VIAGGI DI NOZZE Questa storia parte dal presupposto che Naida e Duke si siano sposati su Fleed… e in versione piuttosto “spensierata ma non troppo”.Alcuni chicchi di riso caddero a terra, quando Naida scrollò i capelli nell’alba di quel suo primo giorno da sposa. Sorrise divertita e con la spazzola iniziò a pettinarsi con vigore davanti allo specchio ovale della grande e luminosa camera da letto nuziale.
Non le sembrava ancora vero: adesso era una donna sposata!
Sentì la mano di Duke che le sfiorava il viso e si girò a guardarlo. Era bellissimo! Si alzò dallo sgabello rovesciandolo a terra, e si buttò felice tra le sue braccia.
Lei indossava una lieve camicia da notte di seta e pizzo bianca dalle spalline sottili e molto scollata; lui un pigiama bianco in seta e raso.
C’era un’usanza piuttosto comune tra i nobili e le famiglie benestanti di Fleed: si acquistava un unico taglio di stoffa preziosa, e con quello si confezionavano fini capi da notte che gli sposi avrebbero indossato la prima volta da sposati. Per chi ne aveva le possibilità, si cucivano anche lenzuoli e asciugamani dello stesso tessuto. Dopo, venivano riposti con grande cura nella tela e custoditi gelosamente negli armadi, per poi essere di nuovo indossati ad ogni anniversario di matrimonio. Molte famiglie usavano passare questi indumenti ai propri eredi come dote, specie quando erano molto costosi, raffinati, impreziositi da perle e ricami fatti a mano.
“Cara…” le sussurrò.
Lei lo fissava con occhi languidi, ed era palese che entrambi ripercorrevano con la mente le ultime ore. Sapevano che non potevano indugiare ancora in quella stanza, perché sarebbero dovuti partire in quello stesso giorno per un lunghissimo viaggio di nozze.
In cuor loro, immaginavano i prossimi giorni e notti che avrebbero condiviso, e questo li colmava di una gioia senza fine.
“… ho deciso che, per un intero anno, svolgerete una vita del tutto simile alle persone normali, quelle cioè, che non hanno nemmeno una goccia di sangue blu nelle vene.” Così aveva detto loro il re di Fleed al termine del breve ma raffinato pranzo nuziale, svoltosi il giorno prima in un’ala riservata del palazzo.
Li aveva presi in disparte e in mezzo a loro, circondandoli con entrambe le braccia, li aveva fissati negli occhi e spiegato le sue intenzioni. “… Questo è il mio regalo di nozze per voi. Ritengo necessario che, per essere dei buoni sovrani e ottimi governanti, bisogna vivere sulla propria pelle le diverse condizioni sociali che di fatto esistono. Dalla vostra nascita ad oggi, avete appreso tutto ciò che di nobile ci può essere e questo non si cancellerà mai più, qualunque tipo di situazione incontrerete.”
Poco distante, la regina li fissava intensamente e i suoi occhi dicevano molto più di mille parole.
“Partirete per questo lungo viaggio in luoghi insoliti, dove avrete la possibilità di conoscere e studiare tutto ciò che vi sarà utile per la vita futura, ma in incognito e con abiti comuni. Ecco qui il programma…”, continuò il re, porgendo loro un fascicolo pieno di fotografie con scritte e piantine.
I due giovani erano sorpresi, ma tanto felici: tutto questo ai loro occhi non era altro una lunga vacanza, un intero anno di vacanza! Se avevano ben capito il succo del discorso come pensavano, significava non osservare l’etichetta, evitare noiose cerimonie, inviti con noiosissimi nobili decaduti che conoscevano il galateo a memoria, indossare abiti troppo eleganti che li impacciavano nei movimenti, parlare sempre a bassa voce, trattenere gli sbadigli, ubbidire, rispettare gli orari…
Erano stati felici anche della sobrietà della cerimonia: pochissimi invitati con un pranzo nuziale di poche portate, anche se era evidente che il tutto risultava molto fine e ricercato. Non si erano posti troppe domande circa la singolarità della cosa, perché per loro era stata solo una benedizione! Quando erano stati ospiti di qualche importante evento, si erano stancati moltissimo. I ricevimenti duravano almeno una decina di ore: Naida e Duke erano avvantaggiati dal fatto di avere un fratello e una sorella ancora molto piccoli, quindi la scusa per andarsene prima degli altri almeno ce l’avevano.
“Va bene!” risposero in coro raggianti.
“Per qualsiasi difficoltà dovesse presentarsi, noi ci siamo sempre… siamo la vostra famiglia, ricordatelo”, disse la madre di Naida che fino a quel momento era rimasta in disparte.
“E questo è per te”, aggiunse suo padre porgendole una piccola scatola di seta verde.
Naida l’aprì e vide che conteneva un ciondolo di oro ramato con una sottile catenella. Lo prese con soggezione, perché aveva subito intravisto che nel gioiello erano incisi dei piccoli disegni, i quali denunciavano la sua nuova condizione di donna sposata, erano simbolo di maturità, fertilità e responsabilità.
Una volta indossatolo, l’ultimo residuo dell’adolescenza sarebbe sparito per sempre dalla sua vita. Provò un istintivo momento di paura, ma subito quel sentimento fu spazzato via dal grande affetto che provava per Duke già dai tempi dell’infanzia e che era maturato col passare degli anni, dall’eccitazione di quel viaggio della durata di cinque settimane che avrebbero fatto insieme in posti semi sconosciuti e poco frequentati, ma molto suggestivi da quel che potevano vedere dalle immagini.
Sarebbe stata una lunga ed eccitante avventura e una volta tornati a casa, ancora molti mesi di luna di miele li attendevano. Il re aveva parlato di un intero anno senza obblighi nobiliari. Che regalo meraviglioso!
“Bene, allora potete andare” disse il re di Fleed.
I due giovani sorrisero felici e corsero al piano superiore per finire di preparare i bagagli.
La loro camera da letto era situata all’ultimo piano del palazzo reale e la porta finestra portava ad un ampio terrazzo, dal quale era possibile scorgere il corso del fiume circondato da piante e siepi basse.
Naida indugiò ad osservare commossa quello splendido paesaggio. Non si era mai resa conto della suggestiva bellezza di quel luogo, perché ancora non sapeva che gli occhi di una giovane donna innamorata, vedono tutto più bello.
Trasalì all’improvviso quando sentì la mano di Duke prendere la sua: non l’aveva sentito arrivare.
“Dobbiamo andare, cara”, le disse all’orecchio e lei lo seguì, rientrando nella stanza.
Le loro valigie erano quasi pronte, mancava solo l’inventario finale e chiuderle bene.
“Io dico che abbiamo preso tutto” rise lei.
“E io ti rispondo che siamo pronti a partire!”
I due giovani presero un bagaglio ciascuno e, nonostante il peso, scesero quasi di corsa al pianterreno. Erano vestiti con abiti da viaggio molto sportivi e in tela ruvida di un verde militare scolorito.
Sulla porta d’ingresso, erano a salutarli i loro genitori e fratelli. Si diedero un breve bacio e la raccomandazione da parte dei genitori, di mandare notizie ogni sera.
La prima tappa era la regione sud-est di Fleed e per arrivarci dovettero servirsi della nave pubblica. Appena saliti a bordo, rimasero colpiti da ciò che videro. Era piena zeppa di gente piuttosto malvestita e anche maleodorante. Parlavano a voce alta spintonandosi per passare, buttavano a terra le carte delle caramelle che avevano scartato, fumavano, ed erano molto maleducati.
Naida aveva trovato un posto d’angolo vicino al finestrino e da lì non vedeva quasi niente, perché la visuale era coperta dalla gente che era rimasta in piedi e non stava un attimo ferma.
Duke era rimasto sulla porta d’ingresso in cima al gradino più alto: le aveva fatto segno di andare avanti e prendere quel posto libero, con la promessa che al momento di scendere, l’avrebbe avvisata.
Il viaggio si rivelò piuttosto lungo, perché essendo una linea locale, ci furono molte fermate e ad ognuna, uscivano gruppi di persone, ma in compenso ne entravano altri, ancora più numerosi, chiassosi, sporchi e invadenti.
Era giugno e faceva molto caldo: in quella navetta di terza classe, non c’era aria condizionata e nemmeno l’ombra di un ventilatore. I finestrini erano quasi tutti bloccati o coi vetri sporchi e rotti.
Dopo circa due ore di viaggio, a Naida parve di soffocare, tentò di alzarsi per raggiungere la piattaforma vicino alla porta d’ingresso. In un’abile contorsione ci riuscì, ma il piede destro che aveva iniziato il percorso, venne massacrato dal pesante tacco degli zoccoli che indossava una specie di contadina molto bassa e dalle forme strabordanti. La ragazza soffocò un grido a fatica e piegata in due, fece per tornare al suo posto, ma vide che era già stato occupato da due gemellini tutti intenti a litigare per via dell’album di figurine e alcuni giocattoli.
Col piede stretto nella mano, Naida fece il possibile per rimanere in equilibrio e ci riuscì, perché così fitto di gente, rimanere in piedi era dopotutto un qualcosa di molto logico.
Con sguardo disperato cercò Duke e finalmente vide che le faceva segno con la mano. Con enorme sollievo, capì che era ormai prossima la loro fermata e facendosi largo tra quegli essere rozzi e maleducati, lo raggiunse.
“Tutto bene, cara?” le chiese preoccupato.
“Abbastanza… scendiamo adesso?”
“Sì, alla prossima, poi dobbiamo prendere la coincidenza che passa tra mezz’ora.”
Lei lo fissò desolata.
“Cosa? Un altro viaggio simile? Ma quando arriviamo a destinazione?”
“Dopo ci sono altre tre ore di viaggio.”
“Io non ce la posso fare” mormorò Naida affranta, nascondendo il viso dietro la spalla di lui.
Lui la fissò sorridendo, mentre le sollevava il mento con l’indice. Le disse qualcosa all’orecchio e lei si rianimò un poco.
Scesero alla stazione e finalmente poterono respirare! Osservarono gli orari degli arrivi e partenze nel grande monitor centrale, e mentre cercavano l’indicazione esatta del loro mezzo, l’altoparlante annunciò che il loro volo era stato sospeso. Si recarono subito all’ufficio informazioni, ed ebbero la conferma che sarebbero potuti partire solo il giorno successivo.
“Ci sono stati degli scioperi con conseguenti ritardi: alle nove e trenta di domani, c’è il primo volo utile” questa era stata la risposta della ragazza allo sportello.
I due giovani avevano quasi tirato un sospiro di sollievo, visto che alla fine dei conti non avevano obblighi di nessun tipo, né rigidi orari da rispettare e sinceramente, viaggiare per altre ore in quel modo, non era per nulla piacevole. Oltretutto si sentivano alquanto sudati e sporchi.
“Non ci resta che passare la notte in questo paese” le disse Duke prendendo anche la borsa di lei.
Insieme si avviarono verso l’uscita decisi ad andare subito a cercare una locanda possibilmente munita di bagno con doccia, quando davanti ai loro occhi si materializzarono all’improvviso due figure di loro conoscenza: il nonno e la nonna di Naida!
Con un sorriso fino alle orecchie e contenti come pasque, corsero incontro ai due ragazzi.
“Carissimi! Eccoci qua anche noi!”
Naida era trasecolata, non ci poteva credere. Rimase per lunghi minuti immobile e incapace di articolare una sola parola.
Duke si riprese subito e li salutò cordialmente.
Dopo alcuni minuti di chiarimenti, si seppe che i due, erano lì per fare il viaggio di nozze insieme a loro.
“… Ai nostri tempi non ci fu possibile… avevamo il desiderio di visitare questi luoghi… i vostri genitori hanno così insistito…”
A queste ultime parole, Naida trasalì.
“In che senso, i nostri genitori hanno insistito? Volete dire che avevano progettato tutto questo senza dircelo?” li aggredì verbalmente, stringendo gli occhi in due fessure.
“Certo, cara!” le disse sua nonna con semplicità e senza mai smettere di sorridere. Pareva non notare assolutamente il disappunto della nipote.
“Abbiamo lasciato le nostre borse nell’ingresso…” si ricordò il marito.
“A quelle ci pensiamo noi, voi due aspettateci qui, torniamo subito; vieni Naida!”
Lei lo seguì, ma solo perché aveva voglia di chiedergli a quattr’occhi, come mai accettava tutta questa stranezza senza battere ciglio, anzi, quasi contento!
“… Ma Naida, perché dici così? Davvero sei dispiaciuta perché i tuoi nonni si sono uniti a noi?” le aveva chiesto fissandola negli occhi con un’espressione incredula e quasi dolorosa, quando aveva sentito lo sfogo di lei.
Prima di rispondere, Naida ricacciò indietro le lacrime di rabbia che volevano prorompere, poi disse:
“Hanno deciso tutto tra loro senza dirci niente! E poi questo è il nostro viaggio di nozze, noi due soli, cosa ci fanno qui i miei nonni? Ci hanno tradito, ecco… io voglio bene ad entrambi, però… non possiamo portarceli dietro, non è un viaggio semplice per noi, figuriamoci per due anziani! No, non esiste, io non ci sto e se pensi che sia crudele ed egoista, pensalo pure, ma non cambio idea, io non sono la loro balia, chiaro?”
Lui posò a terra la pesante valigia, la fissò a lungo, poi le rispose con calma.
“Naida, ascolta: ti ricordi cosa ci disse mio padre prima della partenza? Che questo non sarebbe stato il viaggio che fanno tutti i nobili appena sposati… e che non sarebbe stato da nobili, giusto? Tu sei stata ben felice di accettare la cosa, ricordi? E ti è andato bene anche il fatto che noi due avremmo avuto un intero anno da vivere in maniera molto diversa da quella in cui siamo sempre stati abituati, no?”
“Sì, è così, l’ho detto! Ma non mi aspettavo un colpo basso come questo!” gridò lei con voce lievemente incrinata dal pianto.
“Aspetta, non ho finito. Questo non è stato un tradimento da parte di nessuno, è solo ciò che era nei patti da noi accettati, di quanto ci era stato anticipato prima della partenza. E il fatto sorpresa, non è come lo intendi tu nel senso di un inganno, ma è una cosa diversa. Vedi, per tutta la gente di ogni razza, età e condizione sociale, la vita è tutta un’incognita, ed è sempre piena di sorprese, belle e brutte; le quali sorprese, vanno adeguatamente gestite senza perdersi d’animo.
Se noi due un giorno vogliamo davvero essere in grado di portare sulle spalle una responsabilità così grande che è quella di una monarchia e nella giusta maniera, bisogna che da subito abbiamo la forza di affrontare senza panico le situazioni improvvisate.”
Si fermò alcuni istanti, lei continuò a tenere gli occhi bassi senza rispondere.
“E questa non è certo la cosa più brutta che potesse capitarci, no?” le disse con un sorriso complice.
Naida sentì un moto di ilarità prorompere sulle labbra, ma non volle darlo a vedere, quindi continuò a mantenere il broncio.
“Fammi un sorriso, dai! No? Aspetterò fino all’ora di cena, dunque… ed esattamente quando tuo nonno si accorgerà che la solita medicina è finita dentro la minestra, conferendole uno strano sapore.”
A quelle parole, lei non si trattenne più e scoppiò a ridere. E a quelle risa, ne seguirono altre, perché quel comico quadretto, veniva di solito seguito da altre scene sullo stesso tono.
“Bene, ora che ti è tornato il buonumore, vogliamo andare?” le chiese prendendola per mano.
I due giovani andarono incontro all’anziana coppia, che li aspettavano seduti su di una panchina.
Kenobi e Vera, così si chiamavano i nonni paterni di Naida, avevano entrambi superato la sessantina e si conoscevano fin dalla prima adolescenza, in quanto frequentavano lo stesso liceo della Capitale. Avevano un aspetto giovanile nonostante i capelli grigi e l’andatura non sempre spedita causata da alcuni acciacchi per via degli sport agonistici che lui aveva praticato per almeno una trentina d’anni. Lei non aveva voluto essere da meno e in gioventù l’aveva seguito in quell’attività che a volte rasentava i limiti della resistenza fisica, procurandosi così alcune cadute con conseguenti fratture che l’avevano ben presto fatta desistere dal proseguire quegli sport massacranti.
Vera era di nobili origini, ma si era sempre mormorato che il suo sangue blu, nelle ultime generazioni si fosse molto scolorito a causa della vita dissoluta della nonna di lei, la quale fin dalla giovinezza era sempre stata al limite della depravazione. Tali scandali venivano messi a tacere quel tanto che bastava a mantenere una parvenza di decoro, ma sia nel mondo della nobiltà, che nella servitù, i pettegolezzi si sprecavano.
Quando Vera e Kenobi si erano incontrati nell’augusto edificio liceale, i primi tempi si erano osservati da lontano senza avere il coraggio di farsi avanti. Un giorno, lei aveva preso la navetta sbagliata per tornare a casa e quando aveva fissato il paesaggio sconvolta perché non riconosceva quelle alte costruzioni grigie col bianco delle villette a schiera che era solita vedere, aveva sentito una voce rassicurante alle sue spalle.
“Se scendi alla prossima fermata, trovi subito la coincidenza che ti porta a casa tua…”
A casa c’erano poi andati insieme e da quel momento non si erano mai più lasciati.
Kenobi aveva delle origini nobili alquanto offuscate e molto lontane: questo era stato il problema iniziale per farlo accettare quale fidanzato e poi sposo di Vera.
Lui non si era certo perso d’animo, ma una volta presa la licenza liceale si era iscritto all’Accademia militare della capitale di Fleed, quella che aveva fama di essere la più severa in fatto di allenamenti e disciplina ferrea. Dopo un anno, aveva ottenuto l’attestato dove si diceva che il giovane si era classificato tra i primi, cioè uno dei migliori promettenti soldati che il pianeta potesse vantare.
Con quel foglio in mano, aveva bussato alla porta della fidanzata e i genitori di lei non avevano potuto fare a meno di ammirare quel giovane così serio e dalla parlata schietta, relegando quindi in un angolo remoto della mente il fatto che lui non fosse propriamente nobile. Lo era nell’aspetto e nei modi, possedeva una squisita nobiltà d’animo, cosa piuttosto rara nei giovani di quell’epoca.
Era palese che i due ragazzi non volevano proseguire gli studi, quindi acconsentirono alle nozze, le quali si svolsero in un assolato pomeriggio di fine estate.
Dato che entrambe le famiglie avevano dato fondo a tutti i risparmi per offrire ai novelli sposi una casa spaziosa e moderna, i due giovani avevano dovuto rinunciare al viaggio di nozze, ma a loro non era importato. Erano giovani, felici e innamorati, cosa potevano desiderare di più?
La loro abitazione era a pochi chilometri dal mare e ogni giorno ci andavano a piedi: passavano lunghe ore sugli scogli a guardare i gabbiani, mangiavano quello che si erano portati da casa e quei panini mai a loro erano sembrati così buoni.
Di comune accordo avevano pensato che ad entrambi sarebbe piaciuto avere molti bambini, ma di fatto ne ebbero soltanto uno dopo oltre tre anni di matrimonio: Morpheus, quello che poi sarebbe diventato il padre di Naida.
Tra una cosa e l’altra, rimandarono sempre il viaggio di nozze, finchè quando ormai non ci pensavano più, non si presentò l’occasione su un piatto d’argento.
Adesso stavano lì su quella panchina della stazione a fissare i nipoti con un sorriso stampato in faccia che non accennava a spegnersi.
Duke Fleed prese le loro borse e poi disse: “Si sta facendo sera, è meglio cercare un alloggio.”
Si avviarono lentamente verso il centro e dopo alcune centinaia di metri videro una piccola e romantica pensione a gestione familiare. In quella stagione era semivuota, trovarono quindi una grande suite all’ultimo piano.
Era grande quanto un appartamento, con due camere matrimoniali comunicanti, un salottino, il terrazzo, un bagno ampio e moderno.
I due nonni erano entusiasti, non erano mai stati in un posto così bello! A bocca aperta osservarono ogni cosa con timore e quando furono sul terrazzino adornato di gerani, credettero di aver toccato il cielo con un dito.
“Mi sembra di avere vent’anni” esclamò Vera buttandosi sulla poltroncina di vimini.
“E io credo di averne almeno venticinque” le rispose il marito ridendo.
“Vorrei restare qui per sempre…”
Naida era apparsa sulla soglia e li aveva osservati scura in volto.
“Si sta facendo l’ora della cena… volete prepararvi?” mormorò.
“Di già? Ma noi siamo pronti così…” disse il nonno, mentre la moglie fissava estasiata il cielo e tutto il panorama che li circondava.
“Più tardi staremo qui fuori ad ammirare le stelle.”
Si alzarono lentamente, poi scesero al pianterreno.
Naida e Duke si attardarono più a lungo per finire di lavarsi e cambiarsi: ne avevano molto bisogno.
La cena venne servita dentro il patio, un cortile rettangolare posto all’interno dell’edificio e che si poteva ammirare dalle camere.
“Prego, da questa parte” disse loro un giovane cameriere indicando un tavolo posto in angolo vicino ad alcune siepi.
Dopo una decina di minuti, arrivarono anche i due giovani: Naida, nonostante gli sforzi, non riusciva a mostrarsi contenta, Duke invece sorrideva sempre e si accomodò di fronte ai due anziani come fosse un fatto normalissimo, esatto, un viaggio di nozze a quattro con sorpresa: una cosa piacevole e del tutto naturale.
Arrivò il cameriere, il quale disse in tono professionale, ma cordiale: “C’è il menu fisso… ma se c’è qualche piatto che non va bene, non ci sono problemi a sostituirlo con un altro…”
“Va benissimo!” esclamarono Kenobi e Vera in coro e al colmo della gioia.
“Ma… come? Non potete mangiare tutto quello che vi pare. Tu nonno, devi seguire una dieta povera di sodio e grassi…” disse Naida molto seria.
“Senti cara, siamo in vacanza e facciamo come ci pare! E poi non siamo mica decrepiti! E se vuoi saperlo, gli ultimi esami che abbiamo fatto, sono risultati perfetti!” disse la nonna addentando un grissino.
“Qui il mangiare è semplice… fatto in casa”, puntualizzò il cameriere.
“Ce ne siamo accorti, è come essere a casa nostra… porti pure quello che avete”, rispose gentilmente il principe di Fleed.
“Da quanto tempo non facevamo un viaggio?”
“Forse mai, perché quelli che abbiamo fatto sono sempre stati per lavoro o per visite di cortesia, mai per puro piacere che io ricordi”, disse Vera al marito con sguardo sognante.
Arrivarono ben presto le portate e furono molto gradite da tutti.
Finita la cena, vollero fare una breve passeggiata nel grande viale alberato.
“Questa strada porta alla pineta: domani possiamo esplorarla da cima a fondo”, notò Kenobi con interesse.
Vera raccolse un volantino da terra e lesse che ogni mattina partiva una nave che faceva il giro di tutta la costa e verso sera rientrava.
“Io voglio andarci, guarda qui che viaggio magnifico! E’ una meraviglia, noi ci andiamo domani… voi ragazzi, cosa fate?” chiese la nonna con una punta di apprensione e forse dolore, come se solo ora si fosse accorta dello scontento della nipote.
“Mi pare una cosa ottima, che ne dici Naida? Andiamo anche noi?”
Lei si limitò ad annuire con la testa, tenendo lo sguardo fisso a terra. Duke la prese per mano e camminando dietro ai nonni, rientrarono lentamente nella locanda.
Passarono il resto della serata sul terrazzo ad ammirare le stelle e a ricordare fatti piacevoli del passato. A parlare erano quasi sempre Vera e Kenobi, Naida rispondeva monosillabi cercando di non essere scortese, mentre sentiva la rabbia mista a impotenza crescerle dentro.
Duke invece mostrava di divertirsi moltissimo a sentire parlare quei due che, a loro dire, erano felicissimi quando appena sposati avevano pochissimi mobili essenziali, niente televisione, né elettrodomestici, ma erano tanto felici.
“Ci volevamo bene, solo questo contava! La nostra casa a parer nostro, è stata progettata sul punto più bello dell’universo!” disse Kenobi.
“Era come se il cielo, il sole e le stelle fossero stato creati solo per noi. Non ci stancavamo mai di guardare le meraviglie del creato, e non capivamo perché alcuni ci dicessero con aria di compatimento che, senza computer, domestici e mobili ultima generazione, fosse impossibile stare bene”, rispose Vera sorridendo. “Andavo sempre al fiume per lavare i panni, al ritorno raccoglievo i fiori e con quelli adornavo ogni angolo della casa.”
Andarono avanti coi ricordi, finchè si fece quasi mezzanotte e rientrarono nelle camere per riposare.
Quando fu buio e silenzio, Naida rimase sveglia a lungo meditando tra sé.
“Forse sono un mostro… ma non riesco a capire il senso di questo terribile viaggio appena iniziato. Cosa può esserci di bello per due novelli sposi, andarsene in giro con due zavorre come loro. E quello che non capisco, è perché mai soltanto io sento la stranezza di questa cosa… per tutti gli altri è normale così… ma io…”
Sentì un nodo stringerle la gola e due lacrime salirle agli occhi. Girò lo sguardo verso il suo principe: come aveva sognato quei momenti nei mesi precedenti il matrimonio, le notti di passione loro due soli in posti strani e avventurosi lontani da casa, senza dover rendere conto di niente a nessuno.
E invece niente. Tutti dormivano beati e domani sarebbe stata una giornata passata a bordo di una stupida nave, certamente piena di bambini e anziani che facevano un gran fracasso. Una giornata deprimente e inconcludente: era terribile!
Dalla sua camera poteva vedere nella penombra quei due stesi nei loro letti: avevano tenuta aperta la porta di comunicazione nel caso avessero avuto bisogno.
“Ma bisogno di cosa?” si chiese arrabbiata. “A casa loro stanno sempre soli, no? Cosa c’è di diverso qui? Nemmeno un attimo soli… non credo di reggere un così lungo periodo… non ce la farò mai”, pensò con rabbia e dolore.
Naida si addormentò solo verso l’alba, quando ormai mancavano poche ore alla partenza.
Si alzò e vestì meccanicamente senza parlare: sapeva di non avere altra scelta.
Dopo aver fatto un’abbondante colazione servita in giardino, i quattro si avviarono a piedi verso l’imbarco: la nave sarebbe partita dopo una ventina di minuti.
Sentirono il fischio che annunciava la prossima partenza e coi biglietti in mano, si misero in fila per salire.
“Abbiamo dimenticato le medicine!” disse Vera ad un tratto, “Non possiamo farne a meno… Naida, ti dispiace…”
“Vado subito, voi intanto salite”, rispose lei con impeto, correndo verso la pensione.
Per alcuni istanti, fu quasi un sollievo per lei staccarsi dal gruppo: scartò subito l’ascensore e salì le scale a perdifiato. Entrata nella stanza guardò ovunque, ma non vide niente. Cercò anche sotto il letto, entrata nel bagno, vide che stavano sopra la mensola davanti allo specchio. Si attardò un attimo ad ammirarsi e quasi le dispiacque tornare da loro; sarebbe stata lì sola più che volentieri, tuttavia prese i farmaci e scese di malavoglia al pianterreno.
Ripercorse la strada che portava al molo senza fretta, quando improvvisamente si accorse che la nave era già partita e stava prendendo il largo.
Si accasciò esausta sulla panchina incapace di formulare un pensiero compiuto. Non ne poteva più, e questi erano solo i primi due giorni delle cinque settimane di viaggio che dovevano affrontare.
Poco dopo, il suo sguardo fu catturato da un foglietto caduto a terra, dove erano scritti gli orari delle partenze e degli arrivi, oltre al numero telefonico della nave.
Lo prese con impeto, poi andò a cercare un telefono.
La scritta che stava appesa sul vetro del locale di ristorazione, diceva che era incluso anche il servizio telefonico, quindi Naida entrò decisa.
Si fermò smarrita nella grande sala deserta, quando una voce femminile alta e sgarbata l’aggredì alle spalle.
“Alla buon’ora, meglio tardi che mai, eh? Ti aspettavamo da stamattina, si può sapere dove sei stata? Se cominci così, voglio proprio vedere cosa sarai capace di combinare, buona a nulla!” l’aggredì una donna molto larga e bassa dall’aria sciatta e volgare, che quasi certamente doveva essere la cuoca.
“Entra subito in cucina e comincia a lavare i piatti, muoviti!”
Naida era totalmente scioccata e incapace di articolare una sola parola.
La donna la spinse dentro la cucina senza tanti complimenti e il disordine che regnava lì dentro era indescrivibile. C’erano pile di piatti sporchi ovunque, pozzanghere d’acqua, fumo nero e denso.
“Questo è il grembiule, inizia subito a lavorare”, le disse in malo modo guardandola con aria di rimprovero. “Che razza di agenzia è mai questa, che ci manda delle lavoranti così svogliate!”
A quel punto, Naida iniziò a capire che lei era stata vittima di un equivoco, quindi tentò di spiegarsi.
“M… ma… veramente… io… io ero venuta qui sola per telefonare… la mia famiglia è partita con la nave e io non sono riuscita a raggiungerli… quindi… volevo…”
La donna era già uscita senza ascoltarla; sentiva la sua voce alta dare ordini ai camerieri e poi parlare col gestore.
“Quella là che sta in cucina è una buona a nulla, non ce la voglio qua dentro… prima di assumere gente, dovete interpellarmi, chiaro? Sono io che mando avanti la baracca qui”, gridava la cuoca.
“Ho capito, va bene…” le rispose esausto “Mandami la ragazza un momento.”
Naida entrò nel piccolo ufficio, quando sentì una mano prendere la sua.
“Duke! Come hai fatto a trovarmi?”
“Te lo dico dopo, ora andiamo” le disse sorridendole con aria complice.
“Aspetta che mi levo questo orribile e sporco grembiule: che brutto posto!”
Corsero fuori, mentre quelli del locale li fissavano sbalorditi.
Sul molo, Vera e Kenobi li aspettavano tranquilli.
“Ma… non siete partiti?” chiese loro Naida titubante “Pensavo che fino a stasera non vi avrei più visto, che gioia”, disse sollevata, mentre un sorriso che veniva dal cuore le allargava le labbra e illuminava gli occhi. Era la prima volta che, da quando erano partiti, era felice di essere insieme ai due nonni. Si era sentita sola e sperduta, adesso si rendeva conto quanto fosse importante la sua famiglia e non contava niente se quello strano viaggio di nozze fosse piuttosto insolito e un tantino affollato.
“No, non siamo più partiti, perché abbiamo fatto tardi e dopo abbiamo deciso una cosa di comune accordo; stai a sentire e dicci se ti va bene”, le spiegò Kenobi.
“Io e tua nonna, vorremmo fermarci qui per tutta la durata del vostro viaggio: il posto ci piace moltissimo e abbiamo visto che ogni giorno vengono organizzate delle brevi gite nei dintorni. Non possiamo permetterci di seguire voi due, arrampicarci per delle altissime montagne e passare alcune notti accampati all’aperto.”
Si fermò per prendere fiato, quindi Vera proseguì: “Al vostro ritorno, noi vi aspetteremo qui e torneremo a casa insieme. I vostri genitori non sapranno niente di questo piccolo complotto, anzi, telefoneremo loro dicendo quanto ci divertiamo tutti insieme… e voi farete lo stesso”, le disse strizzandole l’occhio.
“Cosa ve ne pare, ragazzi?”
Naida e Duke si fissarono un attimo, poi assentirono felici.
Decisero che si sarebbero separati il giorno dopo in tarda mattinata: adesso avevano ancora voglia di passare le ultime ore insieme per sentire ancora i racconti dei tempi passati, della loro infanzia e tanto altro.
Si alzarono senza fretta e decisero di fare un lungo giro al lago e poi in pineta prima dell’ora di cena.
Era davvero un posto bellissimo, pensò Naida, un piccolo angolo di paradiso e se fossero tornati con qualche giorno di anticipo, avrebbero trascorso gli ultimi giorni di vacanza proprio lì.
FINE
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