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Luce's fanfiction gallery

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view post Posted on 23/4/2023, 15:06     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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QUESTIONE D’IMMAGINE

2_75

“Io voglio tornare com’ero una volta” mormorò Lady Gandal avvilita e con gli occhi abbassati su un foglio raffigurante un mostro pieno di taglienti lame a specchi, fatte apposta per ferire e accecare l’avversario.
“Che significa: voglio tornare come una volta?” biascicò il consorte distratto, mentre si dedicava con passione alla playstation.

“Non fare il finto tonto, hai capito benissimo. La donna che ero e ora non sono più nel fisico e nei lineamenti. Non mi riconosco più nemmeno nella voce” disse la donna trattenendo a stento le lacrime che volevano prorompere.
“Lascia perdere queste sciocchezze!” le rispose con un moto di stizza.
“A questo nuovo mostro ideato da Zuril dobbiamo pensare invece! Sono sicuro che stavolta ce la faremo a vincere l’odiato Goldrake! Quelle lame aguzze e fatte a specchio lo feriranno a morte. Non potrà difendersi perché la luce riflettente lo accecherà e lo stesso avverrà ai piloti dei veicoli ausiliari” concluse la frase ridendo sguaiatamente.
“Ma che c’entra? Conquistare la Terra e riavere il mio aspetto sono due cose diverse ed entrambe fattibili; non capisco perché tu sia tanto insensibile e menefreghista con me!” urlò la donna gettando a terra uno specchio mandandolo in frantumi.

“Un tempo mi amavi…” sussurrò lei con voce roca “quando non c’era ancora questa guerra intergalattica, noi due eravamo una vera coppia. Ricordi?” chiese accorata e colma di rimpianto.
Gandal si era alzato senza rispondere e svelto era entrato in sala comando.

Niente – peggio che parlare con un muro, si disse la signora avvilita e depressa. Triste, stanca, ma non rassegnata, questo era. Doveva trovare una soluzione.
Lei voleva essere indipendente. Non tollerava dover condividere lo stesso corpo con quello di lui, era terribile. Era persuasa che, se fosse stata come prima, una miniatura di donna dentro il cranio di lui, un bel giorno avrebbe anche potuto uscire e andarsene a spasso dove le pareva.
Andare in giro per negozi, fare compere… e perché no? Ricevere le avances di qualche ignoto corteggiatore. Quanto le sarebbe piaciuto! Come invidiava le coppie che si cornificavano a vicenda.
Doveva essere un qualcosa di terribilmente eccitante… incontri al buio, avventure di una notte e via, sentire la vita addosso, la voglia di fare, di esistere. In una parola: VIVERE!
Lei si lasciava vivere, o almeno questa era la sensazione che sempre più spesso avvertiva e non tollerava più.
Senza troppo entusiasmo si avvicinò alla tastiera del computer alla ricerca di qualcosa… nemmeno lei sapeva cosa, ma assolutamente doveva uscire da quello stato che inevitabilmente l’avrebbe portata ad uno stato di pericolosa depressione.
Entrò in una pagina piena di capi e accessori all’ultima moda, colorati e bellissimi.
“Li avessi acquistati prima mi sarebbero stati larghi, ora invece, con questo corpo muscoloso da uomo, mi andrebbero stretti e sarei ridicola. E questo non lo permetto!
Ricordò l’indifferenza di Gandal, il suo uscire svelto dalla stanza che condividevano, il menefreghismo che aveva per lei. Un’idea improvvisa stuzzicò il suo cervello e si chiese come metterla in pratica.
In fretta e furia ordinò online un look di tutto rispetto: abito lungo in seta cremisi, sandali a stiletto in tinta, trucco, rossetto, profumo raffinato, smalto.


“Perché ancora non ti decidi a mandare il nuovo mostro abbagliante sulla Terra? Aspetti che si faccia notte?” domandò Gandal a Zuril con sarcasmo.
Erano nel grande magazzino dove giacevano i mostri pronti per essere caricati sulla nave madre.
“Mi mancano due stormi di minidischi. Ci vai tu a fabbricarli?” gli rispose di rimando con la stessa nota di sarcasmo.
“Come mai questo ritardo? Scioperi? Malattia? Altro?”
“Stiamo cercando nuove reclute e altri operai, e non è semplice trovarne al momento.”
“Ah…”

Il giorno dopo, Lady Gandal si vide arrivare un grande pacco.
“Molto bene, c’è tutto quello che ho ordinato, questo corriere funziona benissimo!”
Lo aprì e rimase a bocca aperta per la sorpresa. L’abito era semplicemente magnifico. Decise di provarlo subito, poi si mise alla toeletta per usare anche tutti gli accessori ordinati.
Profumo francese, rossetto e smalto rosso magenta, crema profumata e raffinata per il viso e le mani.
Si alzò, si vide nel grande specchio della camera da letto nuziale e sorrise soddisfatta. Con quell’abito il suo corpo sembrava molto più femminile, si vide bella coi capelli rossi tutti cotonati e quel profumo era delizioso.
Non la smetteva più di ammirarsi, finchè il noto segnale blu lampeggiante la distolse dai suoi pensieri.
“Va bene, vengo.”
Gandal aveva bisogno di lei e subito anche.
“Mi cerca solo quando gli fa comodo, accidenti a lui! Si merita una bella lezione quel grande menefreghista pallone gonfiato. Sono io l’eminenza grigia, ma gli fa comodo scordarselo, oppure usarmi quando gli pare e piace.”

“Senti, io vado nella fabbrica dei minidischi per aiutare gli operai: siamo molto indietro e non possiamo permettercelo. Ci pensi tu a inviare le email a Zuril, scannerizzare gli allegati, impostare le formule?”
“Certo caro, faccio io. Buon lavoro e non stancarti troppo” cinguettò lei.
“Fa l’operaio adesso”, mormorò sogghignando.
“Un operaio vestito da gran sera e con un profumo da stordire…”
La signora aveva fatto in modo che la mise da lei indossata, aderisse in modo indelebile su tutta la figura che lei condivideva col consorte per un minimo di 24 ore.

E così, sotto gli occhi allibiti di tutta la squadra dei magazzinieri, Gandal di diede un gran da fare a sbrigare il lavoro più in fretta possibile in “tenuta da lavoro”. Sandali a stiletto tacco sedici, abito in seta rosso, capelli cotonati, profumo da stordire.

Entro poche ore, Hayashi avrebbe comunicato allarmato a Procton, che uno grande stormo di minidischi si stava avvicinando e i nostri quattro eroi, come sempre, avrebbero svolto con coraggio e determinazione il loro compito di difensori della Terra.


FINE

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COPPIE

1_290

“Credo che, da quando frequentate il mio studio, da un anno a questa parte, possiate ritenervi soddisfatti dei risultati ottenuti, dico bene?” osservò il grande luminare dall’alto del suo scranno imponente e severo come un trono. L’enorme scrivania di legno pregiato, scuro e massiccio rappresentava una grande barriera tra lui e i pazienti che riceveva: distanza materiale, ma anche e soprattutto simbolo di alto ceto, forte distanza culturale e sociale.

I coniugi Gandal si schiarirono un attimo la voce con un leggero colpo di tosse per prendere tempo. Si sentivano molto intimoriti, sia per la professionalità da tutti riconosciuta dello scienziato, sia per la domanda piuttosto imbarazzante che avevano in mente di fargli.
Il dottore si abbandonò sulla poltrona e con modi disinvolti si accese una sigaretta. Aspirò il fumo, poi, fissando il soffitto a cassettoni lo espirò poco alla volta formando piccoli cerchi concentrici che fluttuavano lentamente verso l’alto.

“Professore, noi le siamo molto grati per averci dato la possibilità di dividere il nostro unico corpo in due unità distinte per un’ora al giorno; questo ci permette di respirare, è come per un carcerato prendere una boccata d’aria ogni tanto, senza di quella soffocherebbe”, si decise a parlare il Comandante prendendo l’argomento molto alla lontana.
“Mi sta per caso dicendo che il tempo che avete a disposizione non vi basta più?” chiese il dottore in tono neutro.
“Se il problema è questo, io posso tentare di allungare di poco i tempi, ma l’avverto che il costo salirà alle stelle e non so quanto vi convenga. I risultati che vi ho fatto ottenere sono già molto buoni.”
“No, dottore, si tratta di una cosa diversa, ma ci imbarazza parlarne…” sussurrò Lady Gandal, mentre le gote si coloravano di vermiglio.
“Dica pure signora, io sono legato al segreto professionale, qualsiasi cosa viene detta in questo studio, rimarrà tra me e voi” concluse l’uomo con semplicità.
“Bene, allora sarò chiara e netta, è da tanto che ci penso da sola, poi ne ho parlato anche con mio marito. Con immenso stupore ho saputo che aveva avuto la mia stessa idea e la vuole mettere in pratica quanto me.”
“Ecco… nei momenti in cui siamo divisi, vorremmo sperimentare nuove relazioni, io voglio incontrare altri uomini e lui altre donne. Incontri senza un seguito s’intende, ma non certo qualcosa di platonico, mi capisce?”
“Perfettamente” rispose spegnendo la sigaretta dentro l’enorme portacenere di cristallo sfaccettato.
“Non vedo problemi di sorta, tanto più che siete entrambi d’accordo, il che non porta a conseguenze nefaste come la gelosia, le liti…” disse alzandosi per congedarli.
“Ecco la parcella e vi ricordo che mi dovete anche il saldo della volta scorsa.”
Il Comandante mise sul tavolo una decina di bigliettoni, tese la mano al dottore e uscì dallo studio con la consorte.

Una volta in strada lei gli chiese: “Mi dici dove hai preso tutto quel denaro? Hai svuotato le casse reali?”
“Non proprio”, le rispose con un sorriso ambiguo. “Diciamo che ho fatto la cresta sulle materie prime; non ci crederai, ma sono riuscito a fare fesso anche quel pallone gonfiato di Zuril.
“Ben gli sta” disse lei tutta contenta, ma dopo qualche istante si rabbuiò in viso.
“Che hai cara?” le chiese con premura il marito. “Come hai ben sentito, non ci sono problemi di sorta per avere una parentesi al giorno da veri depravati” aggiunse ridendo con vero gusto.
“Questo lo so, ma… ci manca la materia prima, ecco! Su Vega non c’è nessuno che mi piaccia, e poi deve rimanere tutto segreto, l’unica soluzione è cercare i nostri possibili partner su altre stelle.”
“E’ vero, ancora non ci avevo pensato” mormorò Gandal mentre guidava a velocità folle verso Skarmoon. In teoria sarebbero dovuti essere presenti alla base per progettare attacchi bellici, altro che architettare storie hard usa e getta. Se il sire lo avesse saputo! Licenziati in tronco, questo era sicuro.
Percorsero il lungo corridoio quasi correndo e si diressero nel grande magazzino dove un centinaio di operai si dedicava alla fabbricazione dei minidischi.
“Ehi voi! Si batte la fiacca qua! Entro stasera voglio pronte almeno tre formazioni e di quelle migliori, siamo intesi?” gridò battendo le mani con fare da padrone.

Sul vano della porta, Zuril lo stava fissando con le labbra increspate in un lieve sorriso ironico.
“Dato che tieni alla puntualità degli altri, mi dici dove sei stato tutto il pomeriggio, di grazia?”
“A studiare!”
“E dove? Quando sono entrato nel tuo studio ho visto che era deserto.”
“Per forza, sono andato di persona a procurarmi un raro volume che parla di chimica esplosiva.”
“Veramente ordiniamo sempre tutto online, che bisogno c’era di perdere tempo e carburante?”
“C’era bisogno che io e la mia signora lo vedessimo di persona, se non ti spiace. Siamo precisi noi, quindi scansati che adesso dobbiamo ritirarci nelle nostre stanze per studiare” sottolineò Gandal con piglio deciso mentre mostrava a Zuril un grosso libro dalla copertina piena di disegni con esplosioni multicolori. Metteva soggezione solo a guardarlo.
Un filo perplesso, lo scienziato si allontanò in silenzio.


“Dai Alcor, non te la prendere, che sarà mai!” sghignazzò Venusia piegata in due dal ridere, mentre con un fazzolettino si asciugava le liete lacrime.
Alcor le diede le spalle e guardò ostinatamente fuori dalla grande vetrata dello studio di Procton.
Anche il dottore rideva sotto i baffi, ma era troppo educato per mostrarlo e poi non voleva urtare la sensibilità del ragazzo.
“Infine non è che non hai costruito niente, non hai perso tempo”, sottolineò Actarus con un sorriso che arrivava fino alle orecchie.
“Diciamo che, invece di costruire un’arma letale per i mostri di Vega, hai progettato una macchina perfettamente strutturata in grado di unire cuori solitari. Uno mette nel computer tutti i suoi dati e l’elaboratore li esamina. Dopo alcuni minuti, esce la coppia ideale, dico bene?”
Confuso e ancora furente, Alcor si voltò a guardare l’amico tenendo le mani dentro le tasche della giacchetta e i pugni serrati.
“Siamo in guerra, e voglio progettare nuovi dischi e bombe atomiche!” rispose furente.
“Bombe per cuori solitari” sottolineò Rigel che era apparso sulla soglia come per magia.
“Nei nostri dintorni ci sono decine di giovani single e da quanto vedo, non troppo felici di esserlo. Potremmo invitarli qui e far provare loro la tua nuova invenzione. A proposito, com’è che funziona esattamente?” domandò il ranchero senza ombra di ironia.
“Te lo dico subito, è molto semplice: poniamo che si presentino qui una decina di ragazze e altrettanti ragazzi. Ognuno deve compilare una scheda dove sono poste molte domande; il tutto viene memorizzato nel computer, il quale ha la capacità di trovare ad ognuno quella che dovrebbe essere l’anima gemella.”
“Benissimo! Sei un genio ragazzo! Tu continua pure coi tuoi esperimenti bellici e, se tu e Procton me lo permettete, vorrei organizzare qui un raduno. Sono maledettamente curioso di vedere cosa salterà fuori.”
Un poco sollevato, Alcor accennò un lieve sorriso e acconsentì all’unisono col dottore.

Rigel non perse nemmeno un istante, salì al galoppo del suo cavallo e fece il giro di tutte le fattorie vicine, porgendo loro un foglio stampato dove ogni cosa era spiegata nel dettaglio.
“Potremo aprire un’agenzia matrimoniale” si disse tutto contento.


Su Skarmoon intanto, i coniugi Gandal pensavano al come e al dove trovarsi un partner.
Non lo volevano ammettere, ma benchè i terrestri fossero i loro acerrimi nemici e conquistare la Terra una cosa di vitale importanza, non potevano negare che erano dotati di un certo fascino.
Lady Gandal pensò all’eleganza, all’aplombe, allo stile english, al savoir fair del dottore. Sempre così elegante anche in camice bianco, nessuna parola fuori posto; nei momenti più drammatici, mai si era dato per vinto o aveva mostrato debolezza alcuna. Chissà com’era nei momenti d’intimità: non certo una delusione, pensò la signora illanguidita dalle fantasie che si facevano sempre più hard.
Certo che anche Alcor era un bel giovane dal fisico palestrato, forte e ben piantato. Sicuro di sé, dal colorito sano e abbronzato, uno stile sportivo ed elegante. Da mangiare con gli occhi! Slurp!
Poi c’era il principe di Fleed. Ahhhh! Beh, lui era lui, non c’era nulla da dire. Trasudava nobiltà ed eleganza da ogni poro, non gli cresceva, né gli difettava nulla, ogni cosa al suo posto. IRRAGGIUNGIBILE!
Se solo non fosse la persona alla quale i veghiani avevano ammazzato famiglia e amici, distrutto casa e pianeta… non osava pensare a quali notti di focosa passione avrebbe potuto passare con lui. Perdersi in quello sguardo di mare e dimenticare tutto! Ma non si poteva, no, erano sogni proibiti purtroppo.

Gandal, dal canto suo, ricordò molto bene la figura gentile e aggraziata di Venusia, i suoi grandi occhi da cerbiatta, il suo dolce sorriso. Femminile, ma forte come una roccia, aveva vinto il campionato nazionale di giochi olimpici! Con la tuta spaziale era semplicemente divina! Tutto il suo fisico era rivelato con grazia, niente di volgare in lei; non sapeva spiegarsi come e perché, ma tutta la sua persona emanava sensualità ed erotismo.
“Ma come si fa… impossibile… ci sarà qualcuna per me? Potrei chiedere a quel donnaiolo di Zuril, lui sì che in un batter di ciglio mi procurerebbe una lista infinita di fanciulle bellissime e disponibili dal cuore spezzato per colpa di quell’essere degenere, ma è un segreto, abbiamo deciso che nessuno lo dovrà mai sapere.”

Al Centro di Ricerche Spaziali intanto, una decina di persone più o meno giovani, equamente divisi tra uomini e donne avevano aderito all’iniziativa.
La macchina per il partner ideale, creata per un fortuito errore di Alcor, aveva suscitato interesse e tra i membri delle fattorie vicine non si parlava d’altro.
Si era stabilito che il giorno adatto per far venire gli ospiti fosse un sabato pomeriggio intorno alle 15 circa.
Rigel si era premurato di telefonare a tutti, con cura aveva annotato i nomi sul foglio e una copia l’aveva data a Procton.

“Dottore, una chiamata da Skarmoon, venga!” gridò Hayashi allarmato.
“Premi il pulsante e stabilisci il contatto; se vogliono parlare con noi, non credo sia brutto segno.”
L’enorme cranio celeste pallido di Gandal apparve per tutta la grandezza dello schermo. Per lunghi istanti non articolò una sillaba, ma i suoi occhi sembravano in cerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno.
Eccola, è lei, pensò tutto eccitato. Aveva intravisto Venusia in un angolo dello studio china sul proprio computer. La minigonna inguinale che indossava fece salire il sangue alla testa del comandante.
“Desidera?” chiese il dottore.
“Niente paura, siamo in un periodo di pace” intervenne prontamente la sua dolce metà.
“E’ che… che… se non sono indiscreta, posso sapere a che serve quell’enorme macchina che arriva fin quasi al soffitto, dottore?” chiese mangiandoselo con gli occhi. L’uomo stava con garbo fumando la pipa, il camice era piuttosto sbottonato e Lady Gandal lo trovava sexi da morire.
“Ah, questa. Mah, un qualcosa di piuttosto originale direi: il suo interno è dotato di un computer, il quale, dopo aver immagazzinato i dati richiesti, sembra sia in grado di trovare a chi lo desidera, il partner ideale.
“Ohhh!!! Dice davvero?” esclamarono i coniugi ad una voce sola.
“Beh, ancora non l’abbiamo sperimentata, però non manca molto. Tra un’ora circa, saranno qui almeno una decina di persone a provarla.”
“E come funziona? Cosa bisogna fare? chiese la donna al colmo dell’eccitazione.
Rispondere a tutte le domande che abbiamo stampato in diversi fogli; una volta compilati vanno infilati dentro il macchinario e dopo una decina di minuti… qualcosa dovrebbe saltare fuori.”
“Solo per curiosità: possiamo provare anche noi?”
“Mah, non dovrebbero esserci problemi, vi mando il foglio via email, poi me lo trasmettete una volta compilato” rispose Procton alquanto perplesso nel sentire una simile richiesta. Quei due, non erano marito e moglie? Forse erano curiosi, ma educato com’era si astenne dal porre qualsiasi domanda.
“Benissimo, noi siamo pronti, ecco qua il nostro indirizzo:
[email protected]


QUESTIONARIO:
Nome
Cognome
Maschio
Femmina
Neutro
Età
Peso
Altezza
Colore degli occhi e dei capelli
Interessi
Stato civile e sociale
Situazione economica
Località
Titolo di studi conseguito
Attuale occupazione
Desideri e ambizioni

Nel frattempo, lo studio si era riempito di persone. Tutti avevano facce curiose e sorridenti, presero posto al grande tavolo e si misero subito a scrivere.
Rigel aveva invitato anche Hara e Banta, se non lo avesse fatto, non gliela avrebbero mai perdonata.
“Noi non partecipiamo naturalmente, siamo qui solo perché ci è stato chiesto” disse Hara ostentando superiorità. Ci manca solo che io prenda marito un’altra volta, fossi matta! pensò la donna.
Venusia se ne è andata a cavallo con Actarus, quindi non intendo scrivere nulla; che m’importa di fare questo stupido gioco? si disse Banta deluso.

Alcor invece faceva gli onori di casa. Dato che era lui l’autore della scoperta si sentiva in dovere di aiutare e, alla fine si era detto che la sua non era stata poi una sì stupida invenzione.

“Abbiamo compilato tutto dottore! Il suo indirizzo?” chiesero i Gandal tutti eccitati.
“Velocissimi! Mandatelo a [email protected]

“A che punto siete ragazzi?” domandò Alcor passando allegramente tra un tavolo e l’altro.
Dato che il tempo passava, e Hara si annoiava, prese furtivamente un questionario e lo compilò in fretta. “E’ solo un gioco, io dico che non esce nulla!”
Banta fece lo stesso; aveva intravisto una ragazza assai carina, gli sembrava fosse una studentessa del suo liceo, ma di un’altra sezione. Chissà! Mai dire mai.
Hayashi passò a ritirare tutti i fogli, li consegnò al dottore, il quale li mise con cura dentro l’enorme macchinario. L’email dei Gandal era stata infilata per prima.
Chiuse lo sportello e premette un grosso pulsante rosso. Subito la macchina si mise in funzione, faceva un rumore simile a quello di una veloce dattilografa.
Alcuni erano nervosi, altri impazienti ed eccitati, non vedevano l’ora di leggere i risultati.
Un quarto d’ora dopo, con un sibilo simile ad un fischio, lentamente lo sportello si aprì e da esso uscì un grande foglio stampato riportante i nomi delle coppie.
“Ecco, ci siamo! Vuoi leggere tu, Alcor?” chiese gentilmente Procton.
“No, faccia lei dottore, è meglio.”
“Bene! Allora, la coppia numero uno è formata dalla signorina Kaori Suzuki e dal signor Baiko Kimura.”
I due giovani sorrisero e si fecero un breve inchino. Lei, una graziosa e fragile fanciulla con una peonia tra i capelli, lui era conosciuto come il migliore campione di baseball di Tokio.
“Seconda coppia, dai nomi vedo che sono europei: la signorina Bellona Dè Matti…”
E’ lei la mia anima gemella lo so, lo so, pensò Gandal eccitatissimo.
“Col signor Miliardo Dè Conti Correnti.”

GRRRRRRRRR, ACCIDENTACCIO! Gridò battendo il pugno sul tavolo.
“Ma che fai? Vuoi spaccare tutto?” lo rimproverò la consorte, anche lei un filo delusa. Quel riccone era pieno di fascino secondo lei, non solo di bigliettoni.
“Terza coppia: la signorina Akira Mori, col signor Akinori Maeda.”
Due promettenti studenti di fisica nucleare prossimi alla laurea. Entrambi portavano occhiali dalle lenti molto spesse e nell’avvicinarsi si scontrarono.
Il dottore andò avanti a leggere almeno una decina di coppie: c’erano alcuni vedovi, altri separati e divorziati. Tutti sembravano felici al momento dell’incontro, pareva che quella macchina fosse un vero genio per risolvere il problema dei cuori solitari.

“Siamo in dirittura d’arrivo, ecco le ultime due coppie.”
I Gandal, Hara e Banta si guardarono perplessi.
“Il Comandante Gandal di Vega, con la signora Hara Arano; la signora Lady Gandal col signor Banta Harano!” concluse soddisfatto il dottore, poi, in vena di battute, aggiunse ridendo sotto i baffi: “così resta tutto in famiglia, non vi pare?”
I quattro si guardarono a lungo in cagnesco, increduli, arrabbiati, storditi e confusi, incapaci di reagire.
“Bene signori, il nostro gioco delle coppie finisce qui” aggiunse Alcor tutto pimpante.
“Soddisfatti vero? buon proseguo allora e buona serata”, aggiunse con una strizzatina d’occhio carica di sottintesi.

“Soddisfatti di che?” urlarono Lady Gandal e Hara in coro.
“Quel brutto essere celeste slavato se lo tenga pure lei, dottore!”
“Un momento bella! Come osi offendere mio marito! E’ a detta di tutti un bellissimo e facoltoso uomo!”
“E allora tienilo per te, cosa hai partecipato a fare se ti piace tanto?”
“Quel bamboccione di tuo figlio ha tutta l’aria di frequentare ancora l’asilo e dormire col ciuccio, che c’è venuto a fare qui per cercarsi una compagna?” infierì l’aliena.
“Non provare ad offendere il mio piccolo nemmeno per scherzo, sai? Ti faccio a fettine, poi ti salto in padella con lo strutto!”
“Io con quell’orribile e maleducato ammasso di carne non ci uscirei nemmeno per fare la spesa”, urlò Gandal imbestialito osservando Hara.
“Chi è stato a inventare questa diavoleria, si può sapere?” gridarono i Gandal esasperati.
“Veramente, nessuno ha mai detto fosse obbligatorio partecipare, siete stati voi che…”
“Lei Procton stia zitto che le conviene soltanto, e vista la sua “bravura” nell’inventare armi contro di noi, al prossimo attacco le conviene alzare bandiera bianca, perché di questo centro non rimarrà nemmeno una pietra!”
“Questo sarà da vedere, intanto…”
Presi da un’idea fulminea e per tacito accordo, Hara, Banta e Alcor, con colpi di martello fecero in mille briciole quell’aggeggio infernale.

Su Skarmoon, Gandal e signora riscoprirono così, le gioie dello stare insieme e della fedeltà di coppia.



FINE

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REGALO PRINCIPESCO

1_291

La data del decimo compleanno della principessa Rubina si avvicinava sempre di più, ormai mancava solo una settimana e suo padre, Re Vega, non aveva ancora deciso un regalo degno di lei.
“Di che cosa ha bisogno? Vestiti? No, assolutamente, la sarta le ha appena rinnovato il guardaroba. Libri? Nemmeno. Giocattoli? Bah! Se qualcuno gliene regala ancora, dovrò far aggiungere un’ala al palazzo reale, perché non c’è più spazio.”
Così ragionava tra sé il sovrano piuttosto preoccupato: il suo malcontento era dovuto ad un insieme di fattori. Sua figlia era sì, ancora una bambina, ma tra pochi anni sarebbe diventata una ragazza, e fin qui, nulla di male, intendiamoci. Il vero problema che nella testa del re prendeva sempre più forma concreta, era questo: Rubina, oltre ad essere la sua unica erede, ancora non dava il minimo segno di desideri espansionistici, dittatori, predatori, insomma, a dirla schietta, non sembrava sua figlia, ecco!

“Devo far qualcosa prima che sia troppo tardi” pensò, quindi premette il tasto per le chiamate urgenti.
Pochi minuti dopo, il ministro Zuril, faceva la sua comparsa nello studio del re.
“Ai suoi ordini sire” disse lo scienziato dopo un breve inchino. Il suo sguardo intelligente e perspicace, indusse Vega ad andare subito al sodo senza tanti giri di parole.
“Zuril… ho bisogno del vostro aiuto. Tra pochi giorni sarà il compleanno di Rubina, ha già dieci anni, mi sembra ieri quando tentava i primi passi, è incredibile come il tempo voli, ma non è questo il punto, il vero problema è un altro”. Si schiarì la voce per prendere tempo.
“Ecco… vedete… mia figlia è troppo zuccherosa, leziosa, ama le cose belle e delicate, legge solo storie carine e aborrisce quelle che finiscono male. Sapete, una volta ebbi l’idea di regalarle la favola del lupo e dei sette caprettini con un finale diverso dall’originale: sì, ecco, il lupo se li mangiava tutti a piccoli morsi, alcuni crudi e ancora vivi che strillavano, altri appena saltati in padella, al sangue insomma. In questo modo li ha digeriti tutti, quindi non aveva più senso aprirgli la pancia per farli uscire sani e salvi come la vera fiaba vuole.”

Con gli occhi bassi continuò: “Purtroppo me ne sono pentito amaramente, perché per molti giorni Rubina non ha fatto altro che piangere e avere incubi notturni, non voleva più uscire né stare sola, per calmarla mi sono dovuto inventare una scusa, mi pare di averle detto che avevano sbagliato nel copiare la storia, che quella vera aveva un bellissimo lieto fine, e la casa editrice aveva chiuso i battenti per fallimento.”

“Vi prego di scusarmi sire, ma… dov’è il punto?”
“Avete ragione, scusate, ma per me non è semplice affrontare la cosa. Io voglio che mia figlia diventi come me!” disse il sovrano ad alta voce, sbattendo un pugno sul tavolo.
“Basta con tutte queste moine, vestitini di pizzo, a pois, frappe, volants, fronzoli vari, bambole carine e ben vestite, carillon, canzoncine stile Zecchino d’oro, cartoni animati con tutti quegli animaletti mezzi scemi, ginnastica artistica coi nastri colorati e la pallina. Come farà a diventare una vera regina come dico io, se va avanti così? Deve essere prepotente e aggressiva, anche maleducata quando serve, deve già avere il desiderio della roba altrui, aria di superiorità, di dominio. Capite cosa voglio dire?”
“Perfettamente maestà, solo che questo “modo di essere” non può esserle imposto, perché non essendo nella sua indole lo rifiuterebbe subito, e dopo non ci sarebbe più nulla da fare. Bisogna essere cauti e pazienti: ecco, forse mi è venuta un’idea. Avete detto che tra poco sarà il suo compleanno, vero? Lasciate fare a me e non ve ne pentirete.”

Re Vega lasciò il suo studio e uscì a prendere una boccata d’aria in giardino. Da lontano vedeva Rubina che con fare materno portava il suo bambolotto nel passeggino, gli dava da bere col biberon, gli sistemava bene il berretto sulla testa in modo che il sole non lo scottasse, cantava stupide canzoncine inventate da lei, lo faceva ridere, gli metteva la copertina, poi con calma lo riportava in casa.
Davanti a questo sdolcinato spettacolo pieno di zucchero e glucosio, al re cascò subito la mascella.
“Uuhhh, qui la vedo dura anche per uno come Zuril, ma non ho altra scelta, speriamo bene.”

Alcuni giorni dopo, il ministro delle scienze, bussò alla porta del re.
“Avanti! Ah, siete voi…”
“Eccomi qua maestà, ecco davanti a voi il frutto delle mie fatiche, ci ho pensato una notte intera, per ore e ore ho lavorato solo a questo progetto.”
Come un abile prestigiatore, Zuril pose sulla scrivania una bellissima bambola tutta vestita di rosa, i capelli di seta, gli occhi chiari che si aprivano e chiudevano, la bocca rossa si muoveva per parlare… sembrava viva.
Fu solo il grande rispetto che Vega aveva per lo scienziato, a frenarlo dalla terribile voglia di investirlo con parole davvero poco ortodosse.
Ma che roba era quella? Rubina aveva almeno un armadio pieno di bambole fatte così, forse quella era più bella delle altre, ma con un regalo del genere, erano a punto e a capo. Che cosa aveva capito Zuril, gli mancava qualche rotella per caso?
“Sire, questa non è una bambola come le altre. Nel fondo della scatola c’è un libretto con delle istruzioni molto dettagliate, Rubina dovrà leggerle e metterle in pratica. Le diremo che ormai è grande e piuttosto intelligente, quindi l’uso di questa magnifica bambola sarà didattico, e dovrà mettercela tutta per capire bene cosa farne.”


Finalmente arrivò il tanto atteso giorno della festa: Rubina era tutta vestita di rosa confetto, si era pettinata con due codini trattenuti da nastri di seta e non stava più nella pelle dalla gioia.
Appena ebbe soffiato sulle dieci candeline, iniziò il rito dell’apertura dei regali: un set di quaderni, pennarelli e biro tutti griffati, dei dvd con cartoni animati, libri.
Il regalo di re Vega fu l’ultimo ad essere aperto, era il pacco più grosso e più bello: quando dalla scatola venne fuori quel delicato viso di porcellana, Rubina credette di sognare. Scartò tutto con frenesia e si mise a saltare e battere le mani per la gioia, poi stampò un grosso bacio a padre e mostrò a tutti gli invitati la bellezza di quella bambola meravigliosa.
“Rubina!”
“Sì?”
“Leggi anche il biglietto.”
La bambina aprì la busta e vide un cartoncino con scritti i soliti auguri, ma in fondo c’era una frase che diceva così: “questa non è una bambola come le altre, dovrai capire da sola a cosa serve e come funziona.”
Piuttosto perplessa fissò il proprio genitore che le sorrideva, poi si fece avanti anche Zuril.
“Cara Rubina, quando avrai letto bene le istruzioni, ci mostrerai il lavoro che devi fare. Sappiamo che sei brava e intelligente, non ci deluderai di certo. Tanti auguri, cara.”
“Vi ringrazio molto” disse la bambina con riconoscenza.

Il pomeriggio seguente, Rubina era nella sua camera e si decise a leggere con attenzione quel libretto di istruzioni che era nella scatola della bambola.
“Vediamo… allora, qui dice: “Dietro la testa e sotto i capelli, c’è un’apertura: in questa cavità sono contenute delle piccole bombe esplosive. Vanno maneggiate con cautela, una volta tolte da dove si trovano, esploderanno nell’arco di un’ora, quindi vanno collocate dove si desidera disintegrare qualcosa. Allontanarsi dal luogo di molti metri.”
“Eccole qui, trovate! Bene, dove posso metterle?” Rubina pensò alcuni istanti, poi ebbe una fantastica illuminazione: andò di corsa nello studio del padre e ne piazzò tre in vari punti della stanza, e lo stesso fece nella camera di Zuril.
“Chissà come saranno contenti! Loro mi hanno fatto il regalo, mi hanno detto che dovevo capire come funziona, e quando vedranno l’esplosione nei loro appartamenti mi diranno brava, perché ho capito tutto!” Battè le manine tutta contenta, poi decise che dopo quelle ore di “studio”, meritava di fare solo le cose che più le piacevano. Prese il bambolotto e la bambola nuova, li mise sul divano vicino a lei, scartò i nuovi dvd pieni di cartoni animati favolosi e ne mise uno dentro il lettore.

Sul carrello c’era un bel vassoio pieno di gelatine alla fragola e la bottiglia dell’aranciata.
“Questa sì che è vita”, pensò tutta soddisfatta.

Mentre il mega schermo riproduceva “Gli Aristogatti”, in un’altra ala del palazzo, si disintegravano formule chimiche, carte legali, corrispondenza, libri, enciclopedie.
Sì, Rubina aveva capito perfettamente come funzionava quel meccanismo nascosto e lo aveva messo in pratica con successo.


FINE

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DUE CUORI VICINI E LONTANI

1_292

L’inverno era ormai alle porte.
“Una nuova stagione avanza e sono due anni che Actarus è venuto qui alla fattoria; già due anni sono passati, anzi, volati” pensava Venusia, mentre in silenzio chiudeva la porta della stalla.
La memoria la riportò indietro, quando viveva in America e Mizar non era ancora nato.
Anche là c’era un ranch con tanti animali e anche dei cavalli, fin da bambina aveva sempre cavalcato, tanto che adesso, le veniva naturale come camminare.

Rigel e Procton erano amici di lunga data, per cui, quando l’illustre scienziato aveva deciso di costruire un suo osservatorio astronomico, Rigel l’aveva seguito in Giappone, dove adesso viveva e lavorava in quella grande fattoria.
Un giorno Procton aveva fatto “apparire” Actarus, presentandolo come suo figlio al ritorno di un lungo viaggio di studi per il mondo.
Da subito aveva fatto amicizia con Mizar e Venusia, il lavoro insieme era una fatica, ma anche piacevole, perché tutti e tre erano molto affiatati ed era facile per loro andare d’accordo.
Che emozione provavano ogni volta, quando potevano assistere alla nascita di un puledro: subito cercava di alzarsi, e benchè ancora malfermo sulle zampe, non si dava per vinto, tutti e tre ad incitarlo e incoraggiarlo. Che soddisfazione!

Hara e Banta erano i vicini coi quali erano entrati da subito molto in confidenza, anzi, ad essere precisi, erano stati i due messicani a non farsi tanti problemi di galateo quando si trattava di chiedere favori, cose in prestito, passare dal territorio di Rigel per accorciare la strada.
A onor del vero, per Banta, la vera attrattiva era Venusia: ogni occasione era buona per avvicinarsi a lei e farle la corte. Nemmeno lo schioppo di Rigel puntato ad un palmo di naso, riusciva a farlo desistere.

Sul calare della sera, Venusia entrò nella stalla in cerca di Actarus.
“Actarus! E’ già tardi, non vieni a cena?”
“Finisco di mettere in ordine.”
“Ti aiuto, così fai prima.”
Canterellando, i due si misero di buona lena a sistemare la paglia.
“Venusiaaa!!! Ti avevo proibito di venire qui! Ecco perché fai sempre tardi la sera!
Non devi stare vicina ad Actarus più di trenta secondi, capito?
Anche le stelle sono contrarie, dicono che verrà dallo spazio l’uomo giusto per te!”
“Lo stavo solo aiutando per finire il lavoro, lasciami stare!”
“Come ti permetti di parlarmi con quel tono? Sono tuo padre ricordalo!”
Nell’ascoltare il battibecco, Actarus sorrise dentro di sé: lui veniva dallo spazio, quindi logicamente era lui la persona giusta per Venusia, ed era ciò che entrambi desideravano.

Il mattino seguente, la ragazza era con Mizar nella vasta prateria, le mandrie erano al pascolo e lei con sguardo sognante, aveva gli occhi fissi solo su Actarus, il quale le veniva incontro cavalcando con estrema disinvoltura, col suo portamento fiero e nobile; al contempo, pareva totalmente inconsapevole del suo fascino e proprio per questo, era agli occhi di lei, irresistibile.

“Oh Actarus, vieni qui.”
“Ehi Venusia, si salutano gli altri, prima di tuo padre?” la riprese Rigel alquanto di malumore.
Il ragazzo era tutt’altro che dispiaciuto, le rivolse uno sguardo di intesa che lei afferrò subito, quindi lesta scese dal recinto di legno e balzò sopra un purosangue, quindi si lanciarono in una folle corsa che li portò dritti in una radura, dove c’erano una cascata e un ruscello, lontano da tutto e da tutti una volta tanto!

Rigel l’aveva presa malissimo, era saltato sul cavallo, ma nello slancio esagerato l’aveva spaventato, quindi, essendo ancora un puledro oltremodo suscettibile e indomito, si lanciò in una corsa folle e disperata.
“Aiutoooo, fermate questo coso, aiutatemiiii!!!!!”
Aveva lasciato le redini ed ora, impigliato al cavallo, lo seguiva nella corsa strisciando a terra, finchè ad un certo punto la fune si ruppe e Rigel venne scaraventato dentro un fosso pieno d’acqua.

“Tutto bene?” gli chiese Alcor preoccupato, avendo visto la scena dalla sua jeep, quindi aveva ingranato la quinta per raggiungerlo e ora lo stava portando verso casa.
“Tutto bene, un corno! Guarda che disastro, la mandria si è dispersa, ora chi la riprende più?
Venusia è scappata con quell’Actarus, ma ora vado a cercarli, non sono contento finchè non li ho ritrovati, gliela faccio vedere io a tutti e due!”
“Calmati Rigel, hai bisogno di riprenderti da questo brutto colpo, ti accompagno da Procton.”
“No e poi no! Io a casa non ci vado!”
“Ma dai! Prima di sera tornano, di cosa ti preoccupi?”
“Certo che mi preoccupo, io ci tengo alla reputazione di Venusia, non deve stare sola con un uomo nemmeno per un minuto, mai e poi mai!”

Alla fine, Alcor riuscì a calmarlo e insieme a Mizar aiutò a sistemare le stalle, mentre con Banta fece rientrare la mandria dentro la fattoria.

Più tardi, Rigel si decise a recarsi dal suo vecchio amico Procton. In fondo, quel luogo era l’ideale per lui che, da tempo remoto, desiderava incontri a tu per tu con gli extraterrestri.
Si salutarono cordialmente, poi si piazzò subito davanti allo schermo tutto speranzoso di avere qualche contatto ravvicinato “del terzo tipo”.
“Uhhh, che meraviglia! Non si può ingrandire? Che visione meravigliosa!”
Muoveva a casaccio i tasti del computer per mettere a fuoco le immagini, poi prese il microfono per parlare con gli spaziali, assieme all’ardente speranza di venire esaudito.
“Pronto? Pronto? Qui è Rigel, mi ricevete? Se mi ricevete, rispondete sì, se non mi ricevete, rispondete no!”
I collaboratori del centro erano con gli occhi fissi sul proprio video, ma non poterono trattenere qualche risata nell’osservare tale personaggio eccitatissimo al solo pensiero di un possibile contatto di un “non terrestre.”

Qualche ora dopo, Rigel si sentiva già meglio, quindi, lasciato il centro di Procton, si decise a sistemare sopra al carro guidato dai cavalli, le cisterne di latte che dovevano essere portate alla centrale.
Era una strada sterrata, delle buche ovunque e il suo mezzo piuttosto malfermo.
All’improvviso, davanti ai suoi occhi, gli apparvero Actarus e Venusia che correvano come dei pazzi a cavallo e si infilavano sulla strada in salita.
“Ehi, voi due, ma che modi! Fermatevi, Venusiaaaaa!!”
Sparirono in un lampo lasciando dietro di loro nuvole di polvere, mentre Rigel si trovava con il carro semi rovesciato e il latte a terra. Davvero arrabbiato, aspettò qualche istante prima di muoversi.
“Io sono troppo buono, Venusia non ha voglia di fare niente, ma stasera mi sentono!”

Qualche ora più tardi, Venusia stava sul divano del soggiorno in silenzio, mentre Rigel sfogava tutto il malumore represso.
“Credi che non ci sia niente di male a far la scema con quello lì? Non lo capisci che è un buono a nulla, poi sei ancora minorenne, quindi farai ciò che dico io!”
“Lasciami stare, voglio star sola”, gli rispose lei alla fine, poi uscì in silenzio e salì al piano di sopra; entrò nella sua stanza avvolta nella penombra.
Una lama di luce si posava sul pavimento di legno, le fronde degli alberi mosse dal vento entravano a tratti dentro la finestra socchiusa.

Si stese sul letto ripensando alle ore appena trascorse. Che bella giornata era stata!
Non voleva sciuparne il ricordo con un ennesimo, aspro litigio col padre, per questo, dianzi l’aveva zittito con voce bassa e gentile. Aveva chiuso la porta dietro di sé senza rumore e in silenzio era salita per le scale.

Quel prato e il mormorio del ruscello, l’aria satura dell’estate che si spegneva rendeva l’atmosfera così languida!
Alla fine, per suggellare l’incanto, c’era stato il loro primo bacio, lieve lieve, quasi a fior di labbra, ma a ricordarlo, sentiva un calore in tutto il corpo, la bocca soprattutto, era come scottasse.
“Non lo dimenticherò mai più”, pensava e al tempo stesso, riportandolo alla memoria continuamente, sperava che quegli istanti non finissero mai, che il tempo si fermasse in quel pomeriggio dove esistevano solo loro due, non c’erano obblighi, rimproveri, doveri, ma solo il mormorio del ruscello, il canto degli uccellini, i profumi della natura.

Gli anni della sua adolescenza l’avevano vista a tratti insicura sul fatto di piacere o meno ai ragazzi; le ore trascorse a scuola e in palestra, erano state sì, terreno fertile per gli incontri, ma difficilmente erano sbocciati in qualcosa di più.
Del resto lei viveva lontana dalla grande città, anche per le semplici spese si recavano al villaggio più vicino, a volte sentiva molto il peso della solitudine, specie in inverno, quando la neve copriva tutto col suo manto e le strade era quasi impraticabili.
Da quando era arrivato Actarus alla fattoria però, non si sentiva più così sola, e senza che lei se ne accorgesse, anche l’insicurezza giovanile si era dileguata in modo costante e quasi impercettibile.

Ripensò con un sorriso, alla goffaggine di Banta, quando in tutti i modi le faceva capire il suo interesse per lei, poi da poco era venuto Alcor, eh sì che era un bel ragazzo aitante, un pilota e uno scienziato eccezionale: di certo non gli mancavano ragazze attraenti e ben disposte nei suoi confronti, eppure, quella sera della festa alla fattoria, l’aveva invitata a ballare con uno sguardo carico di sottintesi.
“Venusia, vuoi ballare con me?” le aveva chiesto con un sorriso molto complice.
Rigel si era messo in mezzo, lei era alquanto seccata della reticenza di Actarus a decidersi di fare almeno un ballo con lei, però… sì, lei piaceva, non c’erano dubbi e nemmeno il motivo di dare corpo alle ombre.

“Che ore sono?” si chiese ad un tratto. “Quasi ora di cena. Non ho fame e tantomeno voglia di cucinare”, sospirò.
Dopo una giornata così, tutte le minuzie e incombenze domestiche le parvero di colpo pesanti, banali e monotone.
Tuttavia si alzò lentamente, lasciò a malincuore la sua stanza e si diresse verso la cucina.
Aprì il frigorifero e decise che un piatto freddo come un’abbondante insalata di riso sarebbe andato benissimo: faceva ancora abbastanza caldo, ma soprattutto era semplice e veloce da preparare.

A quell’ora, di solito, come per un tacito accordo e perché l’appetito si stava risvegliando, tutta la famiglia si trovava già a casa, terminati i lavori pesanti, sentivano di avere più che mai diritto ad essere serviti a tavola.
In ogni caso, preparare da mangiare non era unicamente sulle spalle di Venusia, anche Rigel sapeva cucinare molto bene, ed era molto fiero che i suoi piatti venissero apprezzati.

La ragazza buttò lo sguardo fuori dalla finestra e incrociò quello di Actarus; si sorrisero un attimo, poi lui si avvide che il suo orologio segnava una chiamata dal Centro.
“Actarus, abbiamo appena individuato uno stormo di minidischi…”
“Ho capito, vengo subito!”
Balzò in sella alla moto e in pochissimi secondi era già sparito.
Venusia si rattristò perplessa. Non era la prima volta che questo succedeva, la stessa scena le era rimasta impressa nella retina, ed era lì, nitida e senza un senso logico secondo lei.
“Perché fa così? Perché ogni volta che ci avviciniamo, poi ci allontaniamo di nuovo? Non mi dice niente, cosa fa, dove va quando si assenta per alcune ore… ma perché?”

Tutta la gioia della bella giornata parve svanire in un baleno.
“Non voglio certo impedirgli nulla, ma cosa c’è sotto queste sparizioni improvvise?
E perché a volte, quando torna, è ansioso, stanco, con quella strana luce negli occhi, così lontana e irraggiungibile…” pensava Venusia, mentre con gesti fiacchi, sistemava i piatti sulla tavola.
“Glielo chiederò, devo chiederglielo e lui deve dirmelo, qualunque cosa sia. Deve sapere che io ci sarò sempre e per qualunque cosa.”
Dopo l’intimità di quella giornata sentiva di averne diritto e anche dovere.
“Due persone che si amano devo fidarsi l’uno dell’altra. Domani, sì domani parlerò con lui, non c’è niente che non si possa affrontare se si è in due…”

Il suo animo parve rasserenarsi un poco, mentre dopo la cena silenziosa, si accingeva a lavare i piatti.
Il rumore della moto di Actarus, ruppe il silenzio di quella serata piena di domande senza risposte: era tornato, sì era già arrivato!
Il suo posto a tavola era rimasto intatto, Venusia decise che non era quello il momento delle domande e dei chiarimenti, no, ora andava bene così, lui c’era, ed erano di nuovo soli.
“Ciao” le disse lui. “Scusa il ritardo, ma…”
“Non importa, è una cena che non si raffredda, è tutto a posto” gli rispose lei con un sorriso e nel suo animo, tra il dubbio e il sollievo, si trovò a pensare: “Domani è un giorno nuovo, tutto da inventare e quindi si vedrà. Oggi è oggi e siamo ancora soli, voglio godermi questi istanti più a lungo possibile, vorrei che il tempo si fermasse adesso.”



FINE

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COMPLEANNO DI RUBINA

2_76

“Rubina, domani è il tuo quindicesimo compleanno, cosa desideri come regalo oltre alla festa?”
“Mmm... vediamo, non so esattamente, diciamo che vorrei qualcosa a sorpresa, che mi piaccia molto, ma che non mi aspetto di ricevere. Voglio una vera improvvisata insomma!”
Così rispose la principessa al padre, mentre era tutta intenta a sistemare le pieghe del nuovo abito avorio, ornare la coroncina di fiori, studiare un trucco fine e leggero.

Intanto Rubina pensava che alla sua festa avrebbe invitato non solo la solita noiosa e prevedibile amica blasonata come sempre faceva, ma anche quel ragazzino conosciuto da poco che a lei piaceva davvero, ed era sicura di non essergli affatto indifferente.
Si era stabilito su Vega da pochi mesi, doveva avere sui diciassette anni, era alto, carino, gentile, simpatico, educato, tutto insomma, quando lo vedeva le pareva di camminare qualche metro da terra, una sensazione mai provata.
Da quanto ne sapeva, sarebbe rimasto su Vega a studiare per qualche anno forse, veniva da Altair, non era nobile, ma per lei era molto di più, era tutto!
“Avrò modo di conoscerlo meglio”, pensava tutta eccitata all'idea che avrebbero ballato insieme e chissà che faccia avrebbero fatto le sue amiche!

Il pomeriggio seguente, nel grande giardino del palazzo reale, era stata allestita una grande tavola, con sopra ogni sorta di cibi e bevande.
Dei palloncini colorati ornavano le fronde degli alberi e delle siepi: il tempo era magnifico e tutto era stato predisposto al meglio.
Gli invitati arrivarono puntuali nel primo pomeriggio; non erano molti, qualche compagna di giochi e studi di Rubina, tutte rigorosamente accompagnate dalle rispettive governanti.

Da lontano, l'inconfondibile figura di Karl, si materializzò all'improvviso davanti al cancello, strappando un gridolino di gioia a Rubina, la quale, dimenticando per un attimo le regole di galateo, gli corse incontro. La palma sudaticcia per l'emozione, agganciò con forza la mano del giovane, poi quasi correndo lo fece accomodare dentro il giardino pieno di fiori e profumi.
“Buon compleanno Rubina”, le disse il ragazzo baciandola lievemente sulle guance: “ecco, questo è per te”. Le porse un pacco di carta rosa confetto ornato da un fiocco dello stesso colore.
Lo aprì subito emozionata: dentro c'era un libro con tutta la storia del pianeta Altair, un grosso volume illustrato e bellissimo.
“Grazie”, sussurrò emozionata. “Lo leggerò stasera stessa.”

Ad interrompere quello stato d'estasi, arrivarono due camerieri con in mano una torta grandissima, tutta bianca e con sopra quindici candeline accese.
Rubina chiuse gli occhi formulando un desiderio nella mente, poi gonfiò le gote e soffiò con forza, spegnendo tutte le candeline in un colpo solo.
Scroscio di applausi da parte degli invitati, baci, auguri, fiori, le solite cose trite e ritrite di tutti i suoi compleanni.

Re Vega apparve al taglio della torta con un sorriso oltremodo raggiante e soddisfatto.
Anche lui rinnovò gli auguri alla figlia, poi con uno sguardo strano, le indicò il suo regalo.
“Questo è un dono specialissimo, ora sei grande, è l'inizio della tua vera vita da principessa e futura regina di Vega!”
“Ma... non capisco, dov'è il regalo?”
“Davvero non capisci? Fai uno sforzo, pensaci.”
Rubina era troppo curiosa, voleva sapere subito.
“No, dai dimmelo, da sola non ci arrivo.”
“Guarda qui.”
Le indicò un tablet, mentre col dito faceva scorrere delle immagini.
“Cosa vedi?”
“Ma... che roba è? Io vedo incendi, bombe esplose... che posto è? E' bruttissimo questo video.”
“Affatto! Devi sapere Rubina, che poche ore fa, ho dato ordine ai miei soldati di occupare Altair per farlo nostro e ci sono riuscito al primo colpo. E' un luogo ricchissimo di materie prime, una miniera di tutto!
E' tuo! E' solo tuo! A quindici anni sei già padrona di un intero pianeta! Questo è il regalo per te, sei contenta? Non te l'aspettavi vero? Dammi un bacio, cara” le spiegò il padre con un sorriso.

“Più avanti, ti insegnerò come si fa a sottomettere i pianeti, la prossima volta sarai tu stessa ad occuparne uno, ti darò solo qualche dritta, lo so che sei in gamba, brava e capace... scommettiamo che entro due o tre anni, da sola, sarai già padrona di mezzo Universo? Cosa scommetti?
Io sono più che sicuro, perchè sei mia figlia e mi somigli in tutto e per tutto...”

Il monologo del re continuava all'infinito, intanto Rubina sentiva la testa che le girava e le forze venirle meno, poi lo sguardo si posò sulla torta e in una frazione di secondo decise cosa farne.
Prese il vassoio dove era adagiata e con forza la rovesciò tutta sopra al suo arrogante, sanguinario, insensibile e ottuso genitore, chissà che non avrebbe smesso di dire idiozie, una buona volta!

“Certo che sono contenta, ora che ti ho sistemato per le feste! Grazie per avermi rovinato tutto, grazie, infinite grazie!”
Accompagnò la frase con un inchino derisorio e si allontanò con passo deciso senza guardare nessuno.

Re Vega era diventato un enorme bignè alla panna seduto al centro tavola in mezzo agli invitati esterefatti.


FINE

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RICORDI

7_5

EPISODIO 12: “Il disco di ghiaccio.”

E’ Natale; in una baita sopra la montagna, la piccola Miyuki si appresta a festeggiare con i genitori e depone alla base dell’albero decorato il suo diario con scritto il desiderio del regalo.
Un robot di Vega distrugge la casa uccidendole i genitori, mentre con un elicottero in perlustrazione, Actarus e Alcor trovano la bambina portandola in salvo.
Miyuki che ricorda “La piccola fiammiferaia” di Andersen, desidera incontrare il Principe delle Stelle impersonato da Actarus che la salva una seconda volta dalla valanga: arrivato alla base di Procton, legge il desiderio della bambina nel suo diario, spuntato in mezzo alla neve vicino alla baita sepolta.
Nel finale, Alcor travestito da Babbo Natale accompagna Miyuki da Duke Fleed che ha decorato la sua astronave da veliero per realizzare il suo sogno: “Ora andiamo nel paese dei sogni.”

La ferocia del mostro che le ha portato via ogni cosa, non ha impedito che persone amiche venissero in suo soccorso facendole tornare la voglia di guarire e vivere nonostante tutto.
Il passato di Duke Fleed ripercorre la vicenda; nell’aiutare la bambina, non si avverte rabbia o vendetta nei confronti dei veghiani, ma la volontà di trovare qualcosa di buono, non tutto è perduto e il futuro può essere luminoso.

EPISODIO 19: “Pioggia di asteroidi.”

Gandal e Hydargos lanciano nello spazio degli asteroidi che distruggono il villaggio di un bambino, Mankiki, rimasto orfano. Un altro episodio profondo e commovente, con scene campestri, scenari innevati, Actarus con forte legame di empatia per la similitudine con la sua storia e il dovere di difendere la Terra perché non si ripeta la stessa tragedia avvenuta su Fleed.

Finale che vede gli abitanti del villaggio in procinto di ricostruirlo, un presagio della prossima rinascita del pianeta natale del Principe piovuto dalle stelle e una nota di ottimismo che chi ha vissuto le stesse cose.

EPISODIO 72 : “La lontana stella della patria.”
Il titolo giapponese è più incisivo di quello italiano: “Rivoluzione nello spazio.”
Il sogno che sembrava impossibile si avvera. La contaminazione al vegatron che aveva distrutto Fleed si è attenuata, il pianeta ha iniziato un processo di auto-rigenerazione, a breve sarà di nuovo abitabile. Un miracolo.

“Non ti perdonerò mai, Vega!” pensò Actarus in una notte di luna piena, davanti al cielo pieno di stelle nitide e lucenti.
“Hai distrutto la mia patria, ma non avrai mai la Terra, mai!”
Poi, con tono sommesso e pieno di rispetto per una persona che non c’è più: “Grazie Rubina per il tuo sacrificio. Per merito tuo, ora sappiamo dove si trova la base di Vega.”

La battaglia definitiva avverrà pochi giorni dopo con la Cosmo Special, comprendente il Team Goldrake e la vittoria finale dei terrestri contro il tiranno.


“La guerra è finita”, disse Alcor a pochi giorni dalla fine del conflitto, e dopo che tutti e quattro si erano ripresi dalle emozioni appena vissute.
Era una sera stupenda di inizio estate, il sole stava tramontando all’orizzonte; ammiravano tutto questo ancora incapaci di credere realmente che i mostri di Vega non sarebbero mai più stati una minaccia.
A volte avevano l’impressione di sentire suonare l’allarme, confondevano un aereo con i minidischi, qualche incubo notturno di tanto in tanto disturbava le loro notti. Era il periodo dell’assestamento: quando per anni hai vissuto sempre all’erta, la paura, il timore di non farcela, non sapere quali armi belliche sarebbero scese dallo spazio, se sarai in grado di affrontarle, occorrono tempo e pazienza per rendersi conto che è davvero tutto finito.
Quando la guerra era in corso, avrebbero tanto desiderato svagarsi, uscire più spesso senza il timore di un attacco improvviso, quindi si trattenevano per l’ansia continua di venire chiamati ai posti di comando. Ora invece, che la possibilità di usare le giornate a proprio piacimento c’era, si sentivano come paralizzati, non sapevano cosa fare.
Osservando gli eventi con distacco, si potevano azzardare conclusioni, mentre intuizioni improvvise balenavano nelle loro menti.

“Ciò che si fa agli altri, nel bene o nel male, prima o poi torna indietro”, pensò Actarus ad alta voce, interrompendo così un silenzio che si era fatto pesante.
“Quando Vega ha deciso di espandere il suo dominio, con facilità ha sottomesso e distrutto molte stelle e pianeti, ma poi all’improvviso gli si è ritorto contro: il suo pianeta è esploso causa inquinamento al vegatron, lo stesso materiale col quale aveva fatto esplodere Fleed, poi ad uno ad uno sono finiti i suoi collaboratori, e negli ultimi mesi il suo esercito era al collasso.”
“Eppure ha proseguito come guidato da una forza cieca e autodistruttiva fino alla fine”, aggiunse Maria con lo sguardo fisso in un punto lontano.
“Se noi abbiamo vinto è perché siamo sempre stati uniti, mentre i nostri avversari erano spesso in conflitto anche tra loro. Volevano primeggiare: fama, ambizione, prevaricazione e invidia. La disunione porta inevitabilmente la sconfitta” disse Alcor, mentre Venusia si illuminava tutta nell’affermare:
“Non solo la Terra è salva, ma il pianeta Fleed non è morto come si credeva, è risorto. Nonostante tutto, la sua forza interna è stata più grande di tutto. Il bene vince sempre sul male, basta crederci e combatterlo senza arrendersi: non per vendetta, ma per giustizia, come abbiamo fatto noi. Actarus e Maria, adesso avete più di prima, non più una, ma due patrie, non vi pare?”
“Sìììì” risposero in coro mentre si alzavano e, formato un quadrato, univano le loro mani senza parlare, con gli occhi brillanti che dicevano tutto, più di mille parole.

Sulla soglia apparve Rigel e, osservandoli con sguardo commosso, si sorprese a ricordare una scena simile avvenuta circa un anno prima sul balcone del Centro Ricerche, quando dopo non poche discussioni, era riuscito a convincere tutti, ma soprattutto Actarus, a far entrare la figlia nel gruppo in difesa della Terra.
“Caro Procton, con loro tre, gli spaziali potranno fare ben poco. Lo sapevo che Venusia sarebbe entrata nella leggenda” diceva esultante e pieno di orgoglio paterno al suo vecchio amico.

Pochi mesi dopo era arrivata Maria, così la squadra si era davvero completata.
Anche Mizar era uscito nel cortile, guardava tutto e tutti con occhi nuovi. Com’era stato orgoglioso di sua sorella quando la osservava durante le prove col Delfino Spaziale.
“Sei una cannonata!” le aveva gridato un giorno durante l’aggancio del suo veicolo a Goldrake.

Rigel si riscosse improvvisamente dai ricordi e annunciò: “Ehi voi, venite subito dentro, ho preparato una cena coi controfiocchi, fate presto o si raffredderà tutto!”


FINE

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IL MOSTRO RIBELLE
Dal punto di vista di Maria

1_293

OGGI

“Chi sei? Rispondi! Sei troppo carina per essere cattiva!” grida Alcor alla giovane armata che, come una furia, è apparsa dal nulla sul balcone del Centro di Ricerche Spaziali, mentre lui, Actarus e Venusia stanno ancora discutendo del combattimento appena vinto contro il nuovo mostro di Vega.
“Se un altro avesse guidato la Trivella Spaziale, tutto sarebbe stato più semplice” ha appena concluso Alcor pensieroso e preoccupato.

Actarus nota subito il ciondolo verde che la ragazza porta al collo, è inconfondibilmente del tutto simile al suo, di certa appartenenza ai sovrani di Fleed.
“Chi sei? Quel gioiello è tuo? Dove l’hai preso? Dimmelo!”
“Sono Maria Grazia Fleed e sono venuta qui per riprendere Goldrake!” grida lei, mentre con la spada recide di netto la camicia di Actarus e il filo della catena. Il medaglione che porta al collo cade a terra. I due si fissano negli occhi senza parlare per alcuni lunghi istanti.
“Maria… non capisci? Sono tuo fratello…”

IERI

Nell’istante in cui ebbe pronunciato questa frase, improvvisamente la ragazza si rivide bambina in un luogo infernale, ed era attorniata dalle fiamme. Sola, piccola, impaurita, gli occhi sbarrati, incapace di parlare. D’un tratto le era apparso il fratello, lo aveva visto correre verso di lei. Allora come per magia le era tornata la voce e l’aveva chiamato con tutte le sue forze stringendo i piccoli pugni.
Lui l’aveva vista, si era fermato un istante, poi tra sé aveva mormorato: “Devo prendere Goldrake.” E lei era rimasta di nuovo sola, senza nessuno, col calore bruciante delle fiamme che si avvicinava sempre di più e non le dava scampo; ma subito due forti braccia di qualcuno senza volto l’avevano sollevata da terra e portata via correndo.
Era l’uomo che l’aveva vista nascere, quella presenza quasi silenziosa, costante e ad un tempo discreta che si aggirava nelle grandi stanze del palazzo reale. Quando lei era sola o triste, come per magia lui appariva e le raccontava una piccola storia, la portava a passeggiare in giardino e raccogliere fiori. E lei subito sorrideva, si sentiva amata e al sicuro.
Quando la città di Fleed, attaccata in massa dalle Forze Alleate di Vega era ormai divenuta un inferno di fuoco e gli abitanti erano stati sterminati senza pietà, lui senza esitare l’aveva portata sulla sua navetta e insieme avevano raggiunto il pianeta Terra. Avevano trovato una grande casa abbandonata in campagna, alla periferia di Tokio in Giappone e lì si erano sistemati.

A Toliman, così si chiamava il precettore che l’aveva salvata, pareva un miracolo che Maria non ricordasse nulla della tragedia, né chiedesse mai dei suoi genitori. Decise quindi di spacciarsi per suo nonno e lasciarla vivere come meglio desiderava. Era una bambina sveglia ed intelligente, aveva imparato presto il giapponese, frequentava la scuola con profitto, era sempre allegra e vivace.
Fin dalla prima giovinezza dimostrò interesse per le motociclette, le piaceva correre, stare all’aperto fino al tramonto, fare gare coi ragazzi.
Ce la metteva tutta per aiutare suo nonno nelle faccende domestiche, ma lui subito si era accorto che a lei non piaceva e non era portata, quindi faceva in modo di sollevarla dai lavori casalinghi, anche perché nel fondo del suo cuore, lui sapeva che, di fatto, lei era pur sempre una principessa e lui era stato a suo tempo un suddito fedele per il re e la regina di Fleed.

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Nella vasta e ampia camera degli ospiti piena di cristalli, tappeti, quadri, poltroncine, armadi, cassettoni, una specchiera e un tavolo zeppo di oggetti preziosi, la principessa Rubina aveva depositato il suo bagaglio ed era rimasta piacevolmente soddisfatta di quel che aveva potuto finora ammirare.
Il suo viaggio aveva uno scopo ben preciso: entro poche settimane, massimo due mesi, sarebbe divenuta la legittima consorte del Principe ereditario, nonché futura Regina di Fleed.
Aveva subito incontrato i genitori di lui, i quali l’avevano accolta molto bene, la sorella minore Maria che dimostrava già una forte simpatia nei suoi confronti; non le staccava gli occhi di dosso, la seguiva sempre come ipnotizzata con quei suoi occhi celesti enormi, dilatati per lo stupore e la bocca spalancata.
L’incontro col suo promesso sposo era fissato per il giorno seguente da soli, non sapeva ancora se nella residenza reale o altro luogo meno formale.
I sovrani l’avevano accompagnata a visitare il palazzo, i giardini, per poi congedarla cordialmente:
“Hai fatto un lungo viaggio, sarai stanca, vai pure nella tua camera per riposare; ti aspettiamo al pianterreno per la cena, fra circa due ore.”
Appena chiusa la porta dietro di sé, Rubina si era messa in contatto col padre, il quale l’aveva subito informata di notizie dettagliate.
“Ricordati bene, che tutto questo non è altro che una commedia, vedi quindi di recitare bene, mi raccomando. Questo fidanzamento è una farsa, è stato il Re di Fleed a volerlo, il nostro unico scopo è conquistare il pianeta, impossessarci della loro tecnologia avanzata, così saremo in grado di fare lo stesso con tanti altri pianeti dell’Universo.”
“Come? Non capisco… vuoi dire che sono qui per niente, nel senso che sono di passaggio, nessun fidanzamento, niente?”
“E’ così. Non te l’ho detto prima, in modo che una volta arrivata tu fossi il più spontanea possibile in modo da non destare sospetti; il nostro piano è attaccarli di sorpresa, senza difese.”

Nel monitor, si affacciò l’espressione soddisfatta del Ministro delle Scienze Zuril: il suo sguardo faceva intendere che era molto contento, e non solo per le prossime conquiste planetarie, ma per la concreta possibilità di avere un giorno tutta per sé quella giovane che per ora stava solo a portata di video, ma che presto…
Ogni cosa a suo tempo, ma chi ha tempo non perda tempo, si disse, mentre la sua fervida fantasia si stava già popolando di immagini e situazioni tutt’altro che caste e innocenti, aventi tutte come protagonista una ragazza dalla chioma rossa.
Una volta chiusa la comunicazione con la base di Vega, Rubina, alquanto perplessa e confusa, uscì dalla sua stanza comportandosi come niente fosse.

Il giorno seguente, nella tarda mattinata, ebbe finalmente modo di incontrare di persona il suo futuro sposo; si presentarono in modo corretto e formale, poi lui la invitò nei pressi dei giardini, ove passeggiarono e conversarono a lungo del più e del meno.
Dopo alcune ore, in prossimità di un laghetto, salirono su una piccola barca e, senza tanti giri di parole, Rubina gli disse a chiare lettere lo scopo della sua visita sul pianeta Fleed.
“Sono venuta qui perché mio padre desidera che ci sposiamo al più presto.”
“Come? Ma non è possibile!” si sentì rispondere da uno stupefatto e incredulo principe ereditario.
“Vuoi dire che non ne sai niente? Allora io non ti piaccio, vero?” mormorò lei delusa.
“No, assolutamente Rubina, tu mi piaci molto, anzi! Sei bella come questi fiori che circondano il lago.”

Verso sera, contemporaneamente, i due eredi conversarono coi rispettivi padri.

“Non sapevo di questa storia del fidanzamento, perché non mi hai detto niente? Credevo che la principessa fosse qui in viaggio di piacere” disse Duke Fleed al padre.
Dopo una pausa e un lungo respiro, il re di Fleed si decise a parlare.
“Si tratta di una cosa grave e molto delicata; questo matrimonio politico organizzato è l’unico tentativo per cercare di mantenere la pace. Da tempo mi sono accorto che re Vega vuole conquistare tutta la nebulosa, quindi gli ho fatto questa proposta sperando che funzioni, ma non è detto sia così. Dobbiamo fare il possibile per evitare il conflitto, o almeno essere pronti quando arriverà, perché so molto bene che la sua sete di potere è grande… temo abbia solo fatto finta di accettare la proposta. Però… ora la principessa di trova qui, e finchè resterà sul nostro pianeta, un attacco è praticamente impossibile.”
“Ho capito, va bene” gli rispose rassegnato il principe.

“Signor padre, oggi ho conosciuto il mio fidanzato e… mi piace, sì, mi piace e lo voglio! Fino a ieri mi andava bene la recita che mi avevi imposto di fare, ma ora io non posso più fingere, voglio stare con lui per sempre!” disse Rubina con prepotenza a re Vega.
“Non esiste, lo sai benissimo! A noi servono le materie prime di Fleed, la tecnologia avanzata e il loro potente robot da combattimento, chiaro?”
“Ma io… allora… diciamo che una volta attaccato il pianeta tu risparmierai Duke Fleed, vero?”
“Ci penseremo, ora torna da tutti come non ci fossimo parlati, fai presto, sei via da troppo tempo.”

Nei giorni a venire accaddero molte cose.
Maria era affascinata da Rubina, cercava sempre la sua compagnia. Ogni mattina apriva piano la porta della sua camera controllando che fosse già sveglia, poi le diceva: “Andiamo a giocare?”
Una volta, sullo spuntare dell’alba, era entrata armata di secchiello, stampini e paletta per correre subito alla spiaggia a fare castelli in riva al mare.
La principessa la seguiva molto malvolentieri; non le piacevano i bambini, tantomeno una rompiscatole come quella, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco e non tradirsi, quindi la sopportava e accontentava in tutto.
Quella mattina, Maria non la smetteva più di parlare e raccontare. Rubina seccata sbadigliava, ma ad un certo punto, la conversazione prese una forma molto più interessante e al tempo stesso scioccante. La bambina, con candore e innocenza senza eguali, mentre si apprestava a riempire le formine con la sabbia, livellandole bene con la paletta, le disse:
“In questo posto ci viene sempre mio fratello con Naida, la conosci? E’ tanto bella, non come te però. Nuotano per ore, poi passano tanto tempo dietro quelle siepi, oppure nel boschetto più indietro. Io e Sirius gli facciamo sempre degli scherzi, loro si arrabbiano, allora cambiano posto, ma noi li troviamo sempre.”
“Ma … e quando succedeva questo? Un po' di tempo fa immagino” chiese la ragazza tremando.
“No, sempre, anche l’altro giorno, quando tu eri andata a riposare perché non stavi bene, ti ricordi?”
Rubina sentì le viscere contorcersi in maniera incontrollata, mentre il cuore le martellava nel petto e delle gocce di sudore freddo le ricoprivano il viso.
“Mi aiuti a fare il ponte del castello? Io da questa parte non ci riesco, poi facciamo anche dei cavalli che entrano con la carrozza?” le chiese Maria con voce supplichevole.
“Proviamo pure, però… adesso vorrei andare a casa…”
“Ma siamo appena arrivate, aspettiamo l’ora di pranzo. Dopo mangiato mi fai provare i tuoi vestiti, le scarpe col tacco alto, mi metti lo smalto come il tuo?”
“C… come vuoi, però non so se…”
La principessa aveva gli occhi gonfi di lacrime trattenute; dolore e rabbia la devastavano, avrebbe voluto sapere di più, ma non osava chiedere per paura delle orribili notizie che avrebbe sentito.

Non ci fu bisogno di chiedere altro, perché sulla via del ritorno, appena Maria intravide da lontano il balcone facente parte delle camere da letto del fratello, indicò quel punto col dito, per poi gridare tutta eccitata: “Guarda! C’è la finestra socchiusa, vuol dire che quando sarà buio Naida salirà sul balcone per entrare. Lei non passa mai dalla porta, le piace scavalcare i muri, è bravissima e veloce. Vuoi vederla stasera?”
“No, no io non…” mormorò la giovane sconvolta.
Da lontano intravidero i genitori di Maria.
La bambina si staccò dalla mano della ragazza e corse verso di loro a braccia spalancate, gridando felice: “Mamma! Abbiamo fatto un castello enorme, domani ne facciamo un altro ancora più bello; Rubina ha detto che mi presta i suoi vestiti, posso mettermi lo smalto?”
“Certo tesoro, ma non vi stancherete troppo? Rubina… stai bene? Hai un’aria strana, forse avete preso troppo sole; venite dentro all’ombra, è quasi ora di pranzo. Dopo andrete a riposare, la giornata è lunga.”
“Sì, forse… nel pomeriggio vorrei rimanere a casa se non vi dispiace” rispose Rubina tenendo lo sguardo fisso a terra.
“Ma non andiamo al parco stasera?” interruppe con petulanza Maria.
“Questa sera no… dovevo uscire con tuo fratello… almeno credo…” mormorò la ragazza sconvolta.

La bambina non disse più nulla e per tutta la giornata rimase tranquilla, ma quando scesero le prime ombre, con fare complice, si avvicinò a Rubina in punta di piedi, sussurrandole: “Dopo ti faccio vedere una cosa bella dalla finestra della mia camera.”

La cosa tanto bella era quanto sotto descritto.
Da un terrazzino del palazzo, stando nascoste, ebbero modo di vedere una ragazza dai lunghi capelli verdi come la tenera erba primaverile che, con velocità impressionante e un balzo felino, entrava dentro una finestra, dalla quale si entrava in una certa camera da letto, appartenente ad un certo avvenente fidanzato della principessa che in quel momento sembrava essersi dimenticato di lei.
“Visto? Rimane lì fino a domani, poi se ne va senza dire niente.”
Rubina non riuscì a dire nulla, solo dopo parecchi secondi di silenzio, le uscirono alcune incerte parole: “Domani… io… e… lui… dobbiamo andare a fare compere e ordinare tante cose.”
“No, non credo, quando Naida viene passando per il balcone, lui il giorno dopo dorme tanto”, le rispose Maria col tono innocente dei bambini, dopo averci pensato qualche istante.
La voce della verità e dell’innocenza aveva rivelato con candore, senza sottintesi, né malizia, una cosa tanto sconvolgente che la principessa faticò a reggersi in piedi e non perdere i sensi.
Questo stato durò poco: di lì a pochi minuti le prese una rabbia così devastante che appena entrata nella sua camera buttò a terra tutto quello che c’era sul tavolo e prese a pestarlo coi piedi sconvolta, ferita e piena di odio.
Il padre la contattò in quel momento e, appena la vide con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli scomposti, fece un passo indietro spaventato, poi le chiese:
“Cosa ti succede?”
“Mi succede… te lo dico io cosa succede: me ne vado subito, li voglio morti tutti morti. Hai capito??! Ammazzali tutti, li odio!!!”
Poi si buttò a terra scoppiando un pianto irrefrenabile e disperato, mentre re Vega tentava di calmarla, preoccupato dal fatto che qualcuno potesse sentirla.
Con un urlo disumano Rubina spaccò il monitor usando uno dei tacchi a spillo dei suoi sandali interrompendo la comunicazione; poi, così scarmigliata, col rimmel che le colava sulle guance, arrabbiata e piena di odio per quel pianeta, gli abitanti, l’ex fidanzato (se mai lo era stato), il palazzo reale, prese la sua Quenn Panther, vi salì in fretta e furia e in pochissime ore fece ritorno al suo pianeta natale.

La camera da letto che aveva ospitato Rubina per alcune settimane, era diventata la rappresentazione in miniatura, tale e quale, di come di lì a pochi giorni sarebbe stato il pianeta Fleed in seguito all’attacco di Vega, un preludio, un anticipo della sua futura rovina e distruzione.

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“Dov’è andata Rubina? Perché non viene più a giocare con me?” chiedeva spesso Maria sconsolata ai suoi genitori. Vagava per il grande palazzo come un’anima in pena, il pollice sempre vicino alle labbra, mentre con l’altra mano teneva, senza troppa convinzione, la zampa di quel cane di peluche che possedeva fin dalla nascita.
Loro tacevano, tentavano di distrarla, mentre venti di guerra sempre più minacciosi provenivano dalla nebulosa di Vega. La principessa era sparita all’improvviso, non aveva lasciato detto niente, nemmeno un biglietto.

Toliman, il precettore di Maria, comprese subito che la bambina in quel momento non poteva contare sulla presenza affettuosa dei genitori, i quali, preoccupatissimi, cercavano di mettersi in contatto coi sudditi di Vega nel vano tentativo di cercare un accordo amichevole.
Ogni mattina, prendeva per mano la piccola principessa e insieme passeggiavano per gli immensi giardini che circondavano il palazzo. Ogni poco si fermavano ad ammirare una statua, un albero, raccogliere fiori. Maria era molto intelligente e faceva domande su tutto.
Quell’uomo era un nobile decaduto, e da alcuni anni era rimasto solo al mondo.
Aveva trovato servizio presso la reggia di Fleed in qualità di tutore per gli eredi dei sovrani, ma sapeva anche gestire la servitù, aveva il dono innato di fare in modo che tutto filasse liscio e senza intoppi tra i dipendenti.
Tutto di lui tradiva la sua buona discendenza; il modo di parlare, di muoversi, l’educazione, la finezza degli abiti che portava, il suo mantenersi discreto e presente ad un tempo.
“Come si chiama questo fiore?” gli chiese Maria con lo sguardo rapito verso un bellissimo giglio.
“Si chiama Lilium martagon e si dice provenga da Marte.”
“Dov’è Marte?” domandò la piccola, incuriosita e confusa.
“E’ un pianeta molto lontano da qui.”
“Uguale al nostro?”
“No, cara. Nessun pianeta, è uguale ad un altro, anche se possono esserci delle similitudini.”
“Tu ci sei mai stato?”
“No.”


Nel cielo intanto, volavano formazioni di minidischi ogni giorno più numerose, le campagne venivano incendiate e anche le case dei contadini. Erano le prime avvisaglie, ormai era a tutti evidente che il conflitto bellico si sarebbe esteso a macchia d’olio.
Duke Fleed si trovava ad Altair, dall’amico Marcus, e la sua città venne attaccata dai sicari di Vega.
Dopo aver salvato la vita al suo amico ed essersi a sua volta ferito ad un braccio, il principe tornò precipitosamente su Fleed, quando la capitale era semi distrutta.
Ancora non avevano attaccato il palazzo reale, ma le ville dei nobili e di quelli di alto rango erano state prese d’assalto e saccheggiate.
Arrivò correndo verso la sala del trono, e lì vide i suoi genitori. Il loro viso era colmo di apprensione, ma ebbero entrambi un attimo di sollievo nel vedere il figlio sano e salvo.
Fu il padre a parlargli per primo: “Non c’è un attimo da perdere. Devi portare Goldrake lontano da qui, Vega vuole impadronirsene…”
“Non posso” replicò Duke Fleed chinando il capo. “Senza il robot, non posso salvare nessuno… io voglio battermi, voglio salvare la nostra patria.”
“E’ troppo tardi ormai” mormorò il padre chinando il capo.
“Perché?”
“La principessa è partita il giorno stesso in cui tu sei andato ad Altair. Se ne è andata senza dire nulla e da quel giorno, nel cielo sono comparsi i primi minidischi” gli rispose la madre cercando di dominare il tremito della voce.
Appena ebbe terminata la frase, il grande portone si spalancò all’improvviso e due guardie veghiane, armate di tutto punto, entrarono con prepotenza.
Senza dire una parola, andarono verso il principe ereditario e lo costrinsero a seguirli. Percorsero il lungo corridoio che portava nel seminterrato del palazzo. Entrarono in una enorme stanza e lì c’era Goldrake, l’angelo protettore del pianeta Fleed.
“Re Vega vuole che tu aggiunga nuove armi, armi potenti e letali al robot. Sa bene che solo tu puoi farlo. Quando avrai finito, sarà nostro” disse il veghiano alto almeno due metri dal colorito verdognolo e le orecchie a punta.
L’altro, di poco più basso di lui, teneva un’arma affilata verso il principe e non diceva nulla.
Chiusero il portone con pesanti catenacci e se ne andarono.

Duke Fleed si mise subito al lavoro e in capo a due giorni riuscì nell’impresa. Una guardia stava di vedetta fuori dalla porta e l’apriva soltanto per controllare, portare cibi e bevande al giovane.
Il ragazzo stava con occhio vigile e approfittando di un attimo in cui il soldato si era spostato di pochi metri, lo colpì in faccia con un calcio, salì sulla navetta e percorrendo il vastissimo e lunghissimo corridoio sotterraneo, uscì e volò nel cielo turchino, fino ad arrivare fuori dalle mura del palazzo, in una caverna lontana dal centro della città, un posto nascosto e isolato. Lì mise il suo robot, poi tornò verso casa, giusto in tempo per vedere il palazzo tra le fiamme. Entrò da una porta laterale, i suoi genitori erano in una piccola sala al pianterreno.
Tutto era stato devastato, il luogo irriconoscibile e pieno di polvere. Vide un uomo dal volto orribile e le orecchie a punta: un sorriso sadico e terrificante sembrava perennemente incollato al viso, e con quell’espressione sul volto, Camargo Istar colpì a morte il re e la regina.
Duke Fleed, dopo aver tentato inutilmente di soccorrere i genitori corse fuori, vide che la città era diventata un inferno di fuoco, anche il cielo era rosso; da lontano intravide la sua sorellina che lo chiamava disperatamente con le lacrime agli occhi. La mente del ragazzo era in quel momento incapace di formulare un pensiero logico e compiuto. Vedeva i suoi genitori massacrati, quell’uomo orribile, la sua risata sadica e crudele ancora gli rimbombava nelle orecchie frastornandolo.
In mezzo a tutto quell’orrore c’era sua sorella Maria, il simbolo dell’innocenza, sola e indifesa. In pochi secondi, gli apparvero come in un film, la serie di possibili cause che avevano portato quell’attacco veghiano improvviso e inaspettato.
La sua sorellina che giocava con Rubina, le parlava di tante cose… lui che approfittava di quei momenti per vedersi di nascosto con Naida, forse erano stati visti da qualcuno, perché la loro passione era irrefrenabile e non sempre erano stati accorti. La principessa era andata via senza dire niente, quindi per i veghiani lei non correva nessun pericolo.
“Devo andare da Goldrake” disse, e lasciò sua sorella lì dov’era, in mezzo a quel rogo.


OGGI

“Tu sei mio fratello? Sei vivo… e sei qui…” mormora la ragazza commossa e incredula.
Maria non sorride, ma piange e non certo di gioia.
Actarus ha uno sguardo serio che denota una certa tristezza e dispiacere. Lo sfondo del tramonto di fine estate, coi suoi colori cupi, sembra accentuare questa caratteristica. Non è un ritrovamento gioioso, nonostante l’apparenza.
Come per magia, le loro menti entrano in contatto telepatico: immagini e situazioni vissute da entrambi su Fleed e sulla Terra.
Maria che parlava con innocenza di Naida a Rubina, le diceva che entrava nel palazzo di notte e di nascosto.
Actarus, da quando ha abbandonato la sorella come qualcosa di inutile, rivede che dal quel momento in poi ha soccorso tutti, anche la vita di un solo cavallo è stata importante per lui, quanto la salvezza della Terra. Maria vede e vive tutto questo, anche quando per salvare Alcor ha rischiato il tutto per tutto.
Si parlano senza dire niente, nei loro occhi sono riflesse le loro precedenti vite e ora insieme ne vogliono costruire una tutta nuova.
E’ Maria che fa la prima mossa: tocca il petto del fratello con una mano con l’intento di perdonare e tentare di capire.
Solo dopo che Maria ha toccato Actarus, lui l’abbraccia, perché sente in qualche modo di essere stato perdonato.

I ciondoli verdi che i due fratelli portano al collo, risplendono di luce propria come due piccoli soli.


IL MOSTRO RIBELLE
Dal punto di vista di Procton


2_77

Grazie al cielo, anche questa volta i ragazzi sono tornati sani e salvi dalla battaglia. Devono essere sulla terrazza, vado subito da loro.

Era il pensiero del dottor Procton in quella sera di settembre, davanti ad uno splendido tramonto dai colori intensi e definiti. Il paesaggio era di una bellezza quasi commovente; spontaneamente lo associò alla ferocia di Vega e dei suoi sicari, sentendo uno strano rimescolio dentro di sé, un turbine di sentimenti contrastanti. Il senso di giustizia si scontrava con la paura del prossimo scontro e di quali armi avrebbero usato. Ne sarebbero usciti illesi? E quando la fine di questo incubo? Quei tre giovani rischiavano ogni volta la vita per salvare la Terra. Faceva abbastanza per loro? Pensava con lieve rimorso.
La ferita mortale di Actarus era per lui un dolore troppo grande da sopportare: quando riaffiorava nella sua mente, faceva il possibile per allontanare il pensiero, come se il fatto di ignorare il male, potesse essere speranza di guarigione. Pensieri assurdi per uno scienziato, ma non per un uomo che amava quel ragazzo come un figlio e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, anche sacrificato la sua stessa vita.

Mentre percorreva il lungo corridoio di marmo chiaro, a tratti illuminato dai rossi raggi del sole morente, li intravide e corse verso di loro, ma qualcosa lo bloccò sulla soglia.
Una giovane sconosciuta era tra la braccia di Actarus e lacrime che parevano inarrestabili le scendevano sul viso.
Venusia e Alcor stavano discosti ma partecipi, e nessuno dei due parlava; anche loro erano visibilmente commossi.
“Che cosa è successo?” chiese finalmente il dottore.

Dopo alcuni istanti, Alcor si decise ad articolare qualche frase sconnessa.
“Ecco… è successo… insomma, Actarus… Actarus… è… è… una cosa troppo bella da raccontare”, concluse trattenendo a stento le lacrime.
“Troppo bella?” chiese Procton.

Nessuno rispose, ma Actarus e quella giovane che in modo strano gli somigliava si ricomposero e, uno di fianco all’altra, fissarono un punto lontano e imprecisato verso il cielo, mentre un lieve sorriso illuminava i loro volti.



FINE

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STUDI INTERSTELLARI

1_294

Dato che ho molto apprezzato la FF della Premiata Ditta Aster & Merlino, per dimostrare la mia gratitudine, ho scritto una storia in ispirazione alla loro.


Per il ministro Zuril, l’approssimarsi dell’Equinozio di Primavera, aveva da sempre, il fastidioso effetto collaterale di regalargli notti quasi insonni e oltremodo agitate. Ad aggiungere inquietudine a questa sua naturale predisposizione, c’erano i rimbrotti quotidiani del sire, i terrestri che gli davano il benservito ad ogni attacco, i subordinati con poca voglia di applicarsi, i battibecchi tra colleghi.
Dato che non poteva riempire le ore buie al fianco di qualche procace donzella, perché il quel periodo nero tutte sembravano schivarlo, onde evitare di sprofondare nel tunnel della bassa autostima e depressione, ebbe l’idea di riesumare tutti i suoi successi scolastici e universitari,
Ne possedeva un vasto numero: poteva quindi mettere in una bella cornice di vetro ogni diploma, laurea e specializzazione, appenderli nei corridoi della base Skarmoon e far schiattare di rabbia Gandal e quel semi analfabeta di Hydargos.
Erano quasi le 4 del mattino. Se poteva dire di aver dormito un’ora era già un traguardo.
Quel pomeriggio, re Vega, gli aveva fatto una ramanzina coi controfiocchi perché in una formazione di minidischi, l’ultimo di questi, era esploso a Skarmoon non appena aveva acceso i motori.
“E’ mai possibile che ci siano operai a questo livello? Se succede ancora un fatto simile, non me la prenderò con chi ha sbagliato, ma con voi e Gandal, sono stato chiaro?” urlò con quanta voce aveva in corpo, sbattendo un poderoso pugno sul tavolo.
Tutta la base lunare era stata scossa come fosse passato un terremoto.

Si alzò con impeto dal letto, accese tutte le lampade e aprì i cassetti della scrivania.
In uno di questi, c’erano dei fascicoli contenenti diplomi, master, borse di studio, lauree, specializzazioni. Li fissò con orgoglio, e con perizia iniziò a sfogliarli tutti.

Ha conseguito la maturità scientifica presso il Liceo Sirrah, con voto di 60/60.
Si è laureato in Economia per Mio Interesse a Hemal, con lode.
Si è laureato in Chimica Distruzionale a Tarazed, con lode.
Si è laureato in Criminologia a Dabith, con lode.
Specializzazione in Fisica Femminile ad Atare, con lode.
Master con lode nel campo del Sadismo e Freddezza senza limiti.
E’ programmatore universale di computer ai massimi livelli, di ogni forma e dimensione.

Attività professionale


Ha iniziato l’attività di Chimico Distruttore Di Ogni Forma di Vita, dopo aver passato l’esame di Stato su Pegaso.
Da due anni ricopre il ruolo di socio responsabile della sede lunare Skarmoon diretto da Re Vega, Sterminatore di tutte le galassie.

Si occupa in particolare:
della redazione di piani prospettici economico-patrimoniali e finanziari;
di consulenza industriale, nell’ambito in particolare della formazione di mostri aggressivi;
della redazione di piani di ristrutturazione minidischi distrutti;
di revisione legale, del marchio di qualità e delle procedure gestionali;
della attestazione di piani anti inquinamento, riciclaggio, anche quelli dichiarati senza speranza;
di costruire computer all’avanguardia – Hacker ai massimi livelli;
di consulenze tecniche d’ufficio o di parte in contenziosi in sede civile, promossi da operai in rivolta;
di giustiziare senza appello chiunque non si attenga alle sue regole.

Pubblicazioni e ulteriore attività formativa

Autore del capitolo “Azioni di responsabilità nella conquista dei pianeti.”
Autore del capitolo “La lesione nella prospettiva di un rifiuto sdegnato da parte di una principessa.”
Autore del capitolo “Ruolo, compiti e responsabilità del terrorista.”
Autore de “La durata massima di un combattimento tra mostro e mostro.”
Autore de “Le determinazioni di Sua Maestà di conquistare il pianeta Terra. Tecniche, modalità, azioni, scambi di ruolo, bombe a orologeria.”

Dopo aver osservato i suoi numerosi successi, la mente del grande scienziato era ormai sgombra da ogni sorta di malumore. Un accenno di sbadiglio gli fece sperare che il sonno stesse arrivando; ma qualcosa in fondo all’ultimo cassetto, catturò la sua attenzione.
In un album tutto dorato, facevano bella mostra una lunga serie di fotografie che lo ritraevano dai tempi della scuola materna, fino all’esame di Maturità.
Era sempre ben vestito e ordinato; aspetto fine, incarnato tenera erba primaverile, sguardo acuto e intelligente. La cartella di cuoio sulle spalle, il portamento dritto e fiero.
Uno stuolo di fanciulle con occhi adoranti che lo seguivano fin da quando aveva varcato il cancello dell’asilo per arrivare al liceo attorniato da ragazze che andavano palesemente in visibilio per lui e facevano di tutto per farsi notare.
Altre fotografie dove esibiva una moltitudine di premi: medaglie, riconoscimenti di ogni sorta.
“Queste fotografie le metto sul muro e sopra la scrivania dello studio che divido con Gandal. Odierà anche di più la sua “dolce metà”, dato che ragazze adoranti lui può solo essersele sognate”, concluse con un ghigno perfido.


Re Vega invece, non aveva mai avuto la pazienza di sostare lunghe ore sui banchi di scuola. Dotato di un’intelligenza fuori dal comune, l’aveva messa in atto con le azioni dirette, non leggendo libri.
Dopo aver appreso i primi rudimenti dell’istruzione con un maestro privato, la sua mente diabolica non aveva fatto altro che pensare… pensare e pensare. E alla fine, una moltitudine di idee sanguinarie di conquista avevano preso forma prima nel suo cervello, poi nella pratica.
Verso i trent’anni si era sposato con una nobile decaduta; era molto bella, ma non ne era mai stato innamorato. Avevano avuto una figlia, del tutto simile alla madre nell’aspetto e nei modi e l’avevano chiamata Rubina, per via del colore vermiglio della sua chioma.
La madre sognava per lei grandi cose, ma soprattutto voleva che fosse istruita.
All’età di quattro anni la mandò alla materna, ma dopo alcuni giorni, la bambina tornò a casa con gli occhi gonfi di lacrime a stento trattenute.
“Che hai tesoro?” le chiese la madre con premura.
La bambina taceva e continuava a fissare il pavimento del soggiorno.
“Parla, ti prego.”
Con un filo di voce appena percettibile, disse:
“Alcune compagne sono state cattive con me, mi hanno tirato addosso le cose… e io sono stata male.”
In realtà, la maestra, tra un gioco e l’altro, aveva pensato di iniziare i bambini a contare e disegnare aste belle diritte.
Rubina le aveva fatte tutte storte e quando era stato il momento di dire il numero esatto, aveva sbagliato i conti.
Tutti le avevano riso dietro, e lei mortificata si era seduta su una panca e non aveva più parlato con nessuno.
La madre, nel vedere quel visino angelico così turbato si impietosì; concluse che era ancora troppo piccola per stare lontana da casa e, quasi avesse il presagio di un prossimo distacco dalla figlia, la tenne sempre con sé.
In capo a qualche anno infatti, la donna si ammalò di un male oscuro. I medici non furono in grado di fare una diagnosi, né di stabilire una cura. In pochi mesi morì, e la bimba fu affidata alla balia che l’aveva vista nascere, dato che il padre non stava quasi mai in casa, ma era sempre in giro per l’universo a progettare complotti e genocidi.
Rubina passò gran parte della sua fanciullezza a trastullarsi con giocattoli e bambole, a passeggiare nel grande parco che circondava il palazzo reale, raccogliere fiori, sfogliare libri pieni di figure.
Grazie alla donna che la seguiva in ogni cosa, aveva imparato a leggere e scrivere abbastanza facilmente, prendendo la cosa come un gioco.

Un giorno, re Vega, che era appena tornato a casa dopo mesi di assenza, osservò con attenzione la figlia e realizzò che non era mai andata a scuola.
Pensò di mandarla in una privata e molto costosa non lontana dalla loro abitazione, ma quando Rubina sentì parlare di questo progetto, venne colta da una crisi isterica che si concluse in una serie di convulsioni e un pianto disperato.
Il padre, sconvolto, non disse più nulla, però la balia, che la conosceva molto bene, propose un tutore privato.
“Vedete sire, la bambina è abituata ad un certo tenore di vita, credo sia meglio provare con delle lezioni a domicilio. E’ facile che sia poi lei, in seguito, ad esprimere il desiderio di frequentare una scuola e così coltivare amicizie.”
A Vega parve una buona soluzione, quindi prese contatti con un noto professore liceale e lo fece venire alla reggia.

I primi giorni furono semplici per Rubina. Il professore parlava in lungo e in largo di molte nozioni scolastiche, volle vedere come scriveva e disegnava. Alla fine si convinse che la ragazzina era intelligente, leggeva molto bene, benchè fosse piuttosto indietro con gli studi rispetto alla sua età.
“E’ il momento di studiare geografia, cara principessa”, esordì un mattino il tutore.
“Precisamente, Geografia Astronomica.”
“Non so cosa sia” disse con aria ebete la fanciulla, mentre si accarezzava la folta chioma.
“E io sono qui per spiegarti tutto. Cominceremo oggi da un pianeta molto distante da qui, la cui caratteristica è il suo colore blu intenso.”

Questa branca della geografia e dell'astronomia o, più precisamente, della geografia matematica si occupa di studiare il movimento della Terra in relazione agli altri corpi del sistema solare. Più in generale, si occupa dello studio del pianeta Terra da un punto di vista astronomico e delle sue generalità: forma, dimensioni, movimenti, relazioni con gli altri corpi celesti ecc. La scienza che si occupa dell'interno del nostro pianeta (nucleo, mantello, crosta, mantello, rocce, terremoti, vulcani, crateri, ecc.) è la geologia, che a sua volta si suddivide in altre discipline come, per esempio, la vulcanologia, che studia tutto ciò che riguarda i vulcani.
Esempi di argomenti importanti di cui si occupa la geografia astronomica sono:
Forma della Terra (geodesia (che si occupa anche della sua misura)
Dimensioni della Terra (calcolo di Eratostene di Cirene...)

Coordinate geografiche (meridiani, paralleli...)
Movimenti terrestri (rotazione, rivoluzione...)
Relazioni del nostro pianeta con altri corpi celesti (soprattutto con gli altri corpi del sistema solare)
Fenomeno della marea.


“Non ci capisco niente” disse la principessa.
“In un solo giorno, non è possibile comprendere tutto” spiegò paziente il professore.
“Questo libro contiene tutte le nozioni fondamentali. Studierai i primi tre capitoli, e quando la settimana prossima tornerò, vedremo insieme cosa hai capito. Scriverai in un foglio quanto ti ho segnato qui sopra. Devi rispondere alle domande, non sono difficili se studi con impegno.”
L’uomo se ne andò e, dato che era venerdì, Rubina aveva tutto il fine settimana per prepararsi.

Dopo pranzo andò nella sua stanza: esausta, si stese sul letto a pensare. Per quanto tempo avrebbe dovuto studiare? E quante materie esistevano? A cosa servivano tutte quelle nozioni?
Si appisolò un poco, poi, dato che era una bella giornata decise di uscire in giardino. Per quel giorno aveva studiato abbastanza.
Inaspettatamente, verso sera, ricevette una telefonata dal padre. Sarebbe rientrato e passato qualche giorno a casa.
Rubina era raggiante: erano settimane che non lo vedeva e anche le telefonate erano state scarse. Avrebbe chiesto a lui, un aiuto per i suoi compiti.
Il sabato pomeriggio, il sovrano si era chiuso nel suo studio. La ragazza si fece coraggio e bussò alla porta, poi aprì uno spiraglio.
“Che c’è?! Ah, sei tu cara, ti serve qualcosa?”
“Sì, è una questione di vita o di morte.”
Al re scappò una risata, poi la invitò ad accomodarsi nello sgabello accanto a lui e la pregò di raccontargli tutto.
“Devo fare un compito molto difficile per lunedì. Mi aiuti papino?”
“Certo cara, fammi vedere di che si tratta.”
“Sono domande di geografia astronomica.”

Forma della Terra (geodesia (che si occupa anche della sua misura)
Dimensioni della Terra (calcolo di Eratostene di Cirene...)
Coordinate geografiche (meridiani, paralleli...)
Movimenti terrestri (rotazione, rivoluzione...)
Relazioni del nostro pianeta con altri corpi celesti (soprattutto con gli altri corpi del sistema solare)
Fenomeno della marea.


Mi sembra tutto molto semplice, prendi il quaderno e scrivi:

1) Forma della Terra: Tonda che pare fatta col compasso.
2) Dimensioni della Terra: Di giusta misura, quel tanto che mi fa venire voglia di acchiapparla.
3) Coordinate geografiche: Tra quel posto e Vega c’è uno spazio microscopico. Posso divorarla in un boccone.
4) Movimenti terrestri: Il giorno che ci metto le zampe, quel globo non si muoverà più.
5) Relazioni della Terra con altri corpi celesti: Le uniche relazioni sono di conquista e totale distruzione del campo.
6) Fenomeno della marea: Quando sarò là, una bella nuotata nell’Oceano Pacifico non me la toglierà nessuno.

Rubina scriveva puntigliosamente tutto quanto il padre le dettava. Sospirò di sollievo quando anche l’ultima domanda ebbe la risposta.
In fretta riordinò libri e quaderni, stampò un grosso bacio sulla guancia del suo avido genitore e se ne andò tutta contenta.



FINE

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LA FESTA DEL LAVORO

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Il primo maggio è la festa del lavoro in tutto il mondo e non solo… anche per le altre galassie disperse nell’universo, benchè di queste ultime non si abbia notizia.
In quella giornata, al ranch Makiba, tutti o quasi i componenti della fattoria si alzavano prima dell’alba, ripulivano bene le stalle, gli animali dovevano essere lavati e pettinati al ruscello dopo una lunga corsa. Era d’obbligo tagliare l’erba, la casa doveva essere tirata a lucido come uno specchio e tante altre minuzie domestiche, le quali non andavano assolutamente trascurate.
Anche Mizar doveva logicamente collaborare, anche perché in quel giorno non c’era scuola, quindi: niente ozio, il lavoro nobilita l’uomo!
Rigel dettava tutte queste regole dalla sua torre di controllo: il cannocchiale era sempre puntato verso l’alto nella speranza di intravedere almeno uno straccio di ufo e anche in fondo al cortile, casomai quei quattro scansafatiche avessero la peregrina idea di defilarsi e andarsi a divertire.
“Perché andate così piano? Forza, possibile che già di prima mattina siete così fiacchi?
Che vergogna! Così giovani e così poco grintosi, io in meno di un’ora sono capace di fare tutto da solo!” gridava il ranchero con tutto il fiato che aveva in gola.
“Allora vieni ad aiutarci, invece di parlare e gridare agli ufo!”
“Cosaaa?? Venusia, ti proibisco assolutamente di mancare di rispetto a tuo padre! Io sto lavorando più di tutti voi messi insieme! Un giorno si fermerà qui un bel disco volante e gli spaziali verranno apposta per incontrare me, certamente! Quel giorno ne vedrete delle belle, vi passerà subito la voglia di dirmi che sono un visionario, io parlo con loro tutti i giorni, sapete? Sicuro! Mi hanno anche detto che, siccome non ci credete, vi faranno prendere una bella fifa e di notte per giunta, sì, eccome!”
Venusia stava raccogliendo l’erba appena tagliata, Mizar invece pettinava il suo nuovo puledro; Actarus sistemava la staccionata col martello e i chiodi, mentre Alcor, con infinita pazienza, lavava i cavalli ad uno ad uno.
A metà mattina, erano tutti e quattro già stanchi, sporchi e sudati; non ne potevano più!
Si guardarono un attimo negli occhi e a stento trattennero una risata. Rigel aveva passato ogni limite!

Su Vega, invece


“Tutti i nostri soldati hanno fatto uno sciopero collettivo. Mai successa una cosa simile che io ricordi! E’ stata una ribellione in massa con delle scritte anche sui muri. Si sentono sfruttati, sempre a rischio della vita, sottopagati e altre scemenze simili. Mah, non so più cosa pensare…” diceva il Comandante Gandal al suo sovrano, appena gli era comparso sullo schermo.
“Mmm… cosa significa? Non è certo una buona ragione per starcene con le mani in mano. Siamo in guerra e si deve per forza andare avanti, chiaro? Non sei stato capace di fermare questa cosa, avevi l’obbligo di prevenirla, quindi adesso ti fai venire una buona idea per un nuovo attacco, coi soldati o senza, non mi interessa. Muoviti, è un ordine!”
“Va bene, maestà” rispose Gandal con un filo di voce, abbassando il capo.
Lady Gandal uscì immediatamente e con voce imperiosa chiamò Hydargos a rapporto.
“Sono qui mia signora, cosa volete?”
La piccola figura di rosso vestita, disse con voce stridula e perforante: “Prepara subito quel nuovo mostro da combattimento, sali sul disco, scendi sulla Terra e fatti valere!”
“Ma… non capisco… come… ma è da finire di montare, non è pronto, poi da solo non ci riesco…”
“Non mi interessa, peggio per te! Se non lo farai subito ti sbatto in galera, oppure ti disperdo in una lontana galassia, chiaro?”
“Sì, mia signora.”
Hydargos si recò di malavoglia nel grande magazzino dove c’erano gli attrezzi e i metalli. Il disco era pronto, però il robot ancora incompleto, tutto da montare e pesava qualche tonnellata.
Con gesto quasi inconsapevole, la mano cercò la bottiglia di liquore sullo scaffale e ne bevve un lungo sorso. Si sentì molto più in forze e con la mente pronta, quindi pensò bene di applicare delle potenti calamite sugli arti del mostro, i quali, per attrazione, si incollarono da soli sul corpo.
Gli parve intelligente oliare le giunture con molti litri di liquido apposito, tracannò in un fiato tutto il resto della bottiglia e si mise al posto del pilota puntando diritto verso la Terra zigzagando, dato che i fumi dell’alcol già si facevano sentire. Nello spazio adibito a bar, aveva infilato qualche altro liquore creato da lui con delle bustine pronto uso.
Niente stormi di minidischi purtroppo, dato che era in corso uno sciopero collettivo.
“Forse avrei fatto bene a sparire anch’io, una vacanza mi avrebbe fatto solo bene… però… non tutti i mali vengono per nuocere. Vuoi vedere che se io da solo riesco in questa battaglia, salirò al massimo grado? Ci scommetto, sarà così, è un segno del destino.”
Il Centro di Ricerche Spaziali stava avvistando un ufo. Procton aveva subito avvertito Actarus via radio e Alcor, appena sentito questo, era corso sul TFO parcheggiato nel garage del ranch.
Rigel, vedendoli partire, si era messo a strillare dall’alto della sua torre in modo isterico finchè, a forza di agiarsi, non era caduto a terra.
I due giovani si misero in volo e ben presto raggiunsero uno spazio verde attorniato da alte montagne. Di fronte ai loro occhi, il disco pilotato da Hydargos, apparve in un baleno.
Alcor lanciò subito i suoi missili, i quali, appena esplosero sulla nave, fecero uscire il mostro allo scoperto.
Era tutto rosa e verde, assomigliava a un drago, infatti dalla bocca uscivano delle fiamme: non erano di vero fuoco come poteva sembrare, si trattava piuttosto di una combinazione di alcol e zucchero, che Hydargos aveva pensato bene di infilare dentro la testa del robot durante il viaggio, credendo di potenziarne la forza distruttiva.
Un solo colpo di maglio perforante fece saltare tutte le calamite, così i pezzi si sparsero da tutte le parti; essendo tanto oleati, non erano più buoni a niente, solo pezzi da rottamare.
Il comandante guidava dentro la testa del mostro, l’unica parte rimasta attiva e funzionante, in uno stato di pazzia rabbiosa e senza vedere dove andava.
Voleva per forza lanciare tutte le armi contro i due avversari, quindi premette tutti i tasti che aveva davanti senza seguire una logica, né sapere più cosa stesse facendo. In ultimo, diede fondo alla bottiglia, accese i motori al massimo e in uno stato di semi allucinazione, vide davanti a sé solamente tanto fumo nero.
“Ecco, ce l’ho fatta, sono saltati in aria, li ho battuti, evviva! Sì, sono esplosi, non c’è più niente, ho disintegrato l’odiato Goldrake, certo! Me lo sentivo che oggi era il mio giorno fortunato. Eh sì, chi fa da sé, fa per tre!” gridò con voce isterica e tremante, al colmo della pazzia.
Ubriaco fradicio, accese con fatica il pilota automatico con direzione base lunare Skarmoon.

I due terrestri invece, avevano ancora molte ore di lavoro da sbrigare alla fattoria prima che si facesse sera. Quella strana battaglia era stata breve e alquanto strana. A vincere così non c’è nemmeno tanto gusto, pensava Alcor “la prossima volta mi aspetto un mostro coi fiocchi… lo farò nero, nero come il carbone.”
“Andiamo a raccogliere le fragole, piuttosto… così Rigel non si arrabbierà troppo quando ci vedrà tornare”, gli disse Actarus con un sorriso di intesa.
“Va bene, andiamo.”


FINE
 
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STRATEGIE VINCENTI

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Mister Majestic, il cui vero nome è Majestros (insignito del titolo di Lord sul suo pianeta di origine), è un personaggio dei fumetti creato da Jim Lee e H.K. Proger, pubblicato dalla Wildstorm, poi passata sotto l'egida del colosso DC Comics. È più comunemente noto come Mr. Majestic.


Mr Majestic, alias Lord Majestros apparteneva alla razza aliena dei Cherubini, provenienti dalla stella Khera. Era un guerriero reduce da migliaia di anni di guerra su vari pianeti, fiero e potente.
Ha sempre avuto un grande senso dell'onore. Mai mostrato emozioni di nessun tipo, rimanendo spesso impassibile agli eventi.
La sua era una razza estremamente longeva, lui stesso contava qualche centinaio d’anni e possedeva ancora poteri e abilità super forza, velocità, durabilità, volo, intelletto livello genio, vista laser, respiro di ghiaccio, vista a raggi X, sensi sovrumani. Era in grado di sopravvivere nello spazio, telecinesi, telepatia, capace di riprogrammare le macchine con le trasmissioni fotonici dalla sua vista laser, manipolazione della materia, controllo della realtà.
Da anni non partecipava più a conflitti di nessun genere, ma aveva deciso di usare la sua fama, l’intelligenza e il prestigio come consulente presso scienziati, tecnici, amministratori, sovrani con brama di dominio e supremazia.


Il pianeta Vega era appena esploso per via di un esagerato inquinamento di vegatron: il re, i collaboratori e l’esercito sopravvissuto, stavano accampati su Skarmoon.
In quel momento, il bisogno di impadronirsi del pianeta Terra era impellente. Ormai non si trattava più soltanto di ampliare il giro di conquiste e avere Goldrake, ma era in gioco la loro stessa sopravvivenza.
Zuril conosceva di fama Mr Majestic, da tempo cercava di convincere il suo sovrano a contattarlo per un consulto.
Non che re Vega non ci pensasse o fosse in disaccordo, ma sapeva molto bene che un tipo come quello si faceva pagare non a ore, ma a minuto. Impostava il cronometro e ogni secondo che passava, erano biglietti di banca che se ne andavano via come acqua.

“Resta sempre un ottimo investimento, maestà” gli aveva detto un mattino.
“Soltanto ieri, il nuovo mostro “imbattibile” a tuo dire, è appena stato disintegrato dai terrestri, come credi possiamo tirare avanti in questo modo? Le materie prime scarseggiano, ho mandato un paio di soldati a fare un attacco terroristico per impadronirsi di un poco di vegatron, ma sono stati finiti a colpi di laser, poi sciolti nell’acido” ringhiò il re con rabbia mal dissimulata.
“Lo so bene sire, ma finora non ci siamo mai consultati con un esperto di quel livello. Come scienziato non mi batte nessuno, ci tengo a puntualizzarlo, ma in termini di budget e strategie economiche non abbiamo mai avuto qualcuno che facesse al caso nostro” rispose Zuril con calma serafica, quasi saccente, e un filo di superbia nello sguardo.
“Mmm…” borbottò il re pensieroso e indeciso sul da farsi.
Lo scienziato camminava su e giù per lo studio fissando il pavimento. Alla fine, prese coraggio e si decise a dire:
“Maestà, Mr Majestic sarà qui dopodomani, nel primo pomeriggio. Mi sono permesso questa libertà perché mi piange il cuore vedervi così abbattuto. Pagherò di tasca mia il primo consulto e se non vi andrà bene, gli diremo tanti saluti e grazie. Che ne dite?”
Re Vega lo fissò in tralice; sapeva che in fondo Zuril aveva ragione, ma lui era il re, e le iniziative prese da altri senza prima consultarlo gli erano indigeste come i peperoni fritti ripieni.
“Mmm… forse si può fare, però…”
“Ascoltate: dovranno essere presenti i Comandanti e anche vostra figlia che ho già contattato e mi ha detto che sarà qui puntuale.”
Zuril non aveva perso tempo, accidenti! Bisognava metterlo a suo posto, quelle libertà che si era preso a sua insaputa non gli piacevano per niente. Ci avrebbe pensato poi, anche se al momento capiva di non avere molta scelta.

“Allora sta bene, ma per favore, fai in modo che Hydargos sia sobrio e in perfetta forma, sono stato chiaro? Voglio dare un’impressione impeccabile.”
“Contate pure su di me, non ve ne pentirete.”
“Lo spero davvero.”
Zuril fece un piccolo inchino, chiese permesso e uscì dallo studio del re.

Due giorni dopo, la Quenn Panther di Rubina atterrò sulla base lunare alle 14 precise.
La giovane non indossava la solita tuta spaziale, ma un bellissimo e certo costoso abito in raso rosso fiamma, aderentissimo che la fasciava come una seconda pelle. Un paio di decolletè laccate in tinta col vestito la slanciavano con grazia. I capelli cotonati e il profumo da stordire, facevano di lei una donna molto provocante e sensuale.

“Benvenuta, cara” mormorò Zuril mangiandola con gli occhi.
“Dov’è mio padre?” gli chiese scansandolo e senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.
“In sala riunioni.”
“Rubina! Entra cara, come stai?” le disse il re illuminandosi tutto. Nel rivedere la figlia dopo mesi, l’umore del sovrano migliorò decisamente.
“Molto bene e sono felice di vederti. In queste ultime settimane ho avuto molto da fare, però sono riuscita a sistemare tutto e anche bene” dichiarò alquanto soddisfatta.
“E qui come va? So che sta per arrivare un grande luminare dell’economia, spero sia tutto a posto.”
“Ma si capisce! Si tratta soltanto di dare una sistemata ai conti. Vedi, non siamo un piccolo regno, ma i più potenti dell’intero universo, quindi occorrono collaboratori del nostro livello. Mi capisci vero?”
Osservò bene la figlia e notò che aveva fatto un gran cambiamento; non solo per il look, ma aveva un piglio nuovo, più deciso, da vera principessa. Lo sguardo aveva perso ogni residuo di ingenuità adolescenziale, era una donna, sapeva farsi intendere, pretendere e comandare. Si sentì rimescolare tutto dentro, il suo orgoglio paterno fu pienamente soddisfatto.

“Mr Majestic sarà qui tra mezz’ora, vero? Ho anch’io qualche domanda da fargli, sul come gestire al meglio stipendi, richieste di aumenti…”
“Non hai problemi economici su Rubi, vero?” le chiese preoccupato il padre osservandola. Da quanto spendeva nel vestire, sembrava proprio che la figlia navigasse in acque economiche molto floride.
Lei non rispose, si mise alla finestra tenendo le braccia conserte mentre fissava un punto imprecisato nel cielo.

Poco dopo entrarono Gandal e signora. Si erano appena docciati e depilati; lei aveva costretto il coniuge a tagliarsi quelle orribili unghie che sembravano artigli.
“Stai male così, sei inelegante e io non voglio fare brutte figure per colpa tua.”
Lui aveva protestato, ma lei con un paio di cesoie e un taglio deciso, aveva reciso senza pietà quelle brutte cose che sporgevano. Un urlo disumano aveva riempito la stanza, perché parte della sua pelle stava attaccata alle unghie ed era uscito un fiotto di sangue.
“Ma che razza di comandante sei, se non sopporti nemmeno un po’ di dolore? Che sarà mai!” gli gridò con un moto di fastidio.
Lui si era piegato in due e la voce si era bloccata, perché faceva fatica a respirare dal male.
“Svelto, in sala riunioni, si è fatto tardi!” gli aveva intimato senza tanti complimenti.
“E stai dritto, cammina diritto, ohhh! Da qualche tempo sembri gobbo, guarda che devi emanare autorità, cosa penseranno di te i soldati? Che sei un buono a nulla e presto saranno loro a dare ordini a te, ecco come andrà a finire!”
“Ce la fai a stare zitta per qualche minuto? Sei una piaga insopportabile, smettila di farmi sentire una nullità” disse lui furioso e risentito.
“Io lo dico solo per il tuo bene.”
“E allora, se vuoi il mio bene, stai zitta!”
“Stttt!!” sussurrò Zuril con l’indice sopra la bocca.
“La nave di Mr Majestic è appena atterrata. Forza, prendete posto in sala, ho messo il nome di ognuno sopra il tavolo.”

Re Vega stava assiso su una grande poltrona, la cui forma ricordava un trono. Il tavolo era grande e ovale, la sala ampia e molto luminosa. Il pavimento di legno profumava di cera, i vetri erano appena stati puliti con perizia, non c’era un filo di polvere, ogni oggetto era al suo posto.
La prassi voleva che fosse la principessa ad attenderlo sulla porta e accompagnarlo dentro.
Poco discosto da lei stava Zuril, che lo ricevette con un piccolo e breve inchino.
“Dottore…” disse con tono affettato.
L’uomo entrò senza guardare nessuno. Era enorme, di certo alto più di due metri. Portava una tuta spaziale rossa e bianca, un grande mantello chiaro arrivava fino a terra.
“Prego, la sala è da questa parte, entri pure.”
Lo scienziato fece le dovute presentazioni.
“Noi due ci siamo già visti in videochiamata, piacere, sono il Ministro delle Scienze. Il mio sovrano è lieto di ospitarla qui” disse indicando con la mano.
“La signorina è la principessa Rubina, nonché erede al trono… e quello laggiù è il Comandante Gandal, fidato collaboratore del re insieme alla sua consorte. Bene, ora che ci siamo presentati, credo sia il caso di prendere posto.”
La sedia in velluto scarlatto di Mr Majestic era posta di fronte a re Vega, Gandal stava di lato, mentre Zuril e Rubina dalla parte opposta del tavolo e molto vicini.
“Tutto bene, cara?” le chiese il ministro stordito dal profumo e dalla sua bellezza. Le aveva preso la mano e non la lasciava più.
“Sto benissimo, ma le zampacce verdi te le tieni in tasca, intesi?” gli intimò incenerendolo col suo sguardo celeste.
“Scusate Altezza” mormorò lui, deluso dal suo sguardo di ghiaccio.

“Mi servono i libri contabili, il bilancio, gli investimenti fatti, il resoconto delle ultime battaglie, di quanti soldati è formato l’esercito, gli operai, i collaboratori” chiese freddo ed impenetrabile Mr Majestic.
Zuril e Gandal si diressero verso l’armadio a muro e presero alcuni registri. Accesero il computer per mostrare in diretta il lavoro degli addetti alla fabbricazione di mostri e minidischi.
Hydargos sorvegliava il reparto produzione ed era stato messo al corrente di tutto. Si era alzato di buon mattino, indossato la nuova divisa e aveva fatto il possibile per restare sobrio il più possibile.
A colazione aveva ingurgitato solo un aperitivo a bassa gradazione alcolica e qualche tartina.
Il suo grande problema era che, da alcune settimane gli erano state spedite svariate casse di vini e liquori ordinati da lui stesso. Non sapeva dove nasconderli, temeva che le telecamere poste ovunque potessero individuare il suo segreto.
“Non posso permettermi questo, sarebbe la fine” pensava da alcuni giorni.
“Ci mancava anche il manager adesso! Ma che gli è saltato in mente a Vega!”

“Dunque… come mai vi ostinate a inviare sulla Terra formazioni di minidischi, quando sapete benissimo che vengono sistematicamente distrutti? E’ molto dispendioso e non serve a nulla” esordì Majestic sfogliando i registri.
Re Vega abbassò lo sguardo sentendosi spiazzato, ma Lady Gandal intervenne prontamente.
“E’ un’idea del Comandante Hydargos, questo tipo con la testa a pera e l’aria sempre arrabbiata, lo vedete nello schermo? Ora sta riprendendo un lavorante. In pratica, ama inviare flotte di minidischi per almeno due motivi: il primo è che di questa produzione se ne occupa lui e lo fa sentire importante. Il secondo motivo, è perchè gli piace da matti vedere sullo schermo il collaboratore di Procton, Hayashi, quando annuncia: “Dottore, abbiamo avvistato tre formazioni di minidischi!”
Sadico per natura, gode moltissimo vedere la sua espressione allarmata, le goccioline di sudore e immaginare tutto il Centro che è sulla Terra in stato di panico.”
Il re avrebbe voluto scavarsi una fossa e sotterrarsi per la vergogna, ma prima che ciò divenisse un pensiero compiuto, il grande luminare liquidò la faccenda in poche parole.
“Se gli piace tanto quella scenetta ripetitiva, basta registrarla una volta, così può rivedersela quando vuole.”
“Ottima idea!” dissero in coro i Gandal.

“Bene, ora ho bisogno di vedere tutti i magazzini e la produzione. Ho notato che fate solo due turni di otto ore ciascuno, quindi ogni volta le macchine vengono spente. Vi ricordo che la loro riaccensione vi costa moltissimo sia in termini energetici, che in materiale di scarto. Fate tre turni a ritmo serrato e niente giornate di riposo.”
Rubina assentì col capo, mentre re Vega aprì due volte la bocca senza riuscire a sillabare una parola.
Diceva bene lui! Ma come poteva fare? Il rischio di sommosse, scioperi e proteste erano in agguato!
“In fondo il re sono io e decido io; se ai miei uomini questo non sta bene, la porta è aperta, che se ne vadano pure.”

Comunicò a Hydargos che stavano andando da lui, si tenesse pronto.
Il povero disgraziato stava con equilibrio con tre casse di alcolici tra le braccia, era disperato perché non sapeva dove nasconderli.
“Sono finito! Devo liberarmene subito!”
Col cuore sanguinante di dolore prese fuori tutte le bottiglie e costrinse soldati e operai a ingurgitare tutto il contenuto.
“Forza, è un ordine del re, questi sono ottimi ricostituenti, vi fanno bene!”
Tutti abbozzarono una debole protesta, ma il comandante aveva ficcato ad ognuno di loro una bottiglia in bocca, intimandogli di vuotarla subito.
I poveretti fecero quanto era stato loro comandato, però Hydargos vide che il contenuto di una cassa bella grande era ancora integro. Preso dal panico corse presso la sala dove giaceva un grande mostro nuovo di zecca e ancora da collaudare, tutto rosa a pois rossi, con la testa a forma di drago che sputava fiamme verdi. Obbligò il pilota a scolarsi due bottiglie, mentre lui versava tutto il resto nel serbatoio.
Col cuore a mille tornò in fabbrica, appena in tempo per inchinarsi al suo sovrano e presentarsi al Mr Majestic.
“Ecco il nostro Hydargos” disse il sire.
“Buongiorno, intanto che sono qui, fatemi vedere un mostro in partenza dalla vostra base.”
“Ehm… ecco… dunque… occorre la nave madre… poi… ho pochi minidischi…” balbettò imbarazzato.
“Ho già spiegato ai vostri superiori che non occorrono.”
“Ah… quindi…”
“Dicevate: la nave madre, poi?” incalzò Mr Majestic.
“Abbiamo appena terminato la fabbricazione di un nuovo mostro, ma è in attesa di collaudo.”
“Non importa, io devo vedere l’impostazione, la partenza, i tempi. Tutto questo per una questione economica: massimo rendimento e minima spesa. Mostratemi la partenza.”
Tutti i presenti si avviarono nello stanzone dove giaceva quella macchina bellica alquanto ibrida.”
“Fatelo partire adesso.”
“Come volete.”
Con voce tremante, Hydargos diede ordine al pilota di partire.


“Dottore! Un oggetto volante non identificato si sta dirigendo verso di noi!” disse Hayashi allarmato.
“Ingrandisci lo schermo.”
Procton, Actarus, Alcor, Venusia e Maria avevano gli occhi incollati sul video che riportava un gigantesco mostro veghiano dalla forma strana e insolita, puntare a velocità folle verso la Terra zigzagando come fosse ubriaco.
Dal motore uscivano delle enormi bolle colorate insieme ad un fumo verdastro e molto denso.
Dopo alcuni minuti, lo videro schiantarsi in mille pezzi sopra gli scogli del mare giapponese, mentre bolle variopinte volavano verso il cielo turchino.
“Non ho mai visto niente di simile”, mormorò Maria sgomenta.
“Nemmeno io” disse Alcor.
“Chissà perché i veghiani l’hanno mandato…” pensò ad alta voce Procton lisciandosi i baffi.
“Volevano spaventarci, o forse questo è il primo e un altro sta arrivando. Yamada, controlla bene!” ordinò Actarus.
“Io non vedo niente, meglio restare in allarme comunque.”
Alcor e Maria decisero per un giro di ricognizione coi rispettivi dischi.


Anche su Skarmoon tutti avevano assistito alla scena.
Hydargos tremava, teneva lo sguardo fisso a terra ed era sicuro che l’avrebbero condannato a morte.
“La prossima volta fate il collaudo” disse Mr Majestic in tono freddo e neutro.

In un confuso silenzio tornarono in sala riunioni.
Tutti presero i rispettivi posti: Zuril non capiva nulla dell’accaduto, re Vega si sentiva ridicolo e provava grande imbarazzo davanti a quello scienziato, mentre Rubina si rosicchiava le unghie.
“Bene, direi che per oggi abbiamo finito. Ci sono domande?” chiese Majestic fissando tutti i presenti.
“No? Bene, questa è la parcella e gradirei fosse saldata entro la settimana entrante.”
“Ci penso io” disse Zuril, il quale, nel leggere l’importo ebbe un forte senso di vertigine. Si era offerto lui di pagare, non poteva certo tirarsi indietro e sapeva che avrebbe dovuto dare fondo ai suoi risparmi. Per un bel pezzo, addio bella vita!
Tutto l’insieme di quella strana giornata gli aveva lasciato un senso di vuoto, amarezza e frustrazione. La rabbia per l’indifferenza che la principessa ostentava con lui, gli fece venire voglia di vendicarsi.
“Dottore, nel caso non l’avesse notato, col mio computer oculare sono in grado di vedere molte più cose degli altri” gli disse scortandolo verso l’uscita.
“Ah, sì? Quali ad esempio?”
“Beh, le password, tanto per dirne una. La principessa ha due indirizzi email e per entrarci, in una digita: sempreinnamoratadite, mentre l’altra password è: sonobellaemenevanto.

“Mmm… sono poco sicure, meglio aggiungere numeri, lettere, puntini” rispose asciutto, spiazzandolo per l’ennesima volta.
Zuril sperava di ridicolizzare la ragazza con la complicità dell’ospite, confidargli che da anni era innamorata di un principe che non se la filava per niente.
“La tua password è invece: SONOPIENODICORNACHENONPASSODALLAPORTA!” gridò furiosa Rubina, la quale, non vista, li aveva seguiti.
Mr Majestic la guardò con un grande sorriso, si chinò verso di lei, le prese una mano e con voce diversa concluse: “In fondo, le corna stanno bene a chi le porta.”


FINE

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BOMBE D'ACQUA

La concezione scolastica di Shiro Kabuto è molto, ma molto personale e personalizzata
La maestra ha appena finito di spiegare i nubifragi e il perchè certi fenomeni atmosferici hanno preso la denominazione di "bombe d'acqua".

“Bomba d’acqua” è un termine giornalistico coniato dai mass media come libera traduzione dell’inglese cloudburst (letteralmente “esplosione di nuvola”). Non è altro che un violento nubifragio in cui la quantità di pioggia caduta supera i 30 millimetri all’ora, o – secondo altri climatologi – quando le precipitazioni superano i 50 millimetri nell’arco di due ore.

"Adesso Shiro viene alla lavagna e ci spiega questo fenomeno. Vediamo se ha capito."

Il bambino si alza dal suo banco e, tutto impettito, si avvia verso la cattedra.
"Subito signora maestra, ho portato degli esempi."

La signora rimane sorpresa davanti a tale sicurezza e preparazione di quel ragazzino che da sempre le ha procurato solo guai e brutte figure davanti al Preside e i colleghi.

"Devo recarmi un momento al bagno, torno subito."
Arrivato davanti al lavabo, estrae dalla tasca una busta piena di palloncini colorati, li riempie d'acqua e li mette in un grande vassoio.

1_396

"Eccomi qua. Ora mostro alla classe cosa sono le bombe d'acqua."

Prende il primo palloncino che è di colore giallo e lo butta con forza sul pavimento creando una pozzanghera che bagna le scarpe nuove di pelle della signora, la quale, incapace di parlare per lo stupore, fa un salto indietro.

"Questa bomba crea la pozzanghera, quest'altra che butto nella classe un lieve allagamento. Tutte insieme sono una ventina, le rompo in un botto e l'alluvione è bella che arrivata. La scuola chiude per due mesi e noi stiamo a casa. Come compito per le vacanze, la conta dei danni."


FINE
 
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view post Posted on 20/6/2023, 06:59     +2   +1   -1
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FANFICTION



Una fanfiction o fan fiction è un'opera di finzione amatoriale scritta dai fan prendendo come spunto le storie o i personaggi di un'opera originale, sia essa letteraria, cinematografica, televisiva, o appartenente a un altro medium espressivo.
Il termine è in uso almeno dagli anni Trenta del Novecento, ma come fenomeno si è sviluppato negli anni Sessanta con l'apparizione, su alcune fanzine, di racconti e romanzi ispirati a Star Trek che conobbero una circolazione nel mondo del fandom, anche se non mancano esempi più remoti di manifestazioni di questo genere, come alcuni racconti apocrifi di Sherlock Holmes scritti da ammiratori del personaggio. La loro diffusione ha accelerato con l'arrivo di Internet e la creazione di grandi comunità e archivi online.
Il termine "fanfiction" (nella grafia "fan fiction") è in uso almeno dal 1939: la prima citazione nota è contenuta nella fanzine di fantascienza Le Zombie di Bob Tucker, che lo utilizza con connotazioni dispregiative opponendolo alla "pro fiction" degli scrittori professionisti.
Appare anche nell'enciclopedia del gergo Fancyclopedia del 1944, che lo definisce come "finzione sui fan, o a volte sui professionisti, e occasionalmente coinvolge personaggi famosi da storie di fantascienza".
Talvolta è utilizzato impropriamente per indicare opere fantasy pubblicate in una rivista realizzata da fan.

Internet ha reso i fandom più visibili sia a potenziali nuovi appassionati, sia agli interessi commerciali, e compagnie come Wattpad e Amazon hanno creato dei modelli di business costruiti esplicitamente attorno alle fanfiction. Negli anni 2010 alcune celebri opere scritte da fan sono state pubblicate formalmente, anche se con modifiche ai nomi dei personaggi per non incorrere in problemi di copyright: Cinquanta sfumature di grigio di E. L. James era in origine una fanfiction di Twilight di Stephenie Meyer, mentre After di Anna Todd aveva come protagonista la boy band inglese One Direction. Il 22 maggio 2013, Amazon ha aperto Kindle Worlds, permettendo la vendita di fanfiction appartenenti a determinati media, ma con rigorose restrizioni, come il bando su pornografia, contenuti offensivi, crossover e violazioni di copyright. Il servizio è stato chiuso nel 2018.

Le fanfiction tendono a esplorare aspetti alternativi dei personaggi piuttosto che dei mondi a cui questi appartengono, trasformandone l'identità sociale (come l'orientamento sessuale) e di classe (la professione). Molte sono erotiche, mettendo in discussione le supposizioni comunemente accettate su genere, sessualità e desiderio. Taluni scrivono deliberatamente "badfic" ("bad fiction", ovverosia "pessima fiction"), spesso di stampo parodistico, che può giocare con la figura di Mary Sue/Marty Stu, un personaggio originale bello, intelligente e avvenente che rappresenta una versione estremamente idealizzata dell'autore e mette in ombra i personaggi canonici.

Durante i primi decenni di esistenza delle fanfiction, gli autori hanno ricevuto riscontri dai lettori sul loro operato tramite le lettere inviate alle fanzine. Internet ha reso il processo più immediato, e le comunità online sono diventate gruppi di affinità in cui i partecipanti si fanno da mentori, e i feedback forniti non puntano a migliorare soltanto l'opera, ma anche la persona che la scrive, distinguendosi da altri siti che offrono recensioni. Inoltre, poiché in rete i giovani scrittori possono avere accesso a un pubblico più ampio che legga ciò che hanno scritto, si genera una migliore alfabetizzazione.

Generi di fanfiction


Gen, che non prevede relazioni romantiche tra i personaggi;

Het, che si concentra su una relazione eterosessuale, inventata dall'autore o già presente nell'opera originale;

Slash, che presenta una relazione omosessuale, solitamente basata su sottotesti percepiti come omoerotici dall'autore.
Esiste poi un numero di sottogeneri popolarmente riconosciuti, presentati singolarmente o combinati tra loro, i cui nomi indicano un insieme di narrative e aspettative tematiche. La serie originale di Star Trek è stata la fonte di molti dei principali tropi.

AU (alternate universe): i personaggi vengono posti in un'ambientazione diversa da quella dell'opera originale;

Crossover: combina i personaggi di due fonti diverse in un'unica storia;

Curtainfic: di ambientazione particolarmente domestica, con la coppia principale, spesso gay, che va a comprare delle tende;

Deathfic: un personaggio principale muore;

Episode fix: riscrive un evento canonico dandogli una diversa conclusione;

Episode tag o Missing scene: continua lo sviluppo di una scena canonica;

Fluff: una storia leggera che punta a lasciare un impatto emotivo tenero più che a portare avanti una trama;

Hurt/comfort (h/c): un personaggio ferito viene confortato da un altro;

Mpreg: prevede una gravidanza maschile;

Omegaverse o A/B/O (alpha/beta/omega): attribuisce a personaggi umani alcuni tratti biologici dei canidi;

Oneshot: storie lunghe un solo capitolo;

PWP: acronimo di "porn without plot" ("porno senza trama") o "plot? What plot?" ("trama? Quale trama?");

RPF (real person fiction): legata al fenomeno dello shipping, non coinvolge personaggi inventati, ma persone realmente esistenti come le celebrità.

Una "songfic" è inframmezzata dalle parole di una canzone rilevante ai fini della storia.
Secondo la professoressa Catherine Driscoll, è "una delle modalità meno illustri di produzione dei fan" e che "all'interno delle fanfiction l'eccessivo attaccamento o la messa in primo piano della musica popolare è di per sé liquidato come immaturo e derivato".
 
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view post Posted on 21/6/2023, 13:12     +1   +1   -1
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Oggi è il primo giorno d'estate. Da ieri ho deciso di fare pulizia, buttare cose vecchie e inutili.
Fra tanti fogli, ho trovato la mia prima, ma veramente primissima storia che feci quasi per scherzo. Anche se natalizia, la metto qui per ricordo. Dall'allegato si vede che è di vecchia data. Non ci sono dialoghi.

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Per un felice Natale alla famiglia Makiba, è necessario anzitutto che non avvengano attacchi di sorta da parte dei veghiani.
Zuril e Gandal sono convinti di aver creato un nuovo mostro invincibile. Entro Capodanno la Terra sarà sotto il loro dominio; sono tanto contenti che, insieme ai soldati, si prendono una sbronza memorabile, loro non sono avvezzi all’alcool come Hydargos, per cui gli effetti sono devastanti.
Nel frattempo, non si sa come, il super mostro da loro creato finisce in mille pezzi, suscitando le ire di Re Vega, al quale la rabbia esce fuoco dalle narici, incenerendo sul nascere tutti i progetti del Ministro delle Scienze.

24 dicembre alla fattoria: i componenti della famiglia sono impegnati col presepe, gli addobbi per l’albero, disporre bene i regali.
Messa a mezzanotte tutti compresi, anche Procton e i componenti del Centro Ricerche: dopo, a casa, un piccolo brindisi e scambio dei doni.

25 dicembre una grande tavolata con molti invitati: arrivano anche Hara e Banta, Boss Robot con Nuk e Muka (a questo punto Rigel si chiede se il pranzo preparato sarà sufficiente per tutti).
Nell’entrare dalla porta – tutti e 5 insieme – forte spostamento d’aria, per cui l’abete finisce a terra con effetto rovinoso per le palline di vetro e grande disappunto di Mizar, ma nessuno se ne accorge.
Dopo un pranzo galattico, megagalattico, intergalattico e altrettante copiose bevute, partite a carte, tombola, mercanti in fiera, monopoli.
Tutti sono intontiti e mezzi brilli. A quel punto, Alcor e Maria decidono per una corsa in moto nell’aria frizzante.
Actarus e Venusia, davanti al presepe e sotto l’albero si giurano amore eterno, il tutto sottolineato da un bacio romantico, e lo stesso avviene all’unisono tra Alcor e Maria, di fronte ad uno splendido tramonto.


FINE
 
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view post Posted on 17/7/2023, 09:45     +1   +1   -1
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A GALLA


Ecco il precipizio, il fondo senza fine, il vuoto mi inghiotte.
Sto volando, ma verso il basso, niente e nessuno mi farà più risalire.
Rivedo la mia breve vita in una frazione di secondo.

Inizio a camminare, le mani della mamma tengono le mie
È il primo giorno di scuola
Indosso un abito elegante
Festa di compleanno
Faccio la mia prima cavalcata e riesco ad arrivare fino allo steccato senza cadere
Un party… un viaggio…
Il primo bacio e i primi palpiti, batticuore, tremore, la palma sudata e attaccaticcia
Il primo lento, le voci sussurrate, luci soffuse

Perdo la persona più importante della mia vita; il dolore è sordo, crudele e straziante, mi spezza il cuore, ma non devo mostrarlo, anche gli altri soffrono come me
L’odore della neve e quello dei fiori appena sbocciati
Il duro lavoro dei campi, l’amore per gli animali, la loro riconoscenza
Una folle corsa a cavallo contro vento, il sole negli occhi, il cuore pieno di speranza e di un sentimento che non posso più reprimere
Lavori domestici, una lama di sole entra dalla finestra e ferisce lo guardo
Giorni uguali e tediosi, sorprese inaspettate
Un diluvio di stelle entra dal mio balcone… mamma!
E’ già primavera
Sono improvvisamente donna.

-------------------------------



Non sono nato sulla Terra, il mio mondo è il pianeta Fleed


E io sono ancora viva. E’ notte. Nella penombra della mia stanza guardo fuori, verso l’infinito.
Il mondo è come prima. Non è cambiato niente, ma non sono più la stessa.

Non è lui il ragazzo per te, quello giusto arriverà dalle stelle, lo so…


Sorrido al ricordo e mio malgrado, penso:
Avevi ragione papà, questa volta devo riconoscere che avevi visto giusto, almeno in parte.

Le palpebre diventano pesanti, mi abbandono al sonno. Mi auguro sia una notte piena di sogni felici.


Ep.23 "Distruggete la diga". Venusia è certa di morire quando cade nel precipizio e in pochi istante rivede ogni attimo della sua vita.

Edited by .Luce. - 19/7/2023, 08:02
 
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view post Posted on 20/7/2023, 14:05     +1   +1   -1
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BEAUTY FARM

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Episodio 19 “Il Grande Mazinga”.
Mentre Tetsuya e Shiro si concedono una rilassante nuotata in piscina e i generali Anghors e Draido scatenano due mostri guerrieri contro il centro del dottor Kabuto, Jun cade in depressione a causa delle chiacchiere di alcune ragazze dalla parrucchiera. Queste donne affermano che una bella ragazza deve avere innanzitutto una bella pelle e, siccome Jun è mezza giapponese e mezza africana, si ricorda di come da piccola veniva canzonata dai compagni di scuola per il colore della sua pelle.


… e il mio seguito per dare giustizia a Jun.


“Non mi capisci… non vuoi capire cosa provo come donna” mormorò tra sé Jun con mestizia mentre ripensava a come l’aveva trattata Tetsuya poco prima. Lentamente rientrò alla base: i suoi passi erano lievi e silenziosi sulla neve fresca.
Appena varcò l’ingresso, notò in lontananza il dottor Kabuto che parlava con il pilota di Mazinga.
Confidenza, cameratismo, intesa; niente nei loro modi faceva pensare che si preoccupassero per lei, per il suo stato di poco prima, niente.
Istintivamente portò la mano destra sulla guancia, esattamente dove poco prima l’aveva colpita Tetsuya. Lei non aveva reagito, aveva accettato la cosa come un fatto normale. Ma perché? Si chiese a un tratto.
“Avevo bisogno di comprensione, ero tanto triste e lui mi ha detto che sono una sciocca e ho delle fisime” disse piano fissando il pavimento. Ricordò il dialogo nei particolari.

Non essere sciocca. Noi due siamo orfani, ma portare rancore verso tuo padre non serve a niente! Nascere con la pelle bianca o nera è davvero così importante per un essere umano? Se proprio vuoi odiare qualcuno, odia la guerra! Anch'io in passato portavo rancore a mio padre, ma non vale la pena vivere così!

E alla fine di quel discorso del tutto fuori luogo, le aveva dato uno schiaffo.
Ora Jun non era più triste, sentiva solo una grande rabbia che l’invadeva in tutta la sua persona. Aveva voglia di correre verso quei due che parlavano come niente fosse, aggredirli e picchiarli con quanta forza aveva! Buttarli a terra e saltare sopra i loro corpi, immaginare la loro incredulità, lo sbigottimento, leggere la paura nei loro occhi e alla fine supplicarla con frasi spezzate da colpi di tosse e un filo di voce di lasciarli stare, loro le volevano bene, perché faceva così, era una ragazza meravigliosa e una pilota piena di coraggio.
“Una brava pilota, come no!” pensò Jun con amarezza. “Quando sono scesa in campo mi ha dato della stupida, ha detto che il nemico era troppo forte per me. Però questa stupida gli ha salvato molte volte la vita, non ci ha mai pensato? No, è solo lui l’eroe! E in altre occasioni mi ha canzonata per come si era ridotto il mio robot in combattimento. Nessuna preoccupazione per me come persona.”
“Ehi, Jun, cosa fai sulla porta? Vieni!” le disse Kabuto invitandola ad avvicinarsi a loro con un cenno della mano.
Entrambi gli uomini sorridevano: quel sorriso fatuo e leggero, tipico di chi si butta tutto alle spalle. Tanto, di che bisogna preoccuparsi?
La ragazza avanzò verso di loro con aria allegra. Voleva fargliela pagare, ma doveva essere una vendetta studiata bene, ironica, subdola, perfida e a sangue freddo.
“Lo sai che diventi ogni giorno più bella?” le disse Tetsuya a voce alta in tono scanzonato.
“Certo che lo so” lo gelò lei. Poi, fissandolo da capo a piedi, aggiunse: “Tu invece no, hai bisogno di una remise en forme.”
“Di che?” chiese lui ridendo volgarmente.
Con delicatezza prese tra le mani una ciocca di capelli e concluse: “Il cloro della piscina ti indurisce le chiome e usi dei prodotti non adatti quando li lavi.”
“E allora? Non devo mica posare per quei giornali da vip! Sono un guerriero io, non un modello!” gridò il ragazzo battendosi il petto con orgoglio.
Jun si trattenne a malapena dalla voglia di scaraventarlo a terra, quindi, con voce suadente, aggiunse: “Non hai bisogno di dirmelo, lo so già; però, se scendi in campo in piena forma, farai schiattare i mostri di Micene non solo con le armi, ma anche dalla rabbia. Tu sei bello e loro molto brutti. La bellezza può fare molte stragi, mietere vittime… di cuori femminili certamente, ma anche di cattivoni per travaso di bile.”
Tetsuya si voltò verso il dottore, ma era sparito. Guardò la giovane che aveva di fronte: gli aveva parlato con tono carezzevole e quasi materno, ma intravedeva nei suoi gesti un’inconfessata sensualità a stento trattenuta. O almeno così gli sembrava.
La sua vanità prese il sopravvento su tutto, quindi le disse: “Cosa mi proponi allora? Dove trovo queste famose armi belliche che hai decantato poco fa?” le chiese, mentre il suo amor proprio lievitava come una torta nel forno.
“Vieni con me. Questa mattina ero dalla parrucchiera, e il suo salone è completo di tutti i servizi. Capelli, unghie, massaggi, trattamenti laser, linfodrenaggio, cambio look…”
“Un momento! Non posso mica chiudermi là per un mese!” la interruppe.
“In due ore sarai come nuovo, fidati di me.”
“Fai come ti dice Jun” disse il dottore apparso magicamente nell’atrio.
“A più tardi, dottore” gridò la ragazza afferrando Tetsuya per il polso e guidandolo verso l’auto.

In un quarto d’ora arrivarono a destinazione. Jun aveva già telefonato alla padrona del locale, dandole tutte le istruzioni.
Entrarono in un vasto salone tutto chiaro e dal pavimento color crema; l’arredamento principale era costituito da grandi specchi che partivano dal pavimento e arrivavano al soffitto: le grandi lampade e lampadari avevano luci molto forti. Luogo apparentemente semplice, ma in realtà sofisticato ed elegantissimo.
Tetsuya si guardò intorno sentendosi a disagio, ma al tempo stesso aveva una gran voglia di immergersi in quella nuovissima esperienza che lo stuzzicava come non mai.
Dal fondo della stanza, apparve una giovane lavorante che indossava un grembiule rosa, la quale andò loro incontro con un sorriso che pareva non spegnarsi mai. Profumava di fiori, shampoo e cosmetici.
Il ragazzo fu colto da un’improvvisa vertigine, ma si riprese subito.
“Ciao, Kaori” le disse Jun in tono confidenziale “ho già preso accordi con la signora al telefono poco fa.”
“Lo so, sono stata informata” le rispose sempre sorridendo. Poi, guardando in alto verso il ragazzo, aggiunse: “Di questo bel giovane me ne occuperò io” disse, mentre da un cassetto prendeva un asciugamano di cotone e lo apriva con energia.
“Bene, so che è in buone mani. Vado a fare alcune spese, sarò qui tra un paio d’ore.”
La lunga e flessuosa figura di Jun scomparve in un istante. Tetsuya provò per un istante un vago senso di inquietudine, ma le mani gentili della ragazza che gli facevano infilare un lungo camice, e la voce gentile che lo invitava ad accomodarsi nella poltroncina di velluto davanti ad un grande specchio, gli fecero tornare tutta la sua baldanza.
I due si fissarono nel vetro che stava loro di fronte e presero accordi.
“Cominciamo dai capelli” disse lei tastandoli con le sue sottili dita come aveva fatto Jun al Centro.
“Sono molto aridi… serve una crema super idratante e dopo un buon taglio. Faremo un peeling sul viso; alla fine, asciugatura e messa in piega.”
“Ma come? Perché così tanto tempo per i capelli?” balbettò lui preoccupato.
“Su, una volta tanto, lasci che siano gli altri ad occuparsi di lei. Quando avrò finito, non si riconoscerà più” disse la ragazza con tono carezzevole e voce sensuale.
Lui non se lo fece ripetere e affondò la faccia nel quotidiano che stava sulla mensola.

Un’ora dopo, la chioma del grande pilota era totalmente avvolta in carta di alluminio. Sopra, una lampada emanava calore. La ragazza intanto, gli spalmava sul viso una crema verdognola e, sopra di essa, alcune fettine di cetriolo.
Tetsuya posò finalmente il giornale, guardò verso l’ingresso e, con estremo stupore vide Shiro lì seduto che con calma leccava un grande cono gelato. Sulle ginocchia teneva un fumetto di certo nuovo. Si alzò dalla poltrona e corse verso il bambino.
“Ehi, Shiro, ma che ci fai qui?”
“Ti aspetto.”
“Ma dov’è Jun? E perché sei venuto qui?” chiese con affanno, mentre alcune fette di cetriolo cadevano a terra.
“E’ venuta a prendermi da scuola, poi mi ha detto che sarebbe tornata a casa con l’autobus perché aveva molta fretta. Ecco, queste sono le chiavi della macchina, è lì fuori.”
Il giovane guardò Shiro, poi nel parcheggio; la macchina infatti c’era. Abbastanza perplesso e avvertendo un vago senso di mistero nell’aria, tornò al suo posto. Ormai doveva aver finito, accidenti! Gli occhi della mente gli riportarono alla memoria la strana espressione di Jun quando si era congedata. Era strana, sicura di sé e con un’ombra di ironia nello sguardo. Ma no, cosa andava a pensare! Era solo un’impressione!
“Le dispiace accomodarsi al lavatesta?” la dolce voce della parrucchiera lo distrasse dai cupi pensieri.
Con abili e veloci gesti, la lavorante gli tolse la stagnola e iniziò il lavaggio. Un forte sentore di acido si sparse nell’aria. Con una velina, gli tolse delicatamente l’impiastro dalla faccia.
Shiro, da lontano, si divertiva a vedere un programma di cartoni animati dal televisore acceso.
Finito lo shampoo e messa in posa la crema per una decina di minuti, finalmente Tetsuya passò al taglio e all’asciugatura.
Alla fine di tutte quelle operazioni, lo specchio gli rimandò un’immagine di sé che mai aveva visto e lo fece inorridire.
Sparite le grandi bassette ai lati del viso, i corti capelli erano un’esplosione di piccolissimi e fittissimi riccioli come lana di pecora. Il colore di base aveva sulle punte delle sfumature multicolori: blu, verdi, rosa, viola, gialle.
“Ora è proprio all’ultima moda, che ne dice?” gli sorrise la ragazza porgendogli lo specchio perché si potesse ammirare da ogni angolazione.
Si alzò di scatto dalla poltrona e iniziò a inveire: “Che ne dico? Io… io… io… dico che non avrà un soldo da me! Ma come mi ha conciato?” gridò.
“Ha già pagato tutto Jun e l’acconciatura è quella più in voga al momento” disse lei col suo perenne sorriso sulle labbra. Mise la poltrona al suo posto, con abili e veloci gesti fece sparire gli strumenti che aveva usato e scomparve dalla sala come un fantasma.
Il giovane era totalmente spiazzato. Guardò Shiro che giocava con le figurine e gli andò incontro.
“Andiamo a casa” balbettò prendendolo per mano.
Una volta saliti in macchina, il bambino gli disse: “Ti sei fatto la permanente e i colpi di luce.”
“Cosa dici? Quale permanente? Colpi di che?” gridò fissandosi nello specchietto retrovisore, mentre si toccava le chiome disperato. “Adesso vado a lavarmi i capelli e sarò come prima.”
“No, non sai nulla vedo” lo notiziò Shiro con calma serafica, mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
“La permanente ti rimane finchè i capelli non saranno ricresciuti e il colore fino al prossimo taglio.”
Tetsuya lo guardò bene negli occhi: non stava scherzando, era la bocca della verità, purtroppo.
“Adesso non farai più nessuna fatica a combattere i mostri di Micene; quando ti vedranno così, moriranno tutti di paura” aggiunse ridendo di cuore.

La stessa cosa che gli aveva detto anche Jun qualche ora prima; ma in una diversa maniera.




FINE



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