niente da fare, ma io non mi arrendo per così poco! Ho un’idea, vado nello studio di Procton e lui mi metterà in contatto con gli ufo!”
Tutto contento della geniale idea, montò sopra ad un puledro intento a brucare l’erba.
“Al galoppo!”
Con stupefacente energia salì sopra l’animale, ma non avendo ben calcolato le misure, si trovò a terra dopo aver sbattuto la testa contro un albero.
Proprio in quel momento, il dottor Procton avanzava verso il ranch per incontrare Rigel; quest’ultimo lo vide in lontananza e alzatosi gli corse incontro.
“Caro Procton, qual buon vento? Hai avuto la mia stessa idea, stavo giusto pensando di venire da te.”
L’amico non gli rispose subito, si limitò a guardarlo intensamente, di certo i suoi pensieri erano lontani, la sua persona trametteva un vago senso di rimpianto, una velata malinconia, qualcosa di intenso e indefinibile.
Ospitale come sempre, Rigel lo fece accomodare in veranda, e passando rapidamente dalla cucina, uscì con due bicchieri pieni di liquido arancio.
“Oggi tutti i nostri ragazzi sono andati in città per compere importanti, ho saputo.”
Dopo un attimo di esitazione, il dottore confermò.
“Sì, li ho mandati io per ritirare dei pacchi alla stazione ferroviaria: il corriere avrebbe tardato molto di più ad arrivare, e noi ne avevamo bisogno subito.”
Rigel attaccò uno dei suoi interminabili discorsi saltando di palo in frasca, il lavoro alla fattoria, aneddoti del passato, fatti realmente accaduti mescolati ad una buona dose di fantasia. Non la finiva mai di conversare, ma il suo amico non lo sentiva più; la mente lo stava riportando ad un passato lontano, dove molto tempo prima di trasferirsi in Giappone, aveva fatto un incontro importante e che ora si ripresentava sulla scena della memoria in ogni suo particolare, senza bisogno di evocarlo, vero e tangibile.
“Buonasera. Cosa le porto da bere?”
“Vorrei la specialità del locale, purchè sia analcolico, grazie.”

Pochi minuti dopo, la ragazza serviva al dottore una flute contenente un liquido ambrato e leggermente frizzante, ornato di scorze d’arancia e foglie di menta.
Il night era piuttosto piccolo e senza pretese, la luce verde soffusa unita alle note di un motivo americano in voga in quel periodo, davano a quel luogo un lieve tocco di teatralità.
“I clienti se ne stanno andando via quasi tutti e anche il mio turno sta per finire, le dispiace se le faccio compagnia?” gli chiese la ragazza e senza attendere risposta, si sedette nell’unico posto libero di quel piccolo tavolo rotondo.
Aveva lunghi capelli biondi ondulati, la figura armoniosa e una voce gradevole con un lieve accento sudamericano. Gli disse che lavorava lì da un paio d’anni: se ne era andata via di casa, perché non tollerava l’idea di vivere ai margini della città in una famiglia di agricoltori senza un briciolo di cultura e interesse che non fosse quello di allevare bestiame, piantare cotone, ammazzarsi di fatica per poi invecchiare anzitempo accumulando denaro senza averne mai capito il valore.
“… durante il giorno ho mille interessi, mi piace molto leggere, ma soprattutto viaggiare, coi risparmi conto di poter avviare molto presto una mia attività, il mio sogno è investire in un negozio di abbigliamento esclusivo, oppure in un’agenzia di viaggi…”

Dopo una mezz’ora di monologo quasi ininterrotto gli chiese: “Mi chiamo Lorna. E lei di dove viene?”
“Mi occupo di astronomia e sono in questa città, perché per un’intera settimana ci sarà un convegno molto importante, al quale anch’io darò un contributo in qualità di scienziato.”
“Allora possiamo rivederci, tra l’altro avevo proprio deciso di prendere una settimana di ferie.”

Procton accettò di buon grado, quella ragazza lo intrigava davvero, era molto diretta, aveva preso lei l’iniziativa, ma per quanto assurdo potesse sembrare, non era per nulla invadente o inopportuna, poteva paragonarla ad una lieve brezza, un raggio di sole che non ferisce l’occhio, la sua voce pareva accarezzargli l’orecchio.
Il locale stava per chiudere, entrambi si alzarono, lei prese il bicchiere e bevve quel che restava del suo contenuto.
“Com’era? Non male” giudicò con una lieve smorfia. “Ma c’è di meglio”, concluse.

Nei giorni a venire si incontrarono molto spesso: quando il dottore non era impegnato nei suoi studi e nel stilare relazioni, uscivano, visitavano musei, negozi, facevano lunghe camminate nell’immenso parco al centro della città.
“Domani verrò a sentire la tua conferenza, sarò in prima fila, vedrai!”
Lui si illuminò tutto. Era la prima volta che provava un così forte feeling con una donna, benchè molto giovane e con un passato tanto diverso dal suo.
Quella sera cenarono in un ristorante davvero elegante e raffinato; Lorna aveva un abito di raso blu molto scuro e i gioielli di acquamarina azzurro chiarissimo come i suoi occhi, spiccavano sullo sfondo della stoffa ed emettevano bagliori multicolori al contatto della luce dei lampadari di cristallo pendenti dall’alto soffitto.
“Mi sembra di averti sempre conosciuta, è come ci fossimo aspettati da lunghi anni e dati appuntamento qui. Lorna, io voglio stare per sempre con te”, così le sussurrò l’eminente scienziato di fama mondiale, in una limpida e tiepida sera di giugno, fissandola profondamente.
“Anch’io”, gli rispose con semplicità.
Lui le prese la mano e la baciò. Nello stesso istante, l’acquamarina che portava al dito, brillò come in segno di approvazione.

Il pomeriggio seguente, Procton si recò alcune ore prima dell’inizio della conferenza nella sala dei convegni, ripassò tutti i suoi appunti, salutò con piacere i colleghi e insieme parlarono a lungo dei loro progetti, delle scoperte, delle nuove possibilità.
La sala si riempiva rapidamente di persone, Lorna arrivò puntuale, vestita con un elegante abito a giacca color pesca e attese.
Iniziò la conferenza e a turno, gli scienziati esposero le loro teorie. Fu un grande successo: tutti applaudirono a lungo e il dottore ebbe un meritato successo personale.
Alla fine, dopo che tutti si furono congratulati a vicenda e congedati, ognuno prese la sua strada.

“Caro Procton, a cosa stai pensando? Guarda che se non bevi adesso quel bicchiere di oransoda, presto non sarà più fresco. Cosa ti succede? Mi sembri strano”, osservò Rigel tornato finalmente a terra e con una leggera apprensione.
“No, niente, stavo solo pensando al contenuto dei pacchi e all’uso che devo farne”, gli rispose prontamente: intanto ricordava con precisione estrema e in ogni suo particolare, l’epilogo di quella storia.

Il mattino successivo alla conferenza, il dottore si era svegliato quando il sole era già alto nella sua camera d’albergo e al posto di Lorna, aveva trovato una sua lettera di congedo.

… è stato tutto molto bello il tempo trascorso con te e avrei voluto con tutto il cuore, passare la vita al tuo fianco… ma ieri sera, quando ti ho visto così preso dalla tua passione per l’astronomia, l’intensità della luce nei tuoi occhi quando esponevi le tue ricerche, l’interesse per i colleghi... ho capito che non c’è spazio per altro, che resterò sempre all’ultimo posto, anche se sono convinta che mi vuoi bene veramente e tu sia sempre stato sincero con me.
E’ solo che hai altre priorità e tra quelle io non sono compresa, come quella di crearti una famiglia, l’ho capito molto bene questa notte, quindi esco dalla tua vita in punta di piedi, ma sappi che ti voglio bene veramente e questi giorni passati insieme non li dimenticherò mai più, avranno sempre un posto speciale nel mio cuore e mi daranno la forza per affrontare la vita in tutti i suoi aspetti e le sue difficoltà.

Grazie di tutto, addio.

Lorna


Dopo che il ricordo ebbe preso tutto lo spazio che esigeva nella mente di Procton e il sipario delle sue fantasie si chiuse, arrivarono di corsa Actarus, Alcor e Venusia con la macchina piena di acquisti.
Oltre ai pacchi che dovevano servire per il centro ricerche, avevano fatto la spesa per tutta la settimana e comprato anche qualche capo di abbigliamento nuovo per Mizar, visto che stava crescendo a vista d’occhio.

“Ecco qua i nostri ragazzi!” dissero in coro i due uomini.
Andarono loro incontro sorridendo, per aiutarli a scaricare e sistemare ogni cosa e nel cuore del dottore si compì definitivamente l’elaborazione di quella perdita, che in realtà non era stata tale, ma un arricchimento, un’esperienza indispensabile in quel capitolo della sua esistenza.
Si rese conto che Lorna l’aveva capito ben più di quanto lui conoscesse sé stesso a quel tempo, era stato giusto così, tutto aveva avuto un senso, un inizio e una fine.
La vicinanza con quella ragazza anche se solo per un breve periodo, la sua allegria, la sua giovinezza e finta spensieratezza, erano stati valori aggiunti per lui e allo stesso modo era stato per lei.

Non gli mancava proprio niente e quando un giorno la guerra con Vega sarebbe finita, i suoi progetti sarebbero continuati, sì, niente si era perso, anzi, ora aveva molto di più, pensò, mentre lo sguardo avvolgeva tutte le cose e persone che gli erano accanto in quel momento.
Era quello il suo mondo, la sua vita, ed era ciò che desiderava davvero.



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SE SON ROSE… S-FIORIRANNO

1_268

Cari amici terrestri, mi presento. Mi chiamo Lya, sono una fata invisibile e provengo dalla Via Lattea. Il mio compito è quello di sistemare cuori infranti e simili. Dato che sono molto laboriosa e piena di intuito, i superiori mi danno sempre gli incarichi più complicati e difficili… però, mai che arrivi quel tanto sospirato aumento di grado che mi promettono e rimandano da tempo immemore…
Comunque, bando alle ciance, è la prima volta che devo svolgere una missione sul pianeta Terra… che, devo riconoscere, non è male, visto dall’alto è di un bellissimo blu, il mio colore preferito del resto. Aspetta… vediamo il computer… ah, ecco, precisamente in Giappone, sì, in una fattoria, eccola qui, la vedo. Però, è bella grande, eh, accidenti!
Vediamo ancora… chi è il cuore a pezzi da ricomporre? Eccolo, è questo, mi pare un tipo aitante, davvero niente male… si chiama Alcor, è un brillante scienziato, noto aviatore, la sua ex si chiama Sayaka… sì, esatto. Ma che problemi deve avere con le ragazze un tipo simile, boh? Dunque, leggiamo il resto di questo interminabile papiro… ah, ci sono: si è invaghito di una ragazza già sentimentalmente impegnata. Mah, impegnata mi pare una parola grossa, forse ci può ripensare, del resto questo ragazzo ha fascino… voglio però capire com’è l’altro giovane, il suo rivale, devo farmi un’idea di tutto l’insieme: in quanti vivono qui, cosa fanno, gradi di parentela, amicizie e affini… le solite cose, che barba!


Finito questo incarico, avrò finalmente il mio nuovo ruolo: basta con i problemi di coppia e via libera all’attività manageriale. Non vedo l’ora, sono davvero stanca di cuori solitari, cuori accoppiati che non si sopportano, single di ritorno, ritorni di fiamma, liti infinite, ripensamenti, triangoli, quadrilateri, pentagoni, esagoni, uffa! Voglio occuparmi di problemi di lavoro, ecco!
Vedo che si è già fatta sera, domani all’alba mi metterò subito all’opera, buonanotte a tutti!


“La colazione è pronta, venite, forza!” sbraitava Rigel con tutto il fiato che aveva in gola. Ben presto arrivarono tutti e presero posto al tavolo.
“Finalmente la scuola è finita, sei contento Mizar?” gli chiese Actarus con sguardo complice.
“Per fortuna sì, con questo caldo chi ce la faceva più a studiare? Devo occuparmi della fattoria e degli animali, voglio essere capace di addestrare un puledro.”
“Non correre troppo, aspetta di crescere ancora” gli rispose distrattamente Rigel mangiando a quattro palmenti.
Alcor aveva fatto in modo di mettersi vicino a Venusia e coglieva ogni occasione per catturare la sua attenzione facendole piccoli dispetti, come buttarle palline di pane, bere nella sua tazza, lanciare a terra il tovagliolo. Questi atti maleducati e invadenti avevano il potere di irritare la ragazza, altro che conquistarla.
“Smettila una buona volta Alcor, si può sapere cosa ti è preso questa mattina? Lasciami stare!”

Eccoli qui tutti, la famiglia al completo. Quello strambo personaggio è il padre di Venusia e Mizar, Alcor lo vedo, mentre… ooohhhh!!! Ritiro quanto ho pensato ieri: no davvero ragazzo, non puoi competere con questo giovane avvenente, dal fascino misterioso e nobile. Oh, che guaio, come farò a sistemare il tuo cuore infranto? Sto seriamente pensando che i superiori abbiano sopravvalutato le mie capacità… però non devo farmi prendere dal panico, una cosa alla volta… calma e sangue freddo.
Più tardi devo studiarmi perfettamente tutta la storia pregressa di questo Actarus, del quale non so ancora niente, ho solo dato una breve occhiata alla sua scheda; benchè giovane, hanno scritto un bel malloppone su di lui… forse sta lì il segreto del suo fascino.
Non correre Lya, fai le cose con calma, ti prego… solo così puoi sperare di dipanare la matassa.
Leggo un attimo il finale di questa storia: dunque, il mio soggiorno terrestre sarà di due mesi, al termine dei quali, Alcor incontrerà una sconosciuta che farà breccia nel suo cuore.
Benissimo! Vediamo chi è: si chiama Maria ed è molto carina! Lo vedo, devo dire anche meglio di Sayaka. Molto bene, ho capito in cosa consiste la mia missione: tenere su di morale questo Alcor per due mesetti, è piuttosto depresso e con scarsa autostima al momento… però… è piuttosto focoso, devo tenere a bada i suoi bollenti spiriti, prima che commetta qualche atto inconsulto.


“Sei pronta Venusia? Quanto ci metti a infilarti il costume?”
Alcor parlava alla porta chiusa del bagno, mentre una tentazione molesta, lo obbligava a piegarsi verso il buco della serratura per dare giusto una sbirciatina… tanto che male c’era, voleva solo guardare la ragazza mentre si vestiva.
Il colpo della porta che si apriva con violenza si assestò sul naso di Alcor.
“Andiamo, voglio arrivare a Marine Land prima di sera, muovetevi!”
Rigel era uscito dal bagno in tenuta marina e già si avviava sulla jeep: Venusia e Mizar erano ai loro posti impazienti come non mai.
Alcor li raggiunse tendendosi il naso stretto tra le mani: gli faceva un male d’inferno. Tuttavia, accese il motore e partirono subito.

Sono andati, io sono quindi libera di studiare bene le carte. Dunque, questo Actarus sta andando verso un grande edificio pieno di uomini… eccoli qui. Ah, ma è un famoso centro di ricerche spaziali di fama mondiale! Hai capito in che posto sono arrivata!

Che noia, da ore non fanno che parlare di mostri alieni e dischi volanti… forse è questo il momento giusto per studiarmi bene la storia di questo ragazzo.
Allora, eccola qui: è di origini fleediane, figlio del re di Fleed, fiuuuuuuuu… accidenti! Erede al trono, una sorella minore, vedo un posto ricco e pacifico… che bel palazzo, quante ricchezze, è una meraviglia! No, un momento… era una meraviglia, perché qui sembra che ad un certo punto sia scoppiata la bomba atomica nucleare. Non c’è più niente, tutto distrutto! Che disastro! Sono morti tutti!
Come mai? Mi sembra un popolo di cultura e tecnologia molto avanzata, come hanno fatto a non essere in grado di respingere l’attacco?


Per ora non lo so, vediamo intanto la sua situazione sentimentale. Anche qui non si scherza mica, eh? Due fidanzate, una più bella dell’altra. La prima pare molto sensuale e conturbante, quella lunga chioma verde è incantevole, che finezza! Ad un certo punto vedo la fidanzata ufficiale, una principessa straniera coi capelli rossi… davvero incantevole! Si sono poi sposati? Qui non lo dice… pare di no, perché è scoppiata la guerra. Ah, ecco! Poveri ragazzi, che brutta fine!
Ma… non capisco… devo avere letto male, è impossibile: il padre della ragazza, la fidanzata del Duca di Fleed, ha sferrato l’attacco… ooohh! Ha ucciso la figlia, ma cos’era impazzito? Ho tanta voglia di piangere, ma anche di andare là e spaccare la faccia a quel brutto mostro!
No… la ragazza è viva e vegeta, si chiama Rubina e abita sul pianeta Rubi. Si è salvata, meno male! Ci credo che abbia abbandonato quel bastardo di genitore snaturato, povera piccola! Mi fa tanta pena, è così bella e tanto sola… crederà che il suo fidanzato sia morto. No, cara, è vivo e sta bene.
Vado avanti a leggere il resto: allora, qui dice che Rubina se ne andò di nascosto da Fleed… ??? rileggo, perché non mi torna la frase. Rubina lasciò quel pianeta, perché così suo padre potè attaccare quella gente… mi sento male, sto per svenire, aiuto… forse è stata costretta da alcuni funzionari di corte, l’avranno ingannata, sembra molto giovane e ingenua, poverina. Pare di no… aiuto, oohhhh, non ci credo, mi sento male! Allora, faccio fatica a distinguere le parole, le lacrime mi offuscano la vista: il principe di Fleed, benchè fidanzato, frequentava la sua prima fiamma, Naida si chiamava, Rubina se ne accorse e, furibonda, si è voluta vendicare! Aaarrrggghhhhhhh!

Ma c’è dell’altro: il matrimonio combinato fu solo una scusa per prendere tempo, perché re Vega, il padre di quella falsa lì, aveva già deciso di conquistare tutta la nebulosa… poi… devo fermarmi perché è davvero troppo anche per me, e dire che ne ho viste di cose! No, vado avanti, sono troppo curiosa… aspetta, rimando perché sono tornati e devo controllare come sta Alcor.

“Venusia, cosa ne dici se un’altra volta io e te da soli, andiamo alla vera Marine Land soltanto per divertirci?”
“No, Alcor, deve venire anche Actarus, sennò io non vengo, capito?”

Due di picche Alcor, possibile che tu sia così di coccio? Venusia non ti si fila, è inutile.
Ho capito cosa devo fare per aiutarlo. Durante la notte, gli spargerò la mia magica polvere di: rassegnazione, autostima e fiducia nel futuro.
Continuo a leggere la storia di Fleed: l’attacco fu indiscriminato, morirono tutti e una mega bomba al vegatron distrusse per sempre quella stella. Solo il principe si salvò, scappando via col suo potente robot da combattimento… che ora si trova qui e gli sta tornando utile, perché quello sporco animale di Vega, ingordo fino all’inverosimile, mica si è arreso, eh?
Allora, qui niente di speciale… è arrivato alla fattoria Makiba sotto falsa identità, il dott. Procton è il suo padre adottivo, si è messo con Venusia, col tempo le ha detto della sua origine aliena, lei se ne è fatta una ragione… adesso lo aiuta nei combattimenti… bla, bla, bla… lui sta elaborando i suoi sensi di colpa… eccetera, eccetera…
Ma quando arriva questa Maria? E come faccio a tenere calmo Alcor per due mesi ancora?
Devo parlare con la mia base, ho bisogno di aiuto e consigli.


“Una giornata migliore per il campeggio sul lago, non la potevamo scegliere, vero ragazzi?”
“Sì, papà, però avevi paura che il tempo fosse brutto.”
“Cosa??”
“Ora dobbiamo piantare le tende, vi insegno io come fare” disse Rigel con aria di superiorità verso tutto il gruppo.
Mizar si arrangiava a pescare vicino ad Alcor, Venusia preparava il fuoco e Actarus finiva di montare per bene la tenda. E Rigel? Faceva finta di lavorare, naturalmente.

Pronto? Pronto? Parlo con la base? Sono Lya, sì quella in missione terrestre per due mesi, esatto.
Sono a metà del mio lavoro, e Alcor non migliora. In questo momento, mentre tutti si divertono al suono della musica sotto il chiaro di luna, lui mangia a più non posso per compensazione, forte carenza affettiva. Sta guardando la ragazza che gli piace con due occhi… mi fa pena, poverino, soffre!
Cosa faccio? Come? Ah... se lo dite voi, sarà così.
Mi dicono di non preoccuparmi. Ecco, vedo nel tablet che, domani il ragazzo, alla fine di una battaglia coi soliti sporchi ingordi veghiani, capirà che se anche Venusia continua a piacergli, quel che conta è mantenere l’amicizia con Actarus, non vuole rovinare i rapporti.
Sorrido soddisfatta… caro Alcor, fra un mese arriverà qualcosa di più di un’amicizia, vedrai… lo leggo qui… ah, ma… questa Maria è anche la sorella di Actarus, benissimo!
Sono commossa, che bella storia, un lieto fine stupendo, sono felice di essere venuta qui.
La mia missione non era poi così ardua come pensavo, è finita prima del previsto e ora vado a pretendere l’aumento di grado tanto promesso e desiderato.


Nello studio della Regina delle Fate

“Cosaaaaa?! Io mi rifiuto, non ne voglio sapere, mi dimetto, addio! La mia futura missione deve essere sulle imprese, i giovani disoccupati, i manager.”
“Un momento Lya, lasciami spiegare bene, non hai capito, questo è un aumento di responsabilità per te! E poi, io sono il tuo capo e tu devi obbedire, chiaro? E smettila di frignare!”
“Ma chi vuoi prendere in giro? Raccontalo a tua nonna! Preferisco sparire per sempre, piuttosto che incollare di nuovo cuori infranti!”
“Questo uomo che vedi, ha una situazione difficilissima, solo tu puoi riuscire nell’impresa!”
“Io vedo una brutta faccia celeste pallido… con chi posso accoppiare questo idiota? Ma chi vuoi che se lo fili???”
“Nessuna naturalmente, è già in coppia.”
“Senti, o tu hai bevuto, oppure vuoi farmi fessa!”
“Guarda bene nel video, allora.”
Il cranio del Comandante Gandal si aprì, e una piccola figura femminile di rosso vestita uscì e cominciò a squittire con impertinenza.
“Sono sposati e non si possono dividere, ma c’è dell’altro. Un domani, in seguito ad un grave incidente di volo, la donna cambierà fisionomia e avrà un unico corpo, quello di lui. Saranno prigionieri l’uno dell’altra, il loro diventerà un rapporto sempre più infernale, la donna tenterà di ammazzare il suo sovrano… ti prego, fa qualcosa per loro, è davvero un caso disperatissimo.”
“Ma che sia l’ultima volta, sono stata chiara?”
Lya prese la foto di Gandal con annessa tutta la sua storia e se ne andò dallo studio sbattendo la porta.


FINE


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AL CATTIVO PIACE ESSERE BELLO

2_67

Su Vega, quando i sudditi del sovrano non erano troppo impegnati a spremersi le meningi per inventare strategie vincenti contro i terrestri, benchè questo possa sembrare impossibile, anche loro avevano i problemi, le manie, i desideri e le frustrazioni di tutti i comuni mortali.
Di tanto in tanto, sulle loro scrivanie e seminascosti in mezzo ai fogli scarabocchiati, facevano la loro comparsa alcune riviste di alta moda con annesso qualche consiglio di bellezza.

In un pomeriggio particolarmente deludente dal punto di vista strategico, Zuril, Gandal e signora, vicini nello stesso grande tavolo, dove più che altro erano intenti a sbadigliare e fingere di studiare, come per tacito accordo, avevano tirato fuori dai cassetti alcuni fogli pieni di fotografie che ritraevano uomini e donne ben vestiti, truccati e pettinati all’ultima moda.
Sfogliando con avidità tutte le pagine, videro che erano reclamizzate creme molto costose, profumi, shampoo, cosmetici.
Dappertutto comparivano scritte di questo tipo: chi vuol esser bello sia… sono bello e me ne vanto… la bellezza è un dovere… basta con le scuse, da oggi mi rimetto in forma…
I tre comandanti erano abbastanza perplessi. Cosa significava la parola bellezza, ovunque ripetuta in quelle pagine come un mantra? Un dovere? In che senso?
Zuril aveva già le idee più chiare degli altri, essendo portato d’istinto a cercare sempre il meglio nel reparto femminile, ma anche in altri ambiti, specie da quando le sue incursioni terrestri avevano preso una piega non soltanto bellica, ma anche canora in senso artistico.
Gandal e consorte, cercando su internet cosa si intendeva esattamente per bellezza, trovarono:

Va distinto il concetto di bellezza oggettiva da quello di bellezza soggettiva.
La bellezza è l'insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell'universo osservato, che si sente istantaneamente durante l'esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato consciamente o inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale.
Nel suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale.

La definizione di concetti non oggettivi porta, infatti, all'influenza su di essi del gusto personale. Risulta così impossibile discutere obbiettivamente su di un argomento, senza essere influenzati dal proprio senso e gusto. Si può però definire bellezza soggettiva quella dipendente dal proprio senso estetico. Quella oggettiva è funzione del tempo e alla propria cultura, poiché tali canoni cambiano nel tempo ma restano validi per il periodo indicato. La bellezza comporta la cognizione degli oggetti come aventi una certa armonia intrinseca oppure estrinseca, con la natura, che suscita nell'osservatore un senso ed esperienza di attrazione, affezione, piacere, salute. Oggettiva invece, è la bellezza definita come un insieme di qualità rispondenti a dei canoni.
Il contrario di bellezza è bruttezza, intesa come la percezione di una mancanza di bellezza o accumulo di imperfezioni, che suscita indifferenza o dispiacere e genera una percezione negativa dell'oggetto.


Rimasero attoniti. Che paroloni! Fu l’ultima frase a lasciarli oltremodo perplessi.
Bruttezza. Mah! E io come sono? si chiedevano senza osare pronunciare la frase.

Zuril si schiarì un attimo la voce, si alzò dal tavolo e guardando fuori, si espresse in modo solenne e con tono professionale:
“Tutti i nostri mostri bellici sono per forza brutti, anzi, devono essere brutti, perché prima di attaccare l’avversario con armi offensive, lo devono spaventare psicologicamente al primo impatto visivo, così perde colpi e ha meno forza per passare al contrattacco. Devo però riconoscere che, per quanto poco attraenti in senso estetico, mancano totalmente di espressività, quella che invece era molto marcata nel King Goli, il quale non era semplicemente un mostro meccanico, bensì proveniva da un animale vero e proprio. Infatti, era sprovvisto di pilota”.
Tacquero imbarazzati, perché si ricordarono subito che, quel gioiello di orribile bestia, avrebbe avuto tutti i numeri per sbriciolare Goldrake, ma questa occasione d’oro se l’erano giocata per motivi che non era opportuno tradurre in parole. I muri a volte hanno molte paia d’occhi e altrettante orecchie.

Lady Gandal era tutta assorta nelle pagine che parlavano di acconciature: stava leggendo un articolo molto esaustivo sulle permanenti. Decise che la voleva a tutti i costi e subito anche! Quei piatti e insulsi riccioli rossi appiccicati ai lati del viso non li sopportava più.
“Voglio subito una testa piena di ricci! Zuril, prepara tu la formula chimica. E’ primavera e voglio rinnovarmi completamente” disse indicando con l’unghia lunga e arcuata dipinta di rosso magenta, una fotografia che ritraeva una modella che esibiva con noncuranza una nuvola di capelli ricci, soffici e vaporosi.
“Con piacere, faccio in un momento”.
Tornò una decina di minuti dopo con una ciotola piena di una sostanza giallastra, viscida e maleodorante.
La donna si stava arrotolando le chiome dentro a dei piccolissimi bigodini. Lo scienziato cospargeva i rotolini con quella strana roba che puzzava di acido, usando un apposito pennello.
“Che puzza! Apro la finestra, che qui si soffoca!” disse Gandal, tenendosi premuto il naso dentro un fazzoletto.
“Quanto tempo devono stare in posa?” chiese la donna cinguettando, mentre era tutta intenta a tagliarsi le pellicine ai bordi delle unghie.
“Mezz’ora esatta” le rispose Zuril.
Corse intanto nella sua camera per farsi un peeling di nascosto: voleva una pelle di velluto e pensava che il suo verde naturale sembrava spento, andava rinverdito come l’erba dopo la pioggia.
“Quando Rubina mi sfiorerà per errore e sentirà questa seta, non potrà più resistere… e non soltanto lei… questa primavera farò stragi di cuori! Sì, sìììììì, evviva!
Intanto… ecco, la mezz’ora è passata, vado a vedere il mio capolavoro a che punto è. Mi risciacquerò più tardi”.

Nella sala, la signora leggeva il giornale masticando gommose di gelatina.
“Eccoci qua, riccioli a volontà! Possiamo togliere i bigodini e passare allo shampoo”.
“Non vedo l’ora, sarò uno schianto!” disse lei al colmo della gioia.
Con abili gesti da esperto parrucchiere, Zuril le sciolse i capelli.
Ma… ahimè! Insieme ai bigodini, rotolarono via anche le chiome che si posarono sul tavolo, sotto gli occhi disperati e increduli della donna. Forse aveva sbagliato le quantità? L’acido era troppo?
“Ahhh!!! Noo!!! Non ci credo! Non è vero, non può essere vero! Quelli sono i miei capelli! Infame, delinquente! Come hai potuto farmi questo! Adesso me li riattacchi tutti come prima, chiaro? Se non lo fai subito ti ammazzo con queste mie mani, ti riduco in brandelli, razza di incompetente che non sei altro, ti odio!”
Lady Gandal aveva preso un bastone e rincorreva Zuril per tutta la stanza: lo inseguì lungo il corridoio, finchè lui raggiunse il bagno e si chiuse dentro a tripla mandata. Doveva lavare via quella roba che si era messo, gli bruciava così tanto! Sotto la doccia, ebbe la dolorosa sorpresa che insieme al gel, si staccava anche buona parte dell’epidermide. Accidenti, ma di cosa erano fatti quei prodotti?

Gandal non sapeva come aiutare la consorte, la quale intanto si era chiusa nel suo boudoir disperatissima. Si guardò di sfuggita nello specchio e… orrore! I capelli ricci di lei, si erano incollati chissà come, sopra la sua testa. Aiuto! Provò a tirarli via senza riuscirci, anzi, facendosi un gran male.

In meno di dieci minuti, tutta la base era invasa dalle urla di quei tre, che sembravano impazziti dal dolore, dalla rabbia e dalla disperazione. Correvano da un punto all’altro, se incrociavano uno specchio, venivano subito presi da crisi isteriche e convulsioni, si incolpavano l’uno con l’altro per come si erano ridotti, erano sull’orlo della pazzia.

Il segnale rosso lampeggiante che indicava una chiamata, balenò davanti ai loro occhi iniettati di sangue. Meccanicamente, Zuril accese la comunicazione. Sullo schermo era apparsa la principessa Rubina. Il loro umore scivolò ancora più in basso.
Capelli lisci e composti, nessun trucco, né creme o maschere di alcun tipo… aspetto quasi trasandato, totalmente acqua e sapone: era semplicemente divina! Rammentarono tutto quello avevano letto poco prima nell’articolo sul concetto di bellezza… oggettiva, soggettiva… beh, lei era tutto questo e anche di più… mentre loro… oohhh, che disperazione!
Era tanto bella che faceva male…

“Ma che vuoi?” le chiese con voce aggressiva e odio mal dissimulato la moglie del comandante.
La ragazza aveva dipinta sul viso un’espressione molto vicina alla paura, e i grandi occhi celesti dilatati per lo stupore. Vedeva Lady Gandal completamente calva, sopra la testa delle bolle rosse, gli occhi da pazza, il rossetto sbavato, i pugni stretti. Dietro di lei il consorte che esibiva una chioma più rossa della sua, tutta riccia e cotonata. Forse aveva preso una forte scossa elettrica… però… non ricordava fosse così pieno di capelli.
“N… niente… d… devo solo avvertire che nei prossimi giorni sarò via e forse non sempre reperibile… se avete bisogno di qualcosa ditelo adesso” balbettò a fatica con voce bassa.
“Sicuro che abbiamo bisogno di qualcosa. SPARISCI!!!”
Con un pugno ben assestato ruppe lo schermo, mentre Gandal e Zuril staccarono subito la corrente.

Le riviste di moda, bellezza e affini invece, finirono carbonizzati nel forno a 300 gradi.


FINE


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