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Luce's fanfiction gallery

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Professore della Girella

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SINGLE E CONTENTA


Storia folle, ma che mi ha divertito tanto scriverla e mi sono davvero sfogata alla grande! Mi perdonino, se possono, i fan di questo anime. :innocent.gif:

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Nella stanza n.12 dell'ospedale Saint Jacob dove era ricoverata Susanna, a lato del suo letto, in una comoda e ampia poltroncina di velluto, Candy era tutta intenta a bere con calma imperturbabile il suo tè, accompagnandolo con un una generosa dose di pasticcini appena sfornati.
“Ne vuoi anche tu, cara?” le aveva chiesto gentilmente. Il suo viso era illuminato da una pace e serenità che quasi faceva male.
Susanna aveva abbassato lo sguardo senza rispondere.
“Ti farebbe bene, sai? Tutto quel tempo in mezzo alla tempesta di neve… brrr mi tornano i brividi solo a pensarci. Io inizio a scaldarmi solo adesso, questa bevanda è deliziosa” disse la bionda boccoluta, mentre con garbo posava la tazza sul comodino.
La giovane attrice cercava le parole per dire qualcosa, ma le frasi non prendevano forma nella sua mente. Ci pensò Candy a toglierla dall’imbarazzo.
Soffocando una risatina, prese la lettera che la ragazza aveva indirizzato alla madre quando aveva deciso di farla finita e la lesse ad alta voce.

Mamma, ti prego di perdonarmi e di non odiare Terence, io lo amo troppo.
Pregherò perché tu sia sempre serena. Addio mamma.
Susanna


“Ma te sei tutta matta! Volevi morire per lui? Morire per amore? Ma vah!” rise con gusto la biondina tuttelentiggini.
“M… ma…. Candy che dici?” balbettò la giovane confusa e imbarazzata.
“Dico che non ne vale la pena mia cara, tutto qui” le rispose attorcigliando un boccolo nell’indice.
“Ma io credevo che tu lo amassi e…”
“Ma certo! Per una giovane ragazza è inevitabile come beccarsi il morbillo! Un bel ragazzo e… dunque… vediamo… oltre che bello non ricordo quali altre attrattive abbia. Beh, a questo ci penserò dopo. Ma poi, tutte le infatuazioni passano, restano i ricordi, i bei (?) momenti passati insieme, li si abbelliscono di particolari usando mooolta fantasia e poi si va avanti per la propria strada facendo quello che ci pare e piace!
Per fortuna sono arrivata in tempo a salvarti dalla rovinosa caduta dal balcone, altrimenti io sarei stata rovinata per sempre! Scusa il gioco di parole, mi è scappata una battuta.”

“Rovinata?!!” le chiese una Susanna sull’orlo dello sconcerto più totale.
“Rovinata, certo. Stare in coppia è quasi sempre una rovina, se poi ci metti il carico che stiamo parlando di un ragazzo che si inalbera facilmente, fuma, alza il gomito, non è troppo gentile se non quando gli conviene, gli piace sfottere, non rispetta i tempi canonici dell’elaborazione di un lutto dato che è terribilmente egoista e pure geloso. Devo continuare con la lista?”
“Ma io…”
“Cara Susanna, se il ragazzo ha già questi grossi problemi in età giovanile, come diventerà tra una decina d’anni con qualche erede che nel cuore della notte si sveglia all’improvviso e si mette a strillare a più non posso?”
“N… non so, ho sempre pensato che…”
“La sua fortuna è il teatro” continuò Candy che intanto si era messa davanti allo specchio della camera nel tentativo di domare quella massa intricatissima di riccioli. La neve aveva contribuito a gonfiarli ancora di più e si vedeva orribile.
“Sì, quello, perché i veri artisti, per essere considerati tali, sono tutti abbastanza svitati, ed è questo il segreto del loro successo.”

“Mi stai quindi dicendo che non ce l’hai con me… non stai male a separarti da lui…”
“Sei di coccio allora? No, no e ancora no! Sono felicissima” gridò Candy mettendosi a saltare per tutta la stanza.
“Ti sono molto grata di avere salvato Terence da quel terribile incidente in teatro e la sua compagnia ti farà molto bene per la salute. E’ allegro, spiritoso, con la battuta sempre pronta. Mi chiamava Tarzan e signorina Tuttelentiggini. Penso che nel tuo caso, potrebbe soprannominarti Signora Gambadilegno.”
“Ohhh” gridò Susanna sconvolta, portandosi la mano alla bocca per soffocare un’imprecazione. Il viso era tutto arrossato per l’indignazione, mentre lacrime di rabbia impotente volevano prorompere da quei suoi grandi occhi celesti.

Candy si buttò di peso sulla poltroncina di velluto: aveva il volto roseo e gli occhi illuminati dalle risate. Gli occhi della mente la riportarono indietro coi ricordi e decise di condividerli con la sua amica.
“Stavo riflettendo su un fatto. Quando qualcuno ha pensato di farmi una cosa veramente brutta, in realtà mi ha sempre fatto dei favori enormi. Hai voglia di sentirne qualcuno?”
“Sì, se ti va” sussurrò l’inferma sempre più confusa.
“Un bel giorno, quei due simpaticoni di Neal e Iriza hanno pensato di spedirmi in Messico per liberarsi di me. E’ stato un viaggio meraviglioso! Che terra, che persone squisite ho incontrato. I miei amici sono venuti a riprendermi, e al ritorno ce la siamo davvero spassata!”
“Ah… buono a sapersi…” mormorò la giovane attrice.

“In seguito sono stata spedita su una nave diretta a Londra, per studiare in un prestigioso collegio: la Saint Paul School. E’ lì che nel buio della notte, sul ponte, ho per la prima volta incontrato Terence!
“Ah! Non sapevo… io…” sussurrò la ragazza, visibilmente scossa.
“Non te l’aveva detto? Strano” rispose la boccoluta con tono finto ingenuo. “Stava pure frignando, ma non voleva mostrarsi debole” aggiunse in tono soddisfatto.
“Iniziò ben presto a farmi una corte molto serrata, ma per non farsi capire, dato che si vergognava, non faceva altro che prendermi in giro. Eh! Chi disprezza apprezza, dice un proverbio vecchio come il mondo. Mica son scema io!” e nel dire quest’ultima frase, la fanciulla si distese ancora di più sulla poltrona e allungò le gambe sul letto dove giaceva Susanna.
“Così io iniziai a stuzzicarlo per ferirlo e farlo ingelosire. Gli parlai a lungo e in largo del mio primo fidanzatino scomparso tragicamente in un incidente di equitazione. La mia voce era incrinata dal pianto, gli occhi colmi di nostalgia e quando ci trovammo in un roseto, gli dissi che Antony, dato che oltre la passione per me aveva anche quella di coltivare rose, una di esse l’aveva battezzata “Dolce Candy”.

Susanna era molto seria e confusa, tuttavia era morbosamente curiosa di sapere tutto.
“Abbiamo ballato insieme, fatto dei giochi, scherzi a più non posso. Durante gli ultimi giorni delle vacanze estive in Scozia, con la scusa di un valzer, finalmente gli venne la buona idea di baciarmi. Era ora! E che diamine!”
“Ohh… io… io non ho mai baciato nessuno…” sussurrò l’inferma in un soffio fissando il lenzuolo immacolato.
“E’ stato bello, vero? le chiese timidamente, alzando appena gli occhi.
“Meraviglioso! Ma l’ho pestato a dovere, quel bastardo!”
“Ohhh, ma Candy che dici?”
“Certo, e per una lunga lista di motivi: doveva farlo mesi prima, occasioni ce ne sono state a bizzeffe. Non ne potevo più dei nomignoli che affibbiava a me, alle mie amiche del cuore e al povero Antony. Non sopporto che si rida di qualcuno che non c’è più. Ma il motivo che mi ha davvero fatto imbestialire, è stato quando, furibondo di gelosia, mi ha fatto fare una galoppata folle contro la mia volontà. Idiota! Bastardo!”
“E come mai?” domandò Susanna sempre più stupita.
“Quel cretino si è messo a fare il dottore improvvisato! Siccome sapeva che non sopportavo nemmeno il nitrito di un cavallo a seguito del tragico incidente di Antony, gli è venuta la brillantissima idea di usare la violenza. Di peso mi ha issata sulla sella e abbiamo fatto una corsa da rompersi l’osso del collo! Siamo vivi per miracolo, dico io! Ha detto che così il trauma mi sarebbe passato, dovevo guarire per forza. Ho pianto come una fontana supplicandolo di fermarsi, ma più gridavo, più lui correva. Tra i singhiozzi ho farfugliato che ora non ci pensavo più e tutto era a posto. Per forza, stavamo per schiantarci contro un albero! Quando mai sono guarita! Odio i cavalli ancora più di prima, ma ovviamente mi sono sempre ben guardata di farne parola con lui, mica volevo ripetere l’esperienza! Pallone gonfiato! Ma chi si crede di essere?
Quindi, tornando al bacio, ho interrotto l’idillio con un ceffone di quelli che non te li scordi mai più.”

“Ma Candy… un momento così romantico… ohh, poverino, come c’è rimasto?”
“C’è rimasto che, siccome vuole sempre avere l’ultima parola, ne ha rifilato uno a me!”
“Non… non lo facevo così, cioè… io…”
“L’ultima parola spetta sempre a me, invece!” disse la ragazza, alzandosi fiera e impettita.
“Gli ho restituito quanto gli spettava, insieme ad un bel conto salato dal dentista. A meno che non volesse andare in giro fischiando ad ogni aperta di bocca. Si erano frantumati gli incisivi. Conquistare le ragazze in quell’arnese la vedevo dura, anche per un irresistibile rubacuori come lui” disse a voce alta, buttandosi a peso morto sulla poltrona.

“Un altro favore proveniente sempre da quella simpaticona di Iriza, è stato quando al collegio, ha inviato due biglietti: uno a me e uno a Terence. C’era scritto che dovevamo incontrarci in un posto buio e isolato. Noi ci siamo andati, intanto la fanciulla aveva avvertito la Superiora dei nostri incontri clandestini, quindi in sostanza eravamo due depravati. Ci hanno scoperto ed è successo il finimondo!”
“Ma… scusa Candy, dove sta il bello in tutto ciò? E’ orribile…”
“Per niente, cara. Avere il marchio di ragazza perduta è stato terribilmente eccitante! Sai, per una sempre vissuta in un orfanatrofio sgranando rosari, facendo opere buone, obbedendo sempre, occupandomi di marmocchi… non ne potevo più! E non mi sarebbe dispiaciuto affatto se fossimo andati al sodo, dato che l’occasione si era presentata su un piatto d’argento. Sai, benchè non sia un’aquila è pur sempre un bel ragazzo e alla nostra età, gli ormoni fanno sentire le loro ragioni alzando spesso la voce! Sai com’è, vero?” le chiese infine con una vocina maliziosa.

Susanna aveva nascosto la faccia sotto il lenzuolo turandosi le orecchie, mentre desiderava solo sprofondare sotto terra.
“Alla fine, lo scandalo è stato così grande che mi hanno espulsa dal collegio. Era quello che volevo, mi ero stancata di stare lì. Quell’intelligentone del duca ha avuto la geniale idea di “sacrificarsi” per me, quindi ha fatto le valigie e bye bye. Posso davvero dire che non mi ha mai conosciuta; e che ci stavo a fare con un tipo del genere, me lo spieghi?”

Candy sospirò, poi aggiunse che una notte anche lei aveva deciso di andarsene.
“Mi sono diplomata, faccio un lavoro che mi piace, ho rivisto Terence, ho conosciuto te…”
“E ora?” domandò la giovane.
“Ti dico l’ultima bella cosa che mi è capitata, la metterò nella scatola dei ricordi e sarò ben felice che sia finita così. Poco fa, quando ci siamo salutati per l’ultima volta, Terence ha gridato il mio nome, mi ha ricorsa giù per le scale in tutta fretta, mi ha abbracciata da dietro stringendomi a sé.
No! Non voleva che me ne andassi in quel modo!
Se solo avesse potuto fermare il tempo in quell'istante e prolungare quell'abbraccio all'infinito.
In quel momento struggente ci siamo detti addio, non ci sarà per noi un futuro assieme e ci siamo lasciati con la promessa di continuare a vivere le nostre vite cercando di essere ugualmente felici.”

“E tu sarai felice, Candy?”
“Non ne dubito. Farò quello che mi pare, single e felice. Vedi, in tutti questi bei ricordi che ti ho elencato, c’è sempre una punta amara nella coppia, non so se l’hai notato. E’ stato bello l’abbraccio di poco fa, virile, languido e sensuale, però, dato che per salvarti mi ero bagnata alla grande sotto la neve, se lui fosse un vero uomo, avrebbe evitato che le sue copiose lacrime di disperazione mi scivolassero lungo il collo. Temo mi verrà una brutta forma di cervicale reumatoide, accidenti a lui! Mi sento ancora bagnata” disse tastandosi la schiena con disappunto.

Susanna era attonita e sconvolta. Non sapeva cosa dire, ma aveva bisogno di Candy, di un suo consiglio: come avrebbe fatto a vivere per sempre con quel ragazzo che, col ricatto, l’inganno, il tentato suicidio aveva legato a sé?
Aveva davvero fatto bene i suoi conti? Osservando il visino allegro e soddisfatto dell’amica, la quale sembrava sprizzare gioia da tutti i pori poiché era libera, non ci avrebbe giurato.

La biondina boccoluta, guardando l’ora, si accorse che si era fatto tardi e il treno la stava aspettando.
“Susanna, è stato un piacere conoscerti, io vado. Ti auguro tanta gioia, salute, teatro, figli…”
La ragazza nascose il viso tra le mani e scoppiò in un pianto dirotto.
“Ma che hai? Non fare così, ti fa male” le disse Candy premurosa.
“Quale gioia? Quale teatro che sono inferma! Quali figli?”
La ragazza le prese le mani e con pazienza le spiegò ogni cosa.
“L’uomo che ami è tuo e nessuno te lo tocca. Puoi sempre recitare una parte da invalida, vedrai che non sarà difficile. Quando vi sposerete, avrete molti figli. Che vuoi di più dalla vita?”
“M… ma tu hai detto… che la coppia… cioè che gli uomini… ohhhh” sospirò versando un altro torrente di lacrime.
“Eh, cara, gli uomini sono comuni mortali, che ci vuoi fare. Allora, dato che il ragazzo tende a bere troppo quando le cose non vanno come vuole lui, ti dò l’indirizzo di un reparto specializzato per alcolisti. Si trova in un’ala dell’ospedale dove io lavoro, vedo risultati eccellenti, ma occorre l’impegno del paziente, è logico.
Non te la prendere se cederà alle grazie di qualche giovane e graziosa attrice, quel mondo è fatto così. Tornerà sempre da te e giurerà sulla testa dei suoi figli che tu sei la più bella, la più dolce, la più bionda sposa del mondo e cos’ha mai fatto per meritare tanta gioia.”

L’attrice non sapeva più se ridere o piangere, ma ci pensò Candy a toglierla dall’imbarazzo.
“Tieni: questo è il carillon della felicità che mi ha regalato un caro amico, si chiama Stear. Nei momenti di sconforto ascoltalo, vedrai che la vita tornerà a sorriderti.”

“Arrivederci Candy e… grazie di tutto.”
“Addio Susanna e ricordati sempre che la vera forza è solo in noi stesse. Noi donne siamo le più forti, le più determinate e non abbiamo bisogno di un uomo per essere felici.”
Candy pronunciò queste ultime parole sul vano della porta, poi corse fuori.

Dalla finestra, Susanna intravide la sagoma di Terence un poco curva, che adagio si avviava dentro l’ospedale. Ricordò tutti i momenti di quello strano pomeriggio e alle parole di Candy.
Come avrebbe fatto se tutto ciò che le aveva detto si fosse avverato?
Il suo sguardo fu catturato dal carillon che l’amica le aveva donato. Lo accese e subito, la dolce melodia fu un balsamo per il suo animo inquieto.


FINE



Link per dirmene di tutti i colori:

https://gonagai.forumfree.it/?t=72439545&st=210
 
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LA DIABOLICA TRAPPOLA DI IRIZA
Riscritta in chiave diversa: ironica e dissacrante


1-16898589504619


Quando l’estate finì, gli studenti della Royal Saint Paul School tornarono a Londra portando con sé il ricordo delle vacanze in Scozia. La nostalgia di quelle settimane spensierate e la prospettiva di mesi e mesi di studio chiusi tra spesse ed austere mura del collegio li immalinconiva assai.
Candy era negativamente turbata al ricordo del bacio rubato di Terence e, sola nella sua stanza, rimuginava tra sé contro quel ragazzo che non le piaceva affatto.
“Non è come il mio caro e dolce Antony” sussurrò distesa sul letto, mentre lo sguardo si velava di lacrime e la nostalgia prendeva possesso di lei come un male oscuro che avanza lentamente ma inesorabilmente.
“Continuo a scrivere lettere su lettere a questo fantomatico zio William, ma lui si ostina a non rispondere. Voglio sapere chi è, voglio vederlo, devo incontrarlo una buona volta!” pensò con stizza.

Oltre a questo, la giovane iniziava a sentirsi fuori posto a Londra, la città non le sembrava più così magnifica come qualche mese addietro; le mancava l’America, Albert, la casa di Pony…
Iniziò a meditare come trovare il mezzo per uscire da quella prigione dorata, ma le possibilità erano pressochè nulle. Era minorenne, senza denaro, senza qualcuno che interagisse per lei.

Il giorno dopo, al college arrivò il duca di Granchester, padre di Terence.
L’uomo entrò nello studio della direttrice porgendole la solita cospicua donazione per la scuola.
Candy fu attratta dalla sua figura alta ed imponente, da quello sguardo nobile e austero; quando lo vide recarsi nella stanza del figlio, decise di spiarli. Uscì nel grande giardino e si arrampicò sopra ad una quercia, e nascosta tra le fronde li vide confrontarsi in uno scontro molto acceso.

“Ho saputo che ti sei incontrato con tua madre, che non succeda mai più!” gridò il duca battendo un pugno sulla scrivania. Il libro aperto a metà e il calamaio caddero a terra.
“Ti proibisco di infangare il nome dei Granchester!”
La ragazza decise di aver sentito abbastanza e scese a terra con la bocca piegata in un’espressione amara.
“Sono messa proprio bene, non c’è che dire. Questo ragazzo non solo beve, fuma, fa a pugni, si accende come un fiammifero alla minima provocazione, ma ha un padre che sborsa quattrini al collegio per corrompere una vecchia suora e non vuole rapporti tra suo figlio e la madre. Io gli sto simpatica unicamente perché pensa che sia una sorta di crocerossina sempre pronta a capirlo, fare da intermediaria tra lui e i suoi pazzi dissennati genitori, sopportare con un sorriso i suoi frequenti cambi di umore, essere presa benevolmente in giro, sopportare le sue gelosie e i baci a tradimento. Puah!” gridò disgustata sputando per terra.
Si mise a correre e si disse che meglio soli che male accompagnati era una grande verità, valida per sempre, nei secoli dei secoli.
“Voglio stare da sola, uscire da queste spesse mura, tornare in America e guadagnarmi da vivere lavorando, ecco!” gridò decisa.

Patty la vide da lontano, le corse incontro e le porse una lettera di Albert.
“Candy, stai bene?” le chiese l’amica.
“Sto benissimo, perché?”
“Non so, mi sembri nervosa, ti ho vista correre in un modo…”
“Non preoccuparti cara, avevo solo voglia di sgranchirmi un poco” le disse con un sorriso forzato.
Prese la lettera e vide che il suo grande amico era partito per l’Africa ed era andato a lavorare in una condotta medica.
Nella lettera Albert salutava Terence, Candy si sentì quindi obbligata a far leggere la lettera al ragazzo, pur cercando di mantenere un contegno distaccato e freddo.
“Poca confidenza: patti chiari e amicizia lunga”, pensò con decisione e fermezza.

Nel leggerla, Terence si rammaricò della partenza di Albert: avrebbe voluto parlargli per consigliarsi con lui sul momento in cui sarebbe stato costretto a lasciare la famiglia dei Granchester.
Candy comprese al volo che la cosa aveva a che fare con i genitori di Terence.
“In mancanza di Albert toccherà a me fare da paciere, ma questa volta non intendo mettermi in mezzo. Che si arrangino tra loro! Sono stufa di fare da balia a tutti quanti, uffa!”

Iriza li spiava continuamente, meditando tra sè sul come impedire a Candy di avere Terence. Il ragazzo le piaceva molto e al suo occhio acuto, perfido e indagatore non era certo sfuggito il feeling nato tra i due in Scozia. Bruciava di rabbia impotente, ma voleva ad ogni costo trovare il modo di dividerli.

Il giorno seguente, Patty tornò da Candy per farle vedere una lettera trovata nell'albero.
La lettera era di Terence, il quale invitava Candy a recarsi presso le stalle quella sera per parlarle di un fatto molto importante.
“Ma che sia l’ultima volta! Anche di notte mi cerca, è mai possibile che non posso farmi un lungo sonno in santa pace? Ci vado, così gli dico chiaro e tondo di non cercarmi mai più!” pensò furiosa.

La sera stessa, a grandi passi, Candy si recò all'appuntamento, impettita e col microscopico naso cosparso di lentiggini all’insù.
Era davvero indignata, le toccava sempre consolare qualcuno. Di sicuro Terence voleva sfogarsi con lei per aver litigato col padre, ritrovare sua madre, magari riconciliarli e tutto ciò toccava sempre e solo alla povera Candy.
Come in un film, la ragazza vide alcuni episodi della sua vita scorrerle davanti agli occhi: da bambina, quella che si era dichiarata la sua migliore amica e le aveva promesso solennemente di non farsi adottare per stare sempre con lei, non ci aveva pensato un attimo a soffiarle sotto gli occhi una facoltosa famiglia adottiva che Candy aveva rifiutato per non far affogare in un mare di lacrime e disperazione la piccola e infelice Annie.
La stessa Annie l’aveva poi ripudiata facendo finta di non conoscerla per molti anni, anche al college; pochi mesi addietro aveva messo gli occhi su Archie, ma poiché lui era attratto da Candy, l’amica se ne era andata in lacrime sotto la pioggia rischiando una polmonite doppia. Lei l’aveva seguita nel tentativo di consolarla, e per tutta ricompensa Annie le aveva buttato addosso un mare di recriminazioni e falsità.
“… anche alla casa di Pony… era la preferita di tutti… e adesso vuoi quel ragazzo tutto per te…” aveva farfugliato singhiozzando.
Non era vero NIENTE!!! Archie le aveva fatto una corte insistente, ma lei era rimasta indifferente, pur trattandolo educatamente per non ferirlo. Come non bastasse, Stear, col pallino delle invenzioni, l’aveva coinvolta in svariati suoi esperimenti finiti male e lei aveva rischiato più volte la vita per seguirlo nelle sue pazze avventure. Per uscire da quella situazione incresciosa, Candy aveva “obbligato” Archie a mettersi con Annie e lui per fortuna non si era opposto.
L’amica non l’aveva nemmeno ringraziata, ma tutta trionfante si era incollata al braccio del ragazzo e non l’aveva più mollato.

“E adesso Terence mi cerca di notte! Non gli è bastato rompermi il sonno e le scatole quell’altra volta che è stato tanto male e io sono corsa in farmacia di nascosto a prendere un prodotto per curare una sua ferita, col rischio di essere scoperta e farmi espellere! Adesso basta, gli dò il benservito e lo stesso vale per gli altri pseudo amici che mi circondano e sono dei gran parassiti! Sono gentili con me solo quando hanno bisogno! Manica di egoisti, falsi, bugiardi e opportunisti!” gridò in preda ad una rabbia feroce.
In fretta arrivò alle stalle, il luogo indicato da Terence per l’appuntamento.
“Candy! Sei tu!”
“E certo che sono io, e chi altri? Il mostro di Loch Ness per caso”? lo apostrofò con ironia.
Lui non colse la sfumatura rabbiosa e ironica di lei, ma le chiese subito per quale motivo l’aveva convocato proprio lì e di notte per giunta.
“Guarda che sei stato tu a cercarmi, non io.”
Lui cadde dalle nuvole e le mostrò la lettera dove era scritto che la stessa Candy gli aveva chiesto un appuntamento in quel luogo e in quell’ora.
“Questa non è la mia calligrafia”, gli disse disgustata dopo aver letto, “e dovresti saperlo, dato che in passato hai già avuto modo di leggere alcune cose scritte da me.”
Quel ragazzo non era certo un’aquila, pensò Candy sempre più furiosa. Decise quindi che non c’era altro da dire e imboccò la soglia della porta per tornarsene nella sua stanza, quando sentì all’improvviso dei passi che si avvicinavano rapidamente.
Anche Terence aveva sentito, quindi spese la lanterna e prese per mano la ragazza spingendola in un angolo in fondo alla stalla.
La porta si aprì e apparvero Suor Grey, Suor Chris, Suor Margaret e quelle due streghe di Iriza e Louise.
“Signor Terence Granchester, signorina Candy Andrew!” gridò Suor Grey.
“Il fatto che voi due siate qui da soli a quest’ora è scandaloso!”
“Di certo vi incontrate qui tutte le sere” infierì Iriza con un sorriso perfido e trionfante.
“Signorina Candy! Lei è espulsa per sempre da questo collegio!” tuonò l’anziana suora.
“Come? Veramente?” chiese Candy. Me ne vado da qui? Ma è semplicemente meraviglioso!!! pensò.
“Passerà la notte nella prigione, mentre lei, signor Terence, resterà una settimana chiuso nella sua stanza.”
Le altre due suore presero Candy di peso e senza tanti complimenti la portarono nella torre, chiudendo il portone con molti catenacci.
La ragazza era sconvolta: ma come? Le avevano detto che poteva gentilmente togliere il disturbo dal quel collegio austero e opprimente, e ora la sbattevano al fresco? Quando sarebbe potuta uscire? Disperata cominciò a battere i pugni sull’uscio gridando che voleva andarsene, ma ormai nessuno poteva più sentirla.

Il giorno dopo, nello studio di Suor Gray, Terence decise di affrontare l’arcigna direttrice chiedendo spiegazioni sul perché anche lui non era stato espulso come Candy.
“… perché… ecco… la sua condizione è molto diversa da quella della signorina…” balbettò disarmata la suora.
“Lo so io il perché!” disse lui con un sorriso di chi ha l’aria di saperla lunga. In questo caso, forse Candy si sarebbe ricreduta circa lo scarso acume che attribuiva al ragazzo.

“Il trattamento di favore che mi è stato riservato, è il frutto delle cospicue donazioni che mio padre fa regolarmente affluire nelle casse del collegio” le rispose fissandola bene negli occhi.
L’anziana direttrice per poco non cadde dalla poltrona nel sentire quelle parole, ma il giovane duca ritenne opportuno infierire ancora.
“La corruzione è peccato, lo sa, vero? Quando accetta le bustarelle sottobanco che mio padre le passa, dopo si va a confessare? No, forse lei che è così generosa, devolve il tutto a favore dei più poveri, vero? Come ho fatto a non pensarci prima” aggiunse con studiata ironia.
“Basta! Se ne vada nella sua stanza, fuori di qui!!!” urlò la religiosa ormai paonazza in viso e fuori di sé dalla rabbia.
Terence si alzò senza fretta giurando a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per aiutare colei che ormai aveva capito di amare.
Candy nel frattempo, sola nella sua cella, si abbandonò allo sconforto pensando a come e quando sarebbe potuta uscire di lì ed essere finalmente libera.

Solo nella sua stanza, Terence rimase in preda a tetri pensieri, chiedendosi che tipo di vita poteva vivere in quel collegio se Candy fosse stata espulsa, visto che ormai non poteva più fare a meno della sua presenza.
Il giorno prima aveva incontrato Iriza e le aveva sputato in faccia. Quella cretina, intanto che c’era, non poteva architettare una trappola un tantino più intelligente? Qualcosa che facesse uscire lui e Candy insieme?
Non aveva assolutamente capito che la bionda boccoluta non se lo filava nemmeno di striscio, credeva di essere corrisposto e amato da lei, pensava a come fare per risolvere la situazione, comprendendo alla fine con rammarico, che l’unico modo fosse quello di andare a parlare con suo padre.

Fuori dalla prigione, Terence pensò a quanto sarebbe stato facile se fosse stato maggiorenne; avrebbe preso Candy per mano e si sarebbero incamminati insieme verso il loro destino.
Decise di chiamarla attraverso la porta e di suonare l’armonica per lei.
Non sapeva che per Candy non potevano esserci parole e melodia meno appropriate. Si turò le orecchie con le mani per non farsi sopraffare dalla rabbia e dal dolore. Non sopportava la sua voce, quella musica l’aveva perseguitata per tutta l’estate, lui la suonava tutte le sere fissando il cielo e sognando chissà che, non ne poteva più.

“Uscirò di qui… mi imbarcherò con qualsiasi mezzo, ma me ne andrò sola, tornerò in America anche a costo di attraversare l’oceano a nuoto. Devo solo aspettare, presto sarò di nuovo libera e felice.”
E con questo pensiero, si addormentò tra quelle gelide pareti con un dolce sorriso sulle labbra.


FINE



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CANDY CANDY
Portarogna premiata e indiscussa. Primato assoluto di lacrime e sfortuna imminente


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Candy è un’orfana dalla voce irritante (è stato da quel punto che mai più ho tollerato l’inflessione della pur bravissima Laura Boccanera. E dire che, mesi prima, sentendola doppiare Rubina mi era stata perfino simpatica.)
Per tutta la durata dell’anime non scioglie mai i capelli, nemmeno per dormire, né per lavarseli, né ha mai pensato di adeguarsi alla moda cangiante.
Possiede un procione che cresce alla Casa di Pony, stesso nome di Miss Pony. C’è anche Suor Maria a prendersi cura degli innumerevoli orfani.

Candy viene trovata una gelida notte d’inverno (eppure si era in maggio. Boh!), la stessa notte in cui viene trovata anche la sua migliore amica Annie. Le due crescono insieme e giurano di rifiutare qualsiasi richiesta di adozione pur di non essere separate. Alla prima occasione, invece, Annie accetta di essere adottata, mollando Candy alla Casa di Pony e vincendo il Premio con tanto di Coppa e Medaglia d’oro: “Amica Carogna e Opportunista” dell’anno.

“Mi dispiace, Candy, ma non voglio essere sfortunata quanto te.”

Candy, rimasta sola, inizia ad allenare i condotti lacrimali per evitare la crisi alle industrie produttrici di fazzoletti, ma mentre batte il record di ettolitri di lacrime versate a puntata, incontra il Principe della Collina, un biondo ragazzino in kilt che, tutto solo, suona la cornamusa sul cocuzzolo di una montagna e che le fa fare le uniche due risate dell’intera serie ma non le dice come si chiama e scompare sempre nel nulla.

Poco dopo, Candy accetta di essere adottata dai Legan, una famiglia gentile e accogliente che la fanno sentire subito a proprio agio.
I Legan si mostrano misericordiosi e magnanimi, materni e dotati di squisita sensibilità, quindi mettono Candy a fare le pulizie e a dormire nelle stalle.
Candy trascorre il suo tempo coi figli dei Legan, Neal e Iriza, duo indissolubile sempre alla ricerca di come far patire le pene dell’inferno insieme a copiose figuracce a Candy, rendendole la vita impossibile. Per fortuna, poco dopo conosce gli Andrew, tra cui i tre cugini: Archie, Stear e Anthony.

Prima di sapere quanta rogna porta Candy, i tre cugini insistono per salvarla dalle grinfie dei Legan, i quali hanno deciso di mandarla in Messico per liberarsi di lei.
Per impedire che la ragazza venga venduta al Cartello Messicano, i tre convincono la zia Elroy, dalla carnagione molto scura come Neal, ad adottare Candy.
In realtà, a capo della famiglia Andrew c’è il famigerato zio William, che però non si è mai visto.

Comunque, dagli Andrew, Candy viene trattata un po’ meglio e, tra l’altro, Anthony è la fotocopia del Principe della Collina. É buono, gentile, coltiva rose bianche, tra cui ci sarà anche la famosa “Rosa dolce Candy”. La fanciulla se ne innamora e forse proprio questo genera un tornado di sfortuna che investe il biondino.

Poco dopo, infatti, Anthony muore durante la caccia alla volpe. Per non far del male alla volpe, il cavallo di Anthony finisce con la zampa nella trappola, disarciona il ragazzo che batte la testa sull’unico sasso presente nel terreno e muore sul colpo.
Della morte, ovviamente, viene incolpata Candy, l’unica presente (assieme alla volpe e al cavallo) al momento della tragedia.
Pochi giorni prima, durante un’amena giornata al Luna Park, i due fanciulli hanno avuto la brillantissima idea di usare gli ultimi spiccioli per consultare un’indovina.
Per la ragazza aveva previsto fortuna e tante belle cose (ma qualiiii??), con Antony, per ben tre volte era uscita una brutta e inquietante carta, quella della Morte.
“Andate subito a casa ragazzi, di corsa!” aveva intimato loro la cartomante.

Dopo non molto, Candy viene mandata alla Royal Saint Paul School of London, gestita da suore che possiedono la grazia divina di Jack lo Squartatore, specie la Superiora: Suor Grey, anche lei molto abbronzata (chissà come fa? Lampada al quarzo? Boh!) una donna piena d’amore, comprensione ed empatia verso tutte le ragazze del college, nonché molto amante degli animali, specie della graziosa tartaruga di Patty.
Durante il viaggio, Candy incontra un tizio che le ricorda per un momento Anthony… solo che è bruno e coi capelli lunghi.
“E’ Capodanno: hai bevuto una coppa di troppo, cara?” viene subito logico pensare.
Comunque questo tizio è Terence, ma Candy ancora non lo sa. Terence inizia col prenderla in giro per via delle lentiggini. Non nota però quei due ridicoli e penosi codini autostatici che con l’umidità lievitano che due meringhe dentro il forno? Pare di no!

Alla Royal Saint Paul School of London, Candy ritrova Annie che finge nuovamente di non conoscerla, altrimenti tutti la prenderebbero in giro per il suo passato da orfanella della Casa di Pony. Quindi, l’ingrata ragazzina, per il secondo anno consecutivo, si aggiudica il premio “Amica Falsa e Opportunista” e “Pettinatura Schifosa e da Demente”.
A proposito, chi sarà il suo parrucchiere? Meglio non saperlo, o rischia il linciaggio, ma penso abbia chiuso il negozio per fallimento, meglio così.

Nella scuola, oltre a Annie, che poi alla fine ammette di conoscere Candy ma solo perché si acconcia i capelli schifosamente male per far colpo su Archie (poveretto!) che nessuna vuole essere sua amica, ci sono anche Archie, Stear e… Neal e Iriza.

Annie si innamora di Archie, ma lui ha occhi solo per Candy, quindi la ragazza sfoga per l’ennesima volta la sua perfidia e ingratitudine, vomitando addosso alla bionda boccoluta un mare di schifezze.
“Non mi vuoi bene… anche alla casa di Pony. Eri sempre la preferita… sei un’egoista…”
Candy allora decide di tentare il tutto per tutto, anche perché la produzione fazzoletti di carta usa e getta è ancora in fase di sperimentazione, e quelli di stoffa così ben ricamati si vanno esaurendo. La lavanderia del college non può certo passare tutto il tempo a lavare i suoi fazzoletti, poi, dato che piove spesso, impiegano giorni ad asciugarsi.
Si ricorda di aver conservato in una busta la magica polverina che le aveva regalato la cartomante: con questa, tutti i ragazzi crolleranno ai tuoi piedi…
Offre, o meglio impone una tazza di tè (dove ha sciolto la magica polvere) all’ignaro Archie, e con piglio severo gli intima di mettersi subito con Annie! Era stata chiara?! Il povero ragazzo accenna di sì col capo, quindi Candy prende l’amica in disparte e la implora di tornare alla sua vecchia acconciatura, per il bene di tutti. Amen.

A scuola poi, c’è anche Terence, bello e dannato, e lui e Candy s’innamorano. Si capisce subito la grande sensibilità, squisita gentilezza e nobiltà d’animo di questo ragazzo, quando per far superare a Candy il trauma della morte di Anthony le fa rivivere la scena della tragedia, ma mille volte peggio, portandola quasi a morire in una folle cavalcata selvaggia.
Ragazzo d’oro e oltremodo sensibile, forse più di Antony. Che vuoi più dalla vita, cara?

Tutto sembra andare per il meglio: tutti odiano Candy, tutti odiano Terence, ma lui è ricco e si può permettere di fare ciò che vuole e cioè: fumare come un turco, ubriacarsi, fare a pugni coi suoi coetanei, affibbiare nomignoli offensivi alle ragazzine.

Peccato che Iriza (gelosissima di Candy perché perfino una coi codini ipertrofici riesce a fregarle tutti i ragazzi che piacciono a lei) utilizzando le sue doti sataniche, riesca a farla espellere.

Candy decide di tornare in America dove inizia a studiare come infermiera. A quel punto pure Terence se ne va in giro per il mondo a cercare fortuna come attore di teatro.

I due restano separati per lunghe e interminabili puntate in cui Candy:
piange… piange… piange…. E non finisce mai!

Tornando ad Albert, si tratta di un personaggio che ritorna ciclicamente. Costui è sempre circondato da animali, diventa molto amico di Candy e la consola ogni volta che a lei succedono rogne, cioè sempre. Vi ricordate che Candy aveva per un momento scambiato Terence per Anthony? Bene. Albert è il sosia di Anthony, solo che ha i capelli di Terence, ma questo Candy pare non notarlo. Mah!

Nel frattempo, Terence conosce Susanna, la Madre di Tutti i Sensi di Colpa: la ragazza per salvarlo da morte certa (ricordiamo che Terence ha avuto a che fare a lungo con Candy e il marchio di Sfortuna Perenne si è imposto su di lui) si è fatta amputare una gamba. Susanna capisce che Terence è innamorato di Candy, la prende bene e decide di uccidersi. Candy fa marcia indietro e consapevole che la storia con Terence non nascerebbe sotto i migliori auspici e lo lascia.
I due si separano per sempre dopo una scena che ha devastato i cuori di tutte le giovani fanciulle degli anni ’80/’90. Lei scappa piangendo in una folle corsa giù per le scale, rischiando di rompersi l’osso del collo.

Candy: “Ti auguro tanta felicità.”
Lui la rincorre, l’abbraccia da dietro, mentre dagli occhi escono copiose lacrime a mò di ruscello che finiscono sul collo della ragazza (cervicale a vita assicurata per la biondina dai codini perenni).
“Volevo salutarti.”
“Ah.”
Candy tentenna un po’, sentendo la potenza del saluto. Trenta minuti di fermo immagine, in sottofondo la voce rotta dal pianto di Candy. Terence continua a convincerla, silenziosamente, che vale la pena restare.
Nulla.
I due si separano.

Neal, lo psicopatico che le ha rovinato la vita fin dalla pubertà, s’innamora di lei.
Candy, ovviamente gli risponde: “Ma chi vuoi che ti si fili?”
Neal lo prende per un sì e inizia a organizzare il matrimonio, con la benedizione del caro zio William che ancora non s’è visto. A Candy non rimane che fuggire. Iriza, per ripicca, la fa cacciare da tutti gli ospedali del mondo, grazie all’influenza di suo padre, il più grande mafioso che l’America conosca.

Nel frattempo, Stear è in guerra e vola sul suo aeroplano pensando “Spero che la fortuna non mi abbandoni.”
Visioni premorte di amici che gli gridano: “Non farti uccidere, Stear, non rendere infelice la tua Patty!”
Nel frattempo, su una panchina Patty sta ascoltando l'”allegra” melodia di un carillon costruito proprio da Stear, quando Candy, nella sua estrema saggezza le dice: “Non ascoltarla troppo a lungo o rischierai di diventare troppo felice”. In quel mentre, Stear viene crivellato dai proiettili e il carillon si rompe all’unisono.

Ma come finisce la storia del matrimonio di Neal e Candy?
Candy va dallo zio William per dirgliene quattro e scopre che si tratta… di Albert, che quindi è nobile, ricco e voleva solo fare il giro del mondo per molti lustri.
Comunque, alla fine, zio William/Albert, nella sua immensa bontà, annulla il matrimonio.

Il finale vede tutti i protagonisti, eccezione fatta per Terence, ritrovatisi alla Casa di Pony, dove Miss Pony vive ancora alla veneranda età di centomila anni.
A Candy giunge notizia che finalmente Terence e Susanna si sono lasciati e tutti noi abbiamo voluto credere un giorno i due si ritroveranno, grazie al doppiaggio farlocco italiano.

L’ultima rivelazione è che il Principe della Collina era in realtà… Albert, ancora lui!



FINE
 
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FESTA DELLA DONNA

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L’8 marzo, è la celebre Festa della Donna.
I nostri beniamini degli anime come si comporteranno?



“Jun, perchè vuoi usare la mia moto?”
“Ma Tetsuya! Lo sai dove ci troviamo?”
“Ad almeno 5 chilometri dalla Fortezza della Scienza, perché?”
“Non pretenderai che li faccia a piedi e da sola, spero!”
“Camminare ti fa bene, è uno sport completo e poi……. Non dicevi che?”
“Dico due cose sole: tu hai Mazinga, io nessun mezzo per tornare a casa. Non sei per niente cavaliere e per giunta smemorato assai!”
“Smemorato per cosa?”

Jun gli diede le spalle seccata e piegò la bocca in una smorfia tra l’offeso e il disappunto.

“Oggi è l’8 marzo e in tutto il mondo si festeggiano le donne. Te lo sei scordato?”
“No, cara, per questo ti ho consigliato una lunga passeggiata, invece di usare quei rudi mezzi maschili e pericolosi. Ti fa bene all’umore e alla linea che si è ultimamente appesantita. Sarai ben felice di tornare tonica come qualche mese addietro, vero?”

Queste furono le ultime parole che il giovane pronunciò quel giorno, perché si risvegliò solo molte ore dopo in un letto di ospedale con la testa fasciata che gli dolorava terribilmente nonostante i calmanti.
Eh, Tetsuya, sarai pure il pilota numero uno, sarai pure quello che fa tremare il regno delle tenebre e del male, quello che:

Vola, si tuffa dalle stelle giu` in picchiata
se sei nemico prega e` gia` finita
la morte batte i denti c’e`
Ha la mente di Tetsuya ma tutto il resto fa da se’
non conosce la paura ne’ sa il dolore che cos’e`
lotta, cade, si rialza sempre vincera`


Però per certe finezze e un certo tatto con le donne, sei ancora da prima elementare.


“Alcor! Alcor?!”
“Che vuoi Maria?”
“Procton ha detto che dobbiamo fare un giro ricognitivo, sei pronto?”
“Prontissimo.”
“Senti, dato che oggi è la festa della donna, non guideresti tu la Trivella e io Goldrake2?”
“E perché? Sei fuori di testa Maria?”
“Come ti permetti!”
“Non te la prendere, lo dico per te, è un mezzo che non conosci bene.”
“Non fare il finto tonto. Quando stavi lungo disteso, ferito e dolorante, sono io che ho preso il tuo disco e con mio fratello ho distrutto il mostro!”
“Mi ricordo, ma che differenza c’è se usi il tuo mezzo, e io il mio?”
“Il tuo è più importante, e oggi voglio sentirmi una regina.”
“Maria, dà retta a me: sei una principessa e questo ti basti, perché una regina ha troppe responsabilità, credimi. Allora: andiamo?”
“Dato che sono una principessa e oggi è la festa di tutte le donne, non farò un bel niente. Sarai tu a fare le perlustrazioni; visto che sono generosa ti presto la Trivella, così sarai felice e contento, vero?
Tanto non hai niente da fare e il giorno è ancora lungo.”

Così Alcor rimase senza parole e con un palmo di naso.


“Il grande Vega ci aspetta, spicciati! Sei sempre in ritardo, donna!”
“Senti caro Gandal, oggi è la mia festa e sono andata a farmi bella!”
??
“Ti sei lavato le orecchie stamattina?”
“Perché?”
“Ti ho appena detto che oggi è la festa della donna e ho tutto il diritto di pensare a me stessa una volta tanto.”
“Ma… avevo sentito dire che quella è roba da terrestri, che c’entriamo noi alieni?”
“Non hai un briciolo di sensibilità e nemmeno ti sei accorto del nuovo profumo che indosso.”
“Proprio perché sono molto sensibile non ti ho detto niente del tanfo che devo sopportare di quel terribile insetticida. Se non altro saremo certi che nessun insetto ci tormenterà.”
“Davvero?”
“Certo cara, hai avuto una buona idea.”

Per il resto della giornata, la faccia del comandante Gandal non apparve più. Occhi pesti, colorito blu scuro e a tratti violaceo.
La signora invece, col nuovo abito firmato all’ultima moda, i sandali tacco dodici, i ricci freschi di piega, si recò davanti al trono del re.
“Suo marito sta poco bene?”
“Sire, è solo un tantino indisposto, avrà fatto indigestione. Con tutte quelle schifezze che ingoia!”
“Ah! Questi intanto sono per voi, signora. Oggi siete più bella che mai.”
Le porse un bel mazzolino di mimose fresche e profumate.
“Ohhhh, ma grazie, troppo gentile.”
“Possiamo parlare anche da soli circa le prossime azioni belliche. Le donne ne sanno sempre una più del diavolo.”

Le strizzò l’occhio in segno di intesa, e dal cassetto privato fece uscire un quaderno pieno di segreti.



FINE



Link per i commenti:

https://gonagai.forumfree.it/?t=72439545&st=285
 
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UNA ROSA NON SARA’ MAI UN LILLA’

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“Ho deciso per sempre di vivere come un uomo, non voglio più il tuo aiuto, Andrè”.

Eppure quando per la prima volta mi sono vestita da donna, non c’era uomo che non mi guardasse. Tutti, tranne uno solo, quello che ho tanto amato… voi siete il mio migliore amico…
Nooo! Non è possibile questo!!!

“Una rosa è una rosa, anche se essa sia bianca o rossa. Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar.”

“Vorresti dire che una donna resta sempre una donna, in ogni caso? Questo vuoi dire? Rispondimi, devi rispondere! Lo voglio sapere… E’ importante per me.”

“Ti prego, perdonami, Oscar; una rosa non potrà mai essere un lillà.
Ascolta, Oscar: non potrai mai cancellare di essere nata donna. Per vent’anni ho vissuto con te e ho provato dell’affetto per te… solo per te. Credo di averti sempre amato…”

Forse anch’io, ma non me ne sono resa conto e nemmeno ora capisco. Tu e Fersen siete una cosa sola in questo momento, vi confondo e non so più cosa voglio. E’ terribile amare e non essere amati.
Ma ora Andrè sta qui con me… mi ama… e posso immaginare quello che voglio; chiuderò gli occhi alla luce del mondo e sarò me stessa, quella che mai sono stata dal giorno che sono nata.

Il tremolante luccichio delle stelle sta sbiadendo, lasciando il posto ad un’alba luminosa… luminosa come i due giovani che dormono abbracciati, e che ora sono una cosa sola.


FINE
 
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PERCORSI SCOLASTICI

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“Shiro! Shiro, dove sei?”
La voce alta e al tempo armoniosa di Jun, fece eco nel vasto campo di erba appena spuntata.
Il bambino era come al solito infilato dentro il suo Junior Robot e stava simulando un attacco.
“Che vuoi? Mi sto addestrando!”
“Ah, eccoti finalmente. Ti ricordo che non sei solo un pilota, ma soprattutto un bambino che ha ancora tante cose da imparare.”

La figura snella della giovane stava davanti al ragazzino. Mani sui fianchi e tono che non ammetteva scuse, aveva sul viso un’espressione non propriamente soddisfatta.
“Devi ancora fare i compiti.”
“Lo so”, le rispose con noncuranza, maneggiando il volante.
“A che punto sei? Hai fatto qualcosa o devi ancora iniziare? So che la maestra vi ha spiegato nuovi punti di grammatica.”
“Certo, e devo fare un tema. Il migliore riceverà un premio.”
“Lo so bene: ci sarà il Preside che valuterà tutti gli scritti, e quel giorno i familiari degli alunni saranno presenti. Cosa aspetti ad iniziare?”

Shiro si arrese e sgusciò fuori dall’abitacolo per dirigersi verso casa.
Dalla cartella di cuoio rosso estrasse un quaderno, una biro e una gomma. Con un colpo di mano si fece spazio sul grande tavolo che stava in mezzo alla cucina. Una bottiglia di plastica, un tegame pieno di piselli in umido e alcuni pezzi di pane, caddero a terra.
“Ma insomma, stai attento!” gridò Jun osservando quel disastro. Aveva da poco finito di rigovernare e ora un tondo lago di sugo rosso si allargava lentamente sul pavimento chiaro.
Prese scopa e straccio, in fretta pulì per terra con modi spicci e bruschi.

“Perché non fai i compiti in camera tua? Io tra poco esco, devo fare la spesa settimanale, avrò bisogno di spazio al mio rientro, e tu di silenzio se non vuoi prendere un brutto voto, o, peggio ancora, ripetere la terza.”
“Non mi prepari la merenda, mentre faccio i compiti?” le chiese mentre temperava una matita.
Vinta, Jun si buttò di peso sulla sedia impagliata; quel ragazzino le sembrava una sorta di maledizione in certi momenti, e adesso era uno di questi.
Reagì con decisione: aprì il frigo, estrasse una lattina di aranciata, un panino già pronto e li mise in un piatto.
“Non c’è la coca cola? domandò Shiro, mentre fissava con sguardo per nulla benevolo la bibita.
“No, non c’è!” ribattè la ragazza con stizza mal dissimulata.
“Non la dimenticare, dato che vai a fare la spesa” l’apostrofò con tono di comando mentre apriva il quaderno.
Jun chiuse il frigorifero con gesto energico, poi gli si piantò davanti.
“Senti bene, ragazzino; a proposito di dimenticanze, ti ricordo che il tema dell’ultima volta esibisce una serie infinita di correzioni blu e rosse, con un voto così basso che mi auguro non dover più leggere. Hai capito che devi usare la punteggiatura e non si cambia verbo in continuazione?”
Shiro annuì vigorosamente col capo.
“Bene, allora fai le valigie e fila di sopra.”
Rassegnato, Shiro scese dalla sedia e con gesti lenti prese le sue cose.
Nella sua cameretta c’era una bella scrivania piazzata davanti alla finestra. Il sole del pomeriggio filtrava tra le persiane e, dalla finestra socchiusa, la lieve brezza primaverile portava con sé gli odori dei fiori sbocciati, del fieno appena tagliato, dell’erba fresca.

Aprì il quaderno e rilesse il titolo del tema.
“Tema libero”

Ricordò le parole della maestra.

Bambini, voglio che in questo componimento non dimentichiate nulla di quanto abbiamo appena studiato:
La corretta punteggiatura, le doppie, i verbi
Comparativi e superlativi irregolari
Comparativi di maggioranza e minoranza


Si armò di penna nuova dalla sfera ben appuntita, e con rinnovata energia si mise a scrivere.

Mi chiamo Shiro Kabuto e sono gia un eroe grandissimo il mio potentissimo robot da combattimento e il più superiore di tutti e riesce ad affettare tutti i Mikenes invece di quella sciocca di Jun che ha molte pochissime armi. E’ tutavia molto bellissima e un fotografo che lha incontrata le a chiesto di posare per un calendario ma Tetsuya gli a mollato un pugno super potentissimo che lo a steso a tera.
Jun pero lo voleva fare si e mesa a piangere poi e tornata a casa in autobus non aveva voglia di cucinare ma e meglio cosi perché cucina in modo moltissimo pessimo è speso molto stanchissima anche se non fa mai niente.
Mio fratelo tetsuya a un suo robot da combatimento da solo non riesce a fare niente e lo aiuta boss nuka e muche che gli anno salvato la vita sempre ma lui dice che e il piu bravo di tuti.

La forteza dela scienza è molto enorme e molto grandisima la piu belissima del mondo ce la invidiano tuti.
Kenzo Kabuto è il responsabile della forteza delle scienze che e la base opperativa per il grande Mazinga Kenzo e mio padre passa tuto il suo tempo nela fortezza dele scienze e laddestramento degli orfani Tetsuya e Jun pero vuole moltissimo piu bene a me che a loro dato che sono due piaghe molto grandissime.
Io divento il più bravissimo pilota del mondo e loro niente.

Shiro posò la penna e si stirò tutto soddisfatto. Rilesse il componimento e si persuase di aver fatto un capolavoro.
“Vincerò il premio!”

Alcuni giorni dopo, il lungo corridoio della scuola elementare era gremito di ragazzini, genitori e insegnanti. Il Preside, un uomo che incuteva soggezione anche da lontano, fissava i compiti dei bambini appesi in bacheca. Doveva assegnare il premio al più bravo alunno.
Rifece il giro più volte e lesse i compiti con attenzione, poi ad un certo punto chiamò la maestra di Shiro e le parlò sottovoce.
La donna scoppiò in lacrime e uscì dalla scuola quasi correndo.
I genitori rimasero attoniti; Jun, Tetsuya e Kabuto, elegantissimi per l’occasione, si fissavano con sguardo interrogativo.
Alla fine, il Preside salì su un gradino e con voce possente proclamò il vincitore.

“… poiché non mi è stato possibile dare un giudizio al migliore alunno, dato che qui nessuno è stato all’altezza, il premio andrà al peggiore.”
Esibì davanti ai presenti una grande medaglia dorata, prese il microfono e pronunciò le seguenti parole:
“Primo premio, peggior scolaro per aver scritto il tema più orrendo che abbia mai letto in tutta la mia carriera, è… Shiro Kabuto!”

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Continua il percorso scolastico ad ostacoli del nostro Shiro. Sono passati circa tre mesi dal disastroso tema che ha avuto l’onore (?) di vincere il premio.


Primo premio, peggior scolaro per aver scritto il tema più orrendo che abbia mai letto in tutta la mia carriera, è… Shiro Kabuto!

Che terribile umiliazione! Kabuto, Tetsuya e Jun erano dapprima ammutoliti, poi si erano guardati l’un l’altro con aria interrogativa, come dire: ho sentito bene?
Sì, osservando le espressioni molto eloquenti degli altri genitori avevano sentito giusto, nessun problema di udito, la visita dall’otorino poteva essere tranquillamente evitata.
Imbarazzati fino al midollo, avevano abbassato lo sguardo ed erano usciti dall’edificio scolastico.
Shiro aveva un’aria trionfante ed esibiva la medaglia come un trofeo. Che rabbia! Ma quanto era idiota quel bambino! C’era da scavarsi la fossa, altro che vantarsi e inorgoglirsi.

“L’appendiamo in salotto, vero?”
A quel punto, Jun non si era più trattenuta e, mani sui fianchi, voce incrinata dal disappunto, mentre il colorito bruno stava assumendo una tonalità melanzana, aveva sillabato: “In salotto appendo te! Da domani si studia per davvero e farai quello che dico io!”
“Cosa?” aveva chiesto il fanciullo con un’aria che stava tra l’innocente e il trionfante, ma che in fondo celava una certa strafottenza.
Di comune accordo con Kabuto e Tetsuya, avevano deciso di insegnargli a parlare correttamente. Ogni qualvolta pronunciava una parola mancante di una doppia lo correggevano, e così coi verbi sbagliati, gli aggettivi e le consonanti. Doveva scrivere in un quaderno le parole più difficili, qualche pensiero, fare l’analisi grammaticale.
In capo a poco più di un mese, il ragazzino era notevolmente migliorato, anche se qualche errore di ortografia gli scappava sempre, però non era più a rischio di ricevere il primo premio con tanto di medaglia dorata per il peggior tema.

“Domani ho il compito in classe. E’ tempo di scrutini, per alcuni giorni avremo una prova scritta.”
Jun stava stirando una pila di camicie da uomo, lo guardò di striscio.
“Molto bene, vediamo se il nostro lavoro ti ha giovato.”
“E ne dubiti? Mi avete massacrato e rotto le…”
“Shiro! Vogliamo evitare certi vocaboli, vero?” lo riprese Tetsuya appena entrato dalla porta di servizio. Fissava il bambino con piglio severo e aria poco amichevole.
“Vogliamo anche evitare di cambiare la camicia tre volte al giorno?” gli chiese Jun seccata e l’aria stanca. Erano ore che stirava col ferro a vapore, aveva un caldo pazzesco e non ne poteva più.
“Tetsuya durante gli allenamenti suda almeno sette camicie, e se non si cambia puzza!” finì la frase Shiro, mentre saliva al piano di sopra ed entrava nella sua cameretta.
“Quel bambino diventa ogni giorno più maleducato” brontolò il grande pilota.
“Eh già. Chissà da chi ha preso”, aggiunse Jun con tono ironico, mentre staccava la presa del ferro da stiro. Per quel giorno aveva finito, l’indomani l’aspettava una pila di lenzuoli e tovaglie che non finiva più.

Ore 8 del mattino. La classe al completo, la maestra era appena salita in cattedra e dettava il titolo del tema:
“Animali in casa mia.”
Parlate di quali bestiole hanno fatto parte o ancora fanno parte della vostra vita, il loro nome, quanti sono e descrivete il loro aspetto.

Shiro afferrò con decisione la stilografica e si accinse a scrivere pieno di entusiasmo.

“Nella mia casa ci sono molti animali: alcuni hanno stabile dimora, altri vanno e vengono.
Boss è un immondo topo di fogna che va e viene. L’ha detto Jun che è quell’animale lì, io credevo che i topi fosero fatti in un altro modo, però mi hanno detto che esistono molte razze.
Una moltitudine di formiche invade la cucina dalla tarda primavera all’estate, poi se ne vanno.
Un nido di blatte nere e rossastre aveva invaso il garage, anno deposto qualche centinaio di uova. Mio fratello li ha sterminati col flit.
Alcune api operaie avevano creato una loro casetta sopra al lampadario della sala e quando Jun se ne è accorta ha distrutto la dimora, sparso veleno con lo spray e le parole.
Per un giorno sono venuti da noi due pidocchi rifatti. Credevo fossero piccoli e quasi invisibili, ma erano invece una coppia di sposi con anelli d’oro per ogni dito, ricchi abiti firmati, un macchinone che a fatica è entrato nel cortile. Ho capito allora che i pidocchi stanno in testa, quelli rifatti sembrano persone, sono sgarbati, non ringraziano e non chiedono permesso.

Tetsuya è un leone che rimane in casa, un genere di bestia che ha stabile dimora.
Jun è una bella cavalla, anche lei non si schioda mai.
Il prof. Kabuto è una belva, mai se ne è andato per i fatti suoi.

Ecco, ho molti animali e il mio tema sarà il più belo di tutti.”

Quando suonò la campanella che annunciava la fine delle lezioni, Shiro mise la cartella coi libri in spalla e si avviò verso casa tutto contento.
Il giorno dopo ci sarebbe stata la prova di grammatica, corse quindi nella sua stanza per ripassare.
Aprì il quaderno con gli appunti che aveva dettato la maestra.

ANALISI GRAMMATICALE DEL VERBO
la coniugazione cui la voce appartiene: voce del verbo… della 1ª, 2ª, 3ª coniugazione;
il modo: indicativo, congiuntivo, condizionale…;
il tempo: presente, imperfetto, futuro…;

Il mattino seguente, la maestra dettò agli alunni le seguenti frasi:

Ritorneremo qui domani.
La ragazza entrò nella stanza per aiutarlo, ma combinò soltanto guai.

Shiro scrisse:
Ritorneremo: i mostri di Micene non ne hanno avuto abbastanza, non arrendono e ritornano.
Domani: e io sarò in pista per combatterli col mio super robot.
Tempo: eterno e imperfetto sempre.

La ragazza: quella rompi di Jun. Articolo femminile e di bella presenza.
Entrò nella stanza: voce del verbo entrare - nella mia cameretta a fare danni. Dare la polvere, spazzare sotto il letto i miei giocattoli, arieggiare la camera, così i poster dei miei cartoni preferiti si sono involati.
Ma combinò soltanto guai: mi ha insegnato male a scrivere e fare di conto. E’ tonta, insistente e somara. Però ha fatto una buona torta.
Torta: voce del verbo cuocere. Se non la levi dal forno in tempo si brucia.
Intortare: non è una torta, ma voce del verbo “adescare le ragazze”. Koji ha quel vizio, un giorno Sayaka se ne è accorta e l’ha fatto nero.

Oltremodo soddisfatto, il ragazzino consegnò il compito e se ne andò a fare ricreazione.


Terzo giorno: problemi di aritmetica.

Problema n° 1
Nuke compera un computer portatile che costa 645 yen e una stampante laser che costa 218 yen.
Se paga con 1000 yen, quanto riceve di resto?

Risposta: niente, perché i negozianti sono dei furbastri.

Problema n° 2
Kaori sistema su ogni scaffale del suo negozio 4 magliette a maniche corte e 7 a maniche lunghe.
Se gli scaffali sono 23, quante magliette sistema in tutto?

Risposta: 150 magliette, perché vanno sommate anche quelle che ha avuto dalla nascita.

Problema n° 3
Yuki ha una collezione di 172 monete. Quando compie 12 anni, riceve in dono 25 monete dalle sue 5 amiche. Quante monete ha ora Yuki?

Risposta: nemmeno una, perché ha speso tutto in dolci e gelati.

“Ooohhh, e con oggi sono terminati gli scrutini. Vado a casa, mi prendo un mega gelato e penso solo a divertirmi. Per quest’anno ho dato, fino a settembre niente compiti” esclamò Shiro stirandosi e sbadigliando a bocca spalancata.

Appena a casa, Jun gli domandò com’era andata.
“Benissimo!”
“Hai già i risultati?”
“No, la settimana prossima verranno appesi in bacheca fuori dalla scuola, poi verranno consegnate le pagelle ai familiari degli alunni.”
“Speriamo bene” sospirò la ragazza fissandolo con apprensione.

I giorni passarono in fretta, anche perché Jun e Tetsuya si sottoposero a duri allenamenti. Il nemico era sempre in agguato e loro non potevano certo permettersi di essere colti alla sprovvista.

In un assolato lunedì di giugno, Kabuto, Tetsuya e Jun si recarono presso la scuola elementare di Shiro. Sul muro esterno dell’edificio, facevano bella mostra gli elenchi degli alunni, le classi, le votazioni. I tre osservarono a lungo, ma il nome del bambino non appariva. Alla fine, decisero di chiedere in segreteria, anche perché comunque dovevano ritirare la sua pagella.
“Permesso?” chiese Kabuto alla segretaria tutta intenta a battere a macchina.
“Avanti”, rispose la giovane senza alzare lo sguardo.
“Ci scusi signorina… siamo qui per Shiro Kabuto… la sua pagella… ha finito la quarta” balbettò Jun.
“Per le pagelle dovete parlare con la maestra. Usciti di qui, andate sempre dritto in fondo al corridoio, l’ultima porta a destra.”
I tre si avviarono con passo spedito. Non ebbero bisogno di bussare, l’uscio era spalancato e la donna era sola nella stanza.
“B…. buongiorno signora… dunque noi… noi… ecco, siamo i parenti di Shiro… non abbiamo visto il suo nome nei cartelloni…” domandò Jun con un filo di voce.
La donna alzò lo sguardo, fissò i tre con uno sguardo piuttosto riprovevole.
“Certo, i bocciati non vengono indicati!”
“BOCCIATI?!” urlò Tetsuya.
“Intanto moderi i toni, poi mi faccia il favore di leggere i compiti di quel bambino impossibile. Non solo ha scritto schifezze, mi ha anche presa in giro. Forza, leggete qui! Siete o non siete la sua famiglia?”
La donna porse loro i fogli compilati dal ragazzino e se non svennero fu perché erano molto temprati dalla vita e dai mostri di Micene.
“Non è possibile!” disse Kabuto allargando le braccia.
“Ma come? L’ho fatto studiare molto in questi mesi, non capisco” mormorò Jun imbarazzatissima.
“Senta signorina; si vede che lei non è capace di insegnare, oppure pensava ad altre cose, come ai ragazzi, o a farsi la messa in piega” l’apostrofò la maestra fissandola con disprezzo.
“Ma come si permette?” si intromise Tetsuya.
“Giovanotto, già alcuni mesi orsono mi avete fatto fare una meschina figura davanti al Preside, quando il vostro marmocchio ha vinto il primo premio come peggior tema in assoluto, mi faccia il piacere di andarsene e non farsi vedere mai più. Sono stata chiara?”

I tre uscirono barcollando e lo sguardo fisso al pavimento. E adesso cosa avrebbero fatto? Come prima cosa, iscrivere Shiro in un altro Istituto, fargli passare un’estate rovente con almeno otto ore di studio forzato, un maestro di supporto e…
Mentre si recavano al parcheggio, videro da lontano Venusia e Mizar tutti trionfanti. Fecero loro un cenno di saluto e si avvicinarono.
“Buongiorno, che bella sorpresa!” esclamò Venusia.
“Mizar ha ritirato oggi la pagella, ha avuto il massimo dei voti.”
“E ho pure vinto la gara di baseball” aggiunse il ragazzino con orgoglio.
“La tua scuola è Yatsugatake, vero?” gli chiese Kabuto.
“Esatto, e vado in quinta.”
“Mmm… si potrebbe prendere in considerazione di iscriverci Shiro l’anno prossimo” considerò il dottore.
O mandarlo a lavorare in miniera pensò il fratello masticando rabbia feroce.
“Beh, è stato un piacere incontrarvi, ora andiamo a fare spese. Una bella vacanza al mare non ce la toglie nessuno” li informò Venusia estasiata.
“Ciao… e complimenti” rispose Jun con un filo di voce e lo sguardo assente.

A piccoli passi si avviarono verso la loro macchina.
“Si potrebbe pensare di clonare il ragazzino, mandare lui a scuola…” propose Tetsuya.
“Se penso alle brutte figure che può fare alla scuola di Mizar mi sento svenire” si lamentò Jun.
Il dottore stette in silenzio, ma nella sua mente qualcosa stava prendendo forma.
“Inserirgli un microchip nella testa, teleguidarlo da casa. Ragazzi, parliamoci chiaro: qui non si tratta di farlo studiare, il suo cervello segue un’altra direzione, non c’è niente da fare. Avete letto le cose che ha avuto il coraggio di scrivere? Io non lo so, mai vista una cosa simile…” disse allargando le braccia.
“Vedremo il da farsi. Ci fermiamo un momento al bar a bere un goccio?”
E la proposta di Tetsuya, fu l’unica cosa gradevole di quella giornata infernale.


FINE


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IL FIORE SELVATICO

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La lieve brezza entrava dalla finestra socchiusa muovendo le tende come una danza libera e senza vincoli, portando con sé gli odori e i rumori della strada, i ricordi, le stagioni di un tempo lontano perduto, un tempo vissuto sempre indugiando ai margini della propria vita.
L’inquietudine e il groviglio di sentimenti contrastanti, portava nell’animo di Masumi un bisogno vivo e disperato di scrivere, mettere sulla carta e per la prima volta nella sua vita, tutto quello che sentiva dentro, dire tutto liberamente, senza convenzioni, né dover recitare una parte che non gli apparteneva.
Si sentiva sulla scena coi riflettori accesi e puntati su di lui, ma non aveva nessuna voglia di recitare per interpretare qualcuno, voleva essere finalmente sé stesso, libero e senza tempo.

In quei giorni si era recato nella valle dei susini in fiore per poter incontrare Maya, voleva vederla, seguirne le prove per quella parte difficilissima, la Dea Scarlatta. Aveva voluto raccontare a sé stesso di essere finito lì per caso, per lavoro, ma questa menzogna era adesso davanti ai suoi occhi nella verità spietata e senza veli, sapeva che non dovevano mai più esserci maschere se voleva essere felice.

“… essere felice…” si disse in un sussurro. Gli parve di aver pronunciato un’eresia, solo a pensare queste parole, eppure…
Eppure, quel diluvio di stelle che entrava senza invito e con prepotenza nella stanza bisbigliando, la luna piena in mezzo al cielo tutta bianca e senza ambiguità, quella melodia malinconica che gli arrivava in sordina da una casa lontana, gli ripetevano in coro che il momento della verità era giunto, non si poteva più rimandare.
Masumi buttò lo sguardo su quel tavolo pieno di libri, riviste, fotografie. Un quaderno bianco con una storia ancora tutta da raccontare lo fissava con insistenza. La mano si mosse quasi inconsapevole verso di lui, la stilografica era già nelle sue mani… le parole vennero da sole come un fiume in piena che ha appena rotto gli argini.

“Maya, io ti amo, sì è così e ti voglio per me, senza ostacoli, né convenzioni sociali. Ora so che negare questo sentimento, sarebbe come voler trattenere un pugno di sabbia: più la stringi e più ti sfugge.
La prima volta che ci siamo incontrati, è stato per me un riconoscersi, perché ti aspettavo da sempre, da prima ancora che tu nascessi, io sapevo che c’eri… quel vuoto incolmabile che sentivo dentro, perché non ti trovavo. Eri già nel profondo del mio cuore, nei fiori che sbocciano in primavera, nella rugiada che li fa splendere al mattino, nella pioggia e nel vento, in una canzone, nei giochi infantili, negli sguardi della gente, negli studi, nel mio lavoro… in questa notte stellata che non avrà mai fine.”

Sì fermò alcuni istanti, tenendosi il capo tra le mani, guardando quella pagina senza riuscire a leggerla, se non attraverso un velo liquido che gli inumidiva lo sguardo.
La dolcezza di quel sentimento lo invase in tutta la sua persona, fin nel più profondo nell’anima. Si spaventò di quella gioia sconosciuta, ebbe paura: quello che sentiva dentro non aveva più niente di terreno, era totalmente fuori dallo spazio e del tempo.

Riprese a scrivere come guidato da una forza ignota.

“Tu sei inarrestabile come un fiore selvatico che non ha bisogno di niente per nascere, ma cresce da solo sfidando coi suoi vivi colori e gioiosa impertinenza il sole bruciante, il vento crudele, la pioggia incessante. Il suo fascino è disarmante, perché non ha barriere di nessun genere, non ha obblighi, doveri, sensi di colpa, rimorsi… per questo è incantevole e basta solo allungare la mano per coglierlo… esattamente come vorrei poter fare con te.

Sei sempre lì, ancora più viva e vera, nessuno può strapparti via… ho fatto di tutto per negare a me stesso quello che provo per te, ma questo non ha fatto altro che attirarmi ancora di più verso questo amore che volevo a tutti i costi credere impossibile, ho messo muri di razionalità che pensavo invalicabili… l’età, la condizione sociale, i ruoli. Li hai abbattuti come fossero di cartone col tuo sorriso, la tua spontaneità, l’amore incondizionato per l’arte, il tuo sacrificarti senza risparmio per fare sempre meglio.
Hai fatto tutto questo col cuore e questa lama infuocata ha trafitto il mio, che sanguinerà per sempre se non si unirà a te.

Ti cerco in ogni volto di donna che incontro, in ogni fruscio di abito femminile, nelle voci della gente, nel mutare delle stagioni, in un corso d’acqua, e… in quei meravigliosi susini in fiore.

So già che domani, la luce spietata del sole, riderà di queste mie parole e io avrò già distrutto questa pagina. Metterò davanti a me tutti i muri che con la tua grazia innocente avevi fatto cadere… ma prima che venga domani, io ti rivolgo una muta supplica.
Quello che sto scrivendo per te, tu scrivilo a me adesso, in questo istante… e al primo raggio di sole che vedrò, glielo mostrerò sorridendo.
La sua lama di luce crudele si prenderà gioco di noi, di questo nostro sentimento, ma io continuerò a sorridergli e lui non potrà spegnere il nostro amore, se non spegnendo sé stesso e ottenebrando il mondo.”


FINE


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DENTRO IL CUORE DI MAYA

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Da alcuni giorni, le rose scarlatte avevano invaso la mente e il cuore di Maya.
Senza che lo avesse deciso, le vedeva ovunque, poteva sentirne il profumo, la presenza, le confondeva con gli altri fiori che adornavano le grandi aiuole della città. I negozi di fiori l’attiravano come una calamita e rimaneva a fissarli dal vetro come ipnotizzata: lo sguardo avido cercava disperatamente quel certo tipo di rose e, non trovandole, sentiva un grande vuoto dentro. Un vuoto che non sapeva come colmare. Con dolore si staccava lentamente dal vetro e riprendeva a camminare quasi senza una metà, né uno scopo.
Tutto era iniziato quando un misterioso ammiratore aveva cominciato a inviargliele: all’inizio non ci aveva fatto troppo caso, ma col passare del tempo, si era chiesta sempre più incuriosita chi mai fosse, perché non si rilevasse… cosa nascondeva? Forse l’amava, e questo pensiero la tormentava continuamente. “Perché non lo dice? E se non mi ama, o prova semplice ammirazione, come può non desiderare di condividere ed esprimere questi sentimenti?”

A volte si spaventava di questo stato così insolito per lei, perché la distraeva dallo studio e non voleva, né se lo poteva permettere.

“Cosa mi succede?” si chiedeva sempre più spesso in un sussurro.
“Cosa mi manca? Sono riuscita a studiare recitazione come desideravo da sempre, ho avuto delle parti importanti… e allora, perché sto così male?” continuava a ripetersi la ragazza, vagando come un fantasma, gli occhi spenti, ma al tempo stesso vivaci, perché sentiva dentro di sè un fuoco inestinguibile e una gran sete di vita.
Si fermò nei pressi di un giardino pubblico. Aveva ancora qualche ora di tempo, prima di recarsi a teatro per le prove: decise di fermarsi lì, quindi sedette sul prato all’ombra di una siepe.

Come puoi essere felice, se non condivi la tua gioia con un altro?

Maya sentì all’improvviso una voce che le parlava: era così vera, che si alzò di scatto per vedere se ci fosse qualcuno.
Nessuno. Quella voce che le aveva parlato, veniva in realtà dal suo cuore, da dentro di lei… era qualcosa che aveva voluto reprimere con tutta sé stessa occupandosi di altro.
“Si è fatto tardi” disse a voce alta, e si avviò decisa imboccando la strada che conduceva al teatro.

Tornerò…

Le rispose sussurrando la voce ignota e misteriosa.
Maya si mise a correre per non sentirla più e trafelata andò nel camerino.
“Ho fatto bene ad arrivare prima, così posso ripassare con calma la mia parte e provare anche il costume di scena.”

A tarda sera, la ragazza rientrò a casa esausta e senza nemmeno cenare, andò dritta a dormire. Aveva avuto delle prove massacranti e lei aveva reagito sforzandosi ancora più del solito, aveva dato oltre le sue possibilità. Era stata felice di questo, non aveva sentito sul momento la fatica, ma solo la consapevolezza di diventare sempre più forte.
Piombò subito in un sonno profondissimo… finchè il profumo delle rose non le arrivò vicino…

Maya si alzò di scatto e allungò la mano per prendere la rosa che stava sul comodino. Con avidità ne aspirò l’odore, vide con stupore che il suo stelo non aveva spine, era carnosa e freschissima. Contò i petali, li accarezzò con la mano… si sentì viva e felice come mai lo era stata in tutta la sua vita.

Gli occhi della mente la riportarono in quel luogo, dove lei aveva soggiornato pochi mesi prima per esercitarsi nella difficilissima parte di Helen.
Per immedesimarsi nel personaggio, era rimasta per giorni e giorni al buio, una benda sugli occhi e una volta aveva sentito la porta aprirsi all’improvviso… aveva sentito dei passi, ma prima ancora quell’odore inconfondibile delle rose.
Poi un uomo l’aveva presa tra le braccia e così vicini, lei aveva percepito il suo odore maschile che per alcuni istanti aveva prevalso su quello dei fiori. In quell’abbraccio lungo e breve ad un tempo, aveva avuto la sensazione di diventare una cosa sola con lui: non sapeva più dove iniziava il suo corpo, né la sua mente, perché era come si fossero fusi in una cosa sola.
In pochi istanti, tutto il film della sua vita si era srotolato nella sua mente come una pellicola, aveva paura, ma avrebbe anche voluto che quel momento non finisse mai.
Chi era quell’uomo? Le era chiaro che si trattava del misterioso ammiratore, quello che le mandava le rose scarlatte, ma perché non si erano parlati, perché era andato via così? E perché lei non aveva fatto di tutto per guardarlo? Allungando la mano, aveva toccato una rosa… l’aveva subito riconosciuta, lui la portava nella tasca della giacca.

“Quando mai succederà ancora? Avrò un’altra occasione come quella?” si chiese Maya.

Sentì all’improvviso la porta che si apriva. Vide nella penombra una figura maschile che si avvicinava lentamente a lei… posò una rosa sul tavolo. Non le era possibile vedere il suo volto, perché stava nell’ombra. Maya si alzò e gli corse incontro, a tentoni cercò l’interruttore e accese la luce.
I suoi occhi stupefatti videro la nota camera da letto, l’armadio lungo e stretto, il cassettone… e che era giorno fatto. Era anche molto tardi: l’orologio segnava le nove!
“Ho solo dormito… è stato tutto un sogno…” mormorò sconsolata, lasciandosi ricadere sul cuscino.
Dopo alcuni minuti decise di alzarsi e con movimenti stanchi e pesanti, si accinse a vestirsi e poi uscire.
Senza che lei se ne accorgesse, man mano che le ore passavano, l’iniziale delusione lasciò il posto ad una nuova consapevolezza.
Mente viaggiava sull’autobus, le sembrò di sentire ancora quella voce che il giorno prima l’aveva tanto turbata. Adesso parlava al suo cuore, e lei era felice di sentirla, era come la guidasse lungo la strada della Verità.
Seguendo una luce chiaroveggente, Maya ebbe la precisa e chiara consapevolezza che quell’uomo era lui, Masumi! Sì, chi altri poteva essere?
Se la razionalità la portava ad escludere questa ipotesi, veniva subito oscurata da una verità accecante che non lasciava scampo a dubbi! Le ragioni, i pensieri terreni, nulla potevano contro questa forza!
Maya scese alla sua fermata e prese a camminare velocemente. Rivedeva il primo incontro con lui, il susseguirsi degli eventi, le apparenti scontrosità, gli equivoci… ma ogni dettaglio portava alle rose, al suo ammiratore di rose scarlatte!
“Sì, è proprio lui, ora lo so!” disse quasi gridando.
“E so anche che se non fosse stato per questo filo invisibile che ci unisce, io non sarei andata avanti a recitare, forse mi sarei arresa prima.”

Il tuo immenso amore per l’arte è sempre stato in te, ma è cresciuto e si mantiene vivo, grazie a questo sentimento reciproco. Non saresti mai sopravvissuta a tutti quegli allenamenti disumani se non ci fosse stato lui. E lui non sarebbe quello che è, se non ci fossi tu. Il filo che vi lega è invisibile, ma così forte che niente lo spezzerà!
Maya, se puoi avere mille maschere, è solo perché con lui non ne hai nemmeno una.


La voce le parlò così e lei non ebbe più paura di ascoltarla.


FINE
 
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LA ROSA

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La carriera di Maya era ormai tutta in salita; era stata scelta, insieme ad Ayumi, per interpretare la parte di Helen, la bambina cieca, sorda e muta.
Ma nella vita gli ostacoli non mancano mai, perchè la vecchia chiesa in cui Maya e i suoi compagni erano soliti provare, era stata demolita per costruirne una più moderna per ordine del nuovo sacerdote.

Pochi giorni dopo l'accaduto, Maya ricevette una lettera accompagnata dalle solite rose scarlatte, da parte del misterioso ammiratore.
Masumi Hayami, infatti, avendo assistito personalmente all'inizio della demolizione e, avendo constatato le reali difficoltà della ragazza, decise di invitarla, sotto le spoglie dell'ammiratore, a trascorrere l'estate nella propria villa di Nagano, dove lei avrebbe potuto dedicarsi alle prove senza essere disturbata. Maya accettò con entusiasmo e incredulità: le sembrava impossibile una fortuna del genere per una semplice ragazza e attrice ancora agli esordi come lei riteneva di essere.

La signora Tsukikage, benchè ancora duramente provata dalla recente malattia, le aveva detto con voce imperiosa:
“Se non riuscirai a giocare da sola come Helen, non la capirai! E la tua interpretazione sarà un fiasco!”
Queste dure e sferzanti parole della sensei, si erano installate nella mente della ragazzina e con le sue sole forze non sapeva come uscire dall’impasse.

“Ma come giocava Helen che era sorda e cieca? Come camminava? Come mangiava?” si chiedeva Maya con affanno sempre crescente.

Arrivata alla villa, venne accolta gentilmente dai signori Yamashita e la ragazza iniziò subito il suo lavoro in solitudine; decise allora di chiudersi in casa, bendata e con le orecchie tappate 24 ore su 24 per vivere esattamente come una che è muta, sorda e cieca fin dalla nascita. Cadde spesso, si riempì ben presto di lividi ed escoriazioni.

I coniugi Yamashita, preoccupati della piega che stava prendendo la situazione, decisero di informare immediatamente il padrone di casa, il signor Hayami, che in quel momento si trovava nella località estiva per presiedere a un party organizzato dalla Daito.

Informato della situazione dai custodi, corse alla villa di Nagano, sicuro che Maya non avrebbe potuto vederlo perchè coperta dalle bende. Entrando in casa infatti, trovò la ragazza intenta alle sue prove solitarie e, proprio nell'attimo in cui stava per inciampare, le afferrò la mano con presa forte e virile.
Maya sentì un grande brivido invaderla per tutto il corpo, non potendo vedere l’uomo, si chiese di chi fossero le mani della persona che l’aveva sorretta impedendole di cadere; gli chiese quindi di scrivere sul palmo della mano il proprio nome.

Masumi tolse dal taschino della propria giacca la rosa scarlatta che vi aveva appuntato e la pose tra le mani della ragazza. Maya riconoscendo il fiore al tatto e al profumo, gli chiese:
“Siete voi, vero, l’ammiratore sconosciuto? Vi prego, ditemelo.”

Masumi le afferrò la mano in segno di conferma, ma non disse una sola parola.
Maya, felice della risposta affermativa, senza pensarci si aprì in un sorriso di gioia e si buttò tra le braccia dell'uomo che non poteva vedere, abbracciandolo con tutta la propria forza e dimostrandogli il proprio affetto e la riconoscenza.
Quel gesto istintivo e affettuoso della ragazza lasciò di stucco Masumi che, dopo qualche attimo di esitazione, ricambiò con eguale intensità l'abbraccio, stringendo a sè la ragazzina. Subito dopo, la prese in braccio accompagnandola sul divano.

“Non se ne vada per favore… è tanto che l’aspetto…” implorò lei con un filo di voce, mentre il sangue ancora fresco delle ferite che si era procurata cadendo, scendeva a piccoli fiotti sul pavimento di marmo pregiato.

In quell’istante in cuore dell’uomo fu colmo di compassione, dolore, ammirazione, affetto, tenerezza, complicità e sconfinato amore per quella ragazzina.
La passione che lei aveva per la recitazione l’aveva portata ad una prova così dura pur di immedesimarsi in Helen.
“Una donna così, saprà amare di eguale intensità anche un uomo” pensò lui col cuore colmo di affetto.

La sala era nella penombra, lui aveva adagiato Maya sul divano e le stava vicino. Lentamente si stese vicino a lei, poi con gesti gentili e delicati, le tolse le bende che aveva sugli occhi e glieli baciò con devozione tenendo le sue mani tra le proprie.
Lei si sentiva come svuotata dentro; le emozioni erano tante e contrastanti tra di loro. I suoi occhi, pur nella penombra, avevano riconosciuto il volto dell’uomo, ma lei non disse nulla. Temevano entrambi di spezzare l’incanto.

Dopo circa mezz’ora Masumi uscì lentamente dalla stanza, mentre Maya si stava addormentando con un lieve sorriso sulle labbra.

Più tardi, sulla via del ritorno, gli scrupoli dell’uomo circa la differenza di età tra loro due, non erano che cocci frantumati in fondo al suo cuore.
“Adesso lei ha solo 15 anni e io 25, ma fra poco sarà una donna e non ci saranno ostacoli tra di noi. E’ già una donna, io lo sapevo, ma oggi ne ho avuto la vera conferma. Lei sarà una grande attrice e una grande donna… e se sarò fortunato, potrò condividere con lei questi doni meravigliosi che la sorte le ha regalato.”



FINE


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Questi celebri e orecchiabili motivi, non li ho usati solo per le parti veghiane e/o terrestri, ma altrove le ho inserite in una sezione: “Simpatiche Parodie”



TANTA VOGLIA DI MAYA


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Protagonisti: Masumi e Shiori
Dopo una bevuta eccessiva di alcolici misti, lui si trova e non sa come a letto con Shiori
Parodia della celebre canzone dei Pooh: “Tanta voglia di lei”


Mi dispiace di svegliarti
forse un uomo non sarò
ma ad un tratto so che devo lasciarti
fra un minuto me ne andrò.

E non dici una parola
sei una cozza più che mai
in silenzio morderai le lenzuola
so che non mi seguirai.

Mi dispiace devo andare
il mio posto è là
la mia Maya si potrebbe svegliare
chi la scalderà.

Strana Shiori di una sera
io maledirò
una cozza sconosciuta e insincera,
ma nella mente c'è tanta
tanta voglia di lei.

Maya si muove e la sua mano
dolcemente cerca me
e nel sonno sta abbracciando pian piano
il suo uomo che non c'è.

Mi dispiace devo andare
il mio posto è là.
Il mio amore si potrebbe svegliare
chi la scalderà.
Brutta cozza di una sera
io maledirò
una sbronza eccessiva e anche vera…
nella mente c'è tanta tanta voglia di lei

Chiudo gli occhi un solo istante
la tua porta è chiusa già
ho capito che cos'era importante
il mio posto è solo là.


FINE



PIANGE IL TELEFONO
Parodia


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Masumi vuole ad ogni costo conquistare il cuore di Maya e allo stesso tempo liberarsi di Shiori, la sua appiccicosissima e isterica fidanzata.
Nella sua casa, la sala del soggiorno è completamente invasa da rose scarlatte che sprigionano con prepotenza il loro inconfondibile aroma. Shiori è nel suo boudoir tentando di farsi bella, mentre Masumi ne approfitta per telefonare una seconda volta a Maya.

REI:
Pronto!

MASUMI:
Ascolta! Maya è vicino a te?
Devi dire a Maya… c’è qualcuno che…

REI:
Chi sei il signore dell'altra volta?
Vado a chiamarla ma sta facendo il bagno,
non so se può venire.

Maya sta uscendo dalla vasca tutta gocciolante, indossa un enorme accappatoio di spugna a righe bianche e blu; davanti all’armadio spalancato della sua camera, osserva i vari capi d’abbigliamento per decidere cosa sia meglio indossare.
La ragazza si sta preparando da gran sera: deve uscire con Sakurakoji a vedere la prima di un grande spettacolo.

MASUMI:
Dille che son qui,
dille che è importante, che aspetterò

REI:
Ma tu hai fatto qualche cosa a Maya?
Quando chiami tu mi dice sempre:
Digli che non ci sono.

MASUMI:
Ma dimmi sai recitare di già
è bella la vostra casa?
La Dea come va?

REI:
Bene, ma dato che Maya studia molto
per tante parti, non ha tempo per te, capito?

MASUMI:
Dille che son qui che soffro da mille anni…

REI:
Mille anni? Il tempo come vola, accidenti!
Ma tu la conosci Maya?
Non mi parla molto di te…
Aspetta, eh!

La ragazza si è magnificamente vestita e Rei la sta ammirando. Sopra i capelli raccolti in un raffinato chignon spicca una coroncina di brillanti. L’abito da sera è uno schianto: tutto blu e pieno di lustrini, lungo e gonfio nella gonna, aderente nel busto. Maya è bellissima, questa sera farà stragi di cuori.

MASUMI:
Piange il telefono
Perché lei non verrà
Anche se grido ti amo
Lo so che non mi ascolterà
Piange il telefono
Perché non hai pietà
Però nessuno mi risponderà

REI:
Ma che cos'hai perché hai cambiato voce?
Ma tu piangi, perché?

MASUMI:
Piange il telefono perché lei non verrà.
Anche se grido ti amo, lo so che non mi ascolterà
Piange il telefono, perché non hai pietà,
però nessuno mi risponderà.
Ricordati però
piango al telefono
l'ultima volta ormai
ed il perché domani tu lo saprai

Sakurakoji è già arrivato.

MASUMI:
Falla aspettare…

REI:
Sta uscendo…

MASUMI:
Falla fermare…

Maya sale sulla lussuosa macchina e parte.

REI:
E’ andata via

MASUMI:
Se è andata via
Allora addio


In quell’istante, Shiori entra come una furia nel soggiorno. I suoi capelli sono una massa intricatissima e indomabile di ricci, come avesse preso una forte scossa elettrica. Ha provato a farsi la permanente da sola, quindi il risultato è effettivamente disastroso.

“Guarda come mi sono ridotta per colpa tua!”
“Colpa mia?” chiede Masumi cascando letteralmente dalla poltrona.
“Sì! Non sono potuta andare dal parrucchiere, che disastro, cosa faccio adesso?”
“L’unico cosa sensata da fare in casi come questi: tagliarti i capelli quasi a zero e aspettare che ricrescano”, le risponde lui con calma serafica mentre si accende l’immancabile sigaretta.
“Sei un mostro, ti odio!!!” grida lei strappandosi i capelli in preda alla disperazione più nera.
E cosa sono tutte queste rose, non senti che puzza?”

La rabbia, il senso di impotenza, l’indifferenza dell’uomo, l’odore penetrante dei fiori, fanno svenire Shiori.
Prendere la giacca, salire sull’auto e recarsi al teatro per cercare Maya, è un attimo per Masumi.
In mano tiene una dozzina di rose scarlatte e quando entra in platea, la prima donna che gli balza all’occhio è proprio Maya.
“Queste sono per te, ragazzina.”
Poi, rivolto al ragazzo: “Ti spiace farmi posto?” chiede scansandolo senza tanti complimenti.
“Ma… veramente io ho accompagnato la signorina, quindi…”
“Sì, ma vedi, da vero cavaliere, dovresti ora recarti da un’altra signorina che si trova a casa mia, ecco qui le chiavi. Non si è sentita bene, è svenuta, quindi tocca a te farla rinvenire.”
Sakurakoji è letteralmente sconvolto, tuttavia prende le chiavi che Masumi gli porge e se ne va.

“Mmm… Cime tempestose, ci tenevo tanto a vedere questa opera, soprattutto insieme a te.”



FINE
 
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Ho postato alcune fanfiction de: "Il Grande Sogno di Maya".
Per chi non conosce la storia e i personaggi, metto una breve presentazione.



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Maya Kitajima è una ragazzina semplice, senza doti particolari, ma con una grande passione nei confronti del teatro: ogni volta che vede un film o una rappresentazione teatrale, si estranea totalmente dalla realtà finendo col combinare indicibili disastri.
Tutte le persone che sono attorno a lei credono che sia una ragazza sciocca e buona a nulla, a cominciare da sua madre, cameriera di un tradizionale ristorante giapponese.
Un giorno, grazie a una scommessa vinta con un'amica, Maya riesce ad assistere alla rappresentazione de "La signora delle camelie", la cui attrice protagonista è la bella Utako Himekawa.
Ad osservarla in teatro, mentre è in totale rapimento estatico, c'è Shigusa Tsukikage, famosa ex-attrice dal volto sfigurato. Alla donna già in passato non era sfuggito l'attaccamento di Maya per il teatro; la invita pertanto a casa sua incitandola a parlare dello spettacolo, Maya ripete a memoria tutte le battute del copione, nonostante abbia assistito alla rappresentazione solo una volta.
Sopraggiunti in una stanza vicina, Masumi Ayami, presidente della Daito Art Production, e Onodera, regista teatrale della compagnia Ondine, osservano Maya, criticandone l'interpretazione.
Tsukikage ride, avendo riconosciuto nella ragazzina un autentico talento. Masumi e Onodera vorrebbero che Tsukikage cedesse loro i diritti di rappresentazione della "Dea Scarlatta", un dramma leggendario di cui solo Tsukikage, in virtù della superiore bravura in quel ruolo, detiene i diritti. Ma l'ex-attrice rifiuta, ferma nel suo proposito: è decisa a preparare lei l'attrice che interpreterà la Dea Scarlatta.
A scuola si prepara una recita scolastica, e Maya viene scelta per interpretare un ruolo secondario: una ragazza stupida. Maya studia giorno e notte per prepararsi nella parte, e la sua interpretazione risulta la migliore e lascia a bocca aperta il pubblico.

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Maya Kitajima: non dimostra particolare brillantezza o attitudine per la scuola e i lavori, l'unica cosa che attrae la sua attenzione è il mondo dello spettacolo.
Possiede una grande passione e un formidabile talento per la recitazione che presto qualcuno scoprirà.

Masumi Hayami: è il giovane presidente della Daito Art Production, un'importante casa di produzione cinematografica del Giappone.

Chigusa Tsukikage: ex famosa attrice che si è ritirata dalle scene a causa di un incidente che le ha deturpato il viso.

Ayumi Himekawa: coetanea di Maya, bella e ricca, è molto famosa per le doti artistiche e per essere la figlia di un regista e di un'altra attrice di rilievo.

Yu Sakurakoji: giovane attore della compagnia Ondine della Daito Art Production; conoscerà Maya e fin da subito proverà attrazione per lei fino a innamorarsene.

Rei Aoki: è una delle attrici della Compagnia Tsukikage con cui Maya andrà a convivere, dopo lo scioglimento della compagnia.

Saeko Mizuki: è la segretaria personale di Masumi Hayami. Donna acuta e intelligente, sarà la prima a comprendere qual è la vera indole dell'uomo.

Karato Hijiri: è l'uomo della Daito e fidato collaboratore di Masumi Hayami. Diventerà il tramite tra l'ammiratore delle rose scarlatte e Maya Kitajima.

Ryuzo Kuronuma: geniale regista, aiuterà Maya a vincere un importante premio.

Eisuke Hayami: è il padre adottivo di Masumi ed è il padrone della Daito e di altre imprese.

Shiori Takamiya: è bella, ricca ed elegante erede dell'impero Takamiya; diventerà la fidanzata ufficiale di Masumi Hayami.

Genzo: è un ex attore diventato fedele amico e assistente della signora Tsukikge.

Hajime Onodera: importante e famoso regista della compagnia Ondine.

Haru Kitajima: è la madre di Maya. Maya condividerà la scuola di recitazione e le prime apparizione sul palco.

Shigero Satomi: giovane e brillante, conoscerà Maya durante le riprese di uno sceneggiato e se ne innamorerà.

Peter Hamil: fotografo di origini francese che immortala le prove de La Dea Scarlatta; appare molto interessato ad Ayumi.

Mai: è innamorata di Sakurakoji con cui stringerà amicizia.
 
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REATI

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Alcuni giorni dopo la fine delle vacanze estive in Scozia, Candy non la finiva più di rimuginare tra sé gli eventi accaduti negli ultimi mesi. Dentro al suo animo si agitava un groviglio di sentimenti contrastanti e per nulla pacifici.
Col trascorrere del tempo, si era resa conto di provare un’avversione sempre più forte per Terence, quel ragazzo spavaldo, spaccone e dal carattere volubile. Non lo sopportava più, era un parassita, il suono della sua voce la irritava come non mai, tentava di evitarlo in tutti i modi, eppure se lo trovava sempre tra i piedi, anche quando nell’ora libera pomeridiana decideva di andarsene a fare una passeggiata tutta sola nel grande parco del collegio.

“UFFAAAAAAA!!! Non ne posso più!” gridò la biondina boccoluta dai codini perenni. Si mise a correre sull’erba, mentre con le mani faceva il gesto di turarsi le orecchie.
Niente! La voce di quell’idiota era ormai fissata nella sua testa come la melodia che sempre si ostinava a intonare con quella stupida ocarina.
“Ho subito offese, insulti e violenze da quel bastardo! Però quando ha bisogno di me fa il gentile, il carino, il simpatico” sbuffò ancora. “Simpatico… aiuto, questa è una parola grossa per uno come lui, ma per adesso non ho un altro vocabolo sottomano” pensò, mentre l’espressione del suo viso assumeva un’espressione scontenta e colma di amarezza.
“Sempre a lamentarsi dei suoi genitori, ho anche fatto da paciere, però non gliene può fregare di meno che io i miei non li abbia mai conosciuti, ancora in fasce sono stata allevata in un orfanatrofio, poi adottata da quei Legan: meglio perderla che trovarla una famiglia simile. Ma lui noooooo, conta solo il fatto che suo padre non vuole lui veda la madre, quello che io ho vissuto sono bazzecole ai suoi occhi. Che sarà mai! Ha l’aria di pensare quando mi guarda con occhio da parassita.”

Il sole pomeridiano del dolce settembre illuminava tutta la sua figura facendola splendere, e forse fu proprio quella luce a farle venire un’idea.
“Dunque… quanto ho subito da quella sorta di borioso, egoista, ottuso, offensivo, spavaldo e strafottente sono reati… io posso far valere la Legge!”
Si ricordò che la ricca Biblioteca della scuola era fornita di alcuni grossi volumi di giurisprudenza; decise che li avrebbe subito consultati e certamente trovato la soluzione per i suoi problemi.

“Signorina Candy! Dove sta andando così di fretta?”
La voce fredda ed autoritaria di Suor Chris, bloccò la ragazza che stava attraversando un lungo e ampio corridoio del college.
“Oh! Ehm… niente Suor Chris, sto andando in biblioteca per approfondire la lezione di storia” balbettò Candy presa alla sprovvista.
“Va bene, ma sia puntuale per l’ora di cena” le rispose gelidamente.

La ragazza entrò nell’enorme stanza dal soffitto altissimo: c’erano libri dappertutto. Il suo olfatto venne subito investito dall’odore della carta, dell’inchiostro, dell’ambiente scarsamente areato. Regnava una severa penombra, tutto era in perfetto ordine.
Ogni gruppo di volumi, era diviso da una grossa targa riportante l’iniziale dell’argomento: Antropologia, Letteratura, Scienze, Matematica, Storia, Geografia…
“Ecco, finalmente, la lettera L, che sta per Legge, Legalità, Diritti, Processi, Vendetta, dolce Vendetta” sussurrò la fanciulla a denti stretti.
“Vediamo la prima cosa odiosa contro di me da parte di quel bastardo. E’ stato a Capodanno, sulla nave, sì, ricordo bene. Per la rabbia che gli ho fatto nel beccarlo mentre stava frignando, mi ha riso in faccia e mi ha subito soprannominata tutte-lentiggini, poi col tempo Tarzan, scimmietta, tutti nomi gradevoli e gentili, altrochè!”

Candy pensava queste cose mentre con l’indice scorreva le righe della prima pagina di un grosso volume.
“Ecco, ho trovato: INSULTI. Il Codice dice: … come abbiamo sottolineato nelle righe precedenti è possibile procedere denunciando alcuni insulti, soltanto se sono stati fatti in assenza della vittima, ovvero quando si tratta del reato di diffamazione.
Ah… furbo lui, queste schifezze le pronunciava senza testimoni!”
Andò avanti a consultare altri volumi, prese molti appunti e decise che la mattina seguente si sarebbe recata nello studio della Superiora, la quale di certo avrebbe preso seri provvedimenti contro quel disgraziato, demente, imbecille, cretino e deficiente!

“Permesso?”
“Avanti.”
“Buongiorno Suor Margaret, c’è Suor Grey?”
“No, Candy. Ragazze, io non vi capisco: entrate, chiedete se c’è la Superiora anche se brilla per la sua assenza. Lo vedete da voi stesse che non è qui, cosa lo domandate a fare?” rispose la suora.
“Accomodati su quella sedia, tra poco arriverà” indicandole il suo posto con la mano e un sorriso benevolo.
Dopo una decina di minuti, il passo pesante dell’anziana religiosa riecheggiò nel corridoio e la sua imponente figura di materializzò nel vano della porta.
Suor Margaret e Candy si alzarono in piedi, mentre la donna prendeva posto nella sua massiccia scrivania.
“Buongiorno. Ha bisogno di qualcosa, signorina Candy?”
“Sì, altrimenti non sarei venuta.”
“Mi dica, allora.”
“Sono qui per fare una Denuncia Civile e Penale: il Capo di Imputazione è Terence Granchester” disse con tono fermo e risoluto, scandendo bene le parole.

Le due religiose si scambiarono occhiate allibite, mentre fissavano la ragazza con occhi dilatati per lo stupore. Ma che cosa stava dicendo? Forse aveva dormito male, avuto un incubo, non aveva digerito la cena? Meglio far presente alla cuoca del college che i peperoni fritti ripieni sono troppo indigesti, specie la sera.
“Da quando ci siamo conosciuti, precisamente sulla nave che dall’America arrivava a Londra, questo ragazzo oltremodo maleducato, mi ha offesa usando nomignoli ridicoli, allo scopo di farmi sentire una nullità. So bene che in assenza di testimoni, ciò che dico non ha valore, ma verrà un giorno che il termine Bullismo farà parte dei dizionari di tutto il mondo e si dirà che il bullo agisce così perché ha grosse paturnie, complessi, problemi di sociopatia e aberrazioni mentali.”

“Ha finito, signorina?” le chiese la Superiora, decisamente sconvolta.
“Veramente non ho ancora iniziato, perché il bello, anzi il brutto deve ancora arrivare. Allora: questo ragazzo mafioso, opportunista, ricco, viziato e antipatico, siccome non gli è mai stato bene che io soffrissi le pene dell’inferno per la tragica morte del mio caro Antony, il ragazzo più bello, buono e generoso che sia mai esistito sulla terra, dato che aveva la passione di coltivare splendide rose, non ha fatto altro che deriderlo per questo. Io, pur cambiando ambiente, non ho fatto altro che piangere, sentivo sempre il grande vuoto che mi ha lasciato, non lo posso dimenticare.
E’ morto in un incidente di equitazione, e io ero con lui. Da quel momento non ho più avuto il coraggio di fare una cavalcata, il nitrito di un cavallo mi fa scoppiare di dolore e spavento.
Quel bastardo… quell’idiota demente che… grrrrrr…. Se ce l’avessi davanti lo farei a fette!”
Candy si era alzata dalla sedia con uno scatto rabbioso, serrato le mani a pugno mentre faceva il gesto di colpire nel vuoto.
“Signorina, si calmi. Cosa è avvenuto di tanto terribile? L’odio che lei dimostra per quel giovane fa quasi paura, ed è irragionevole” mormorò Suor Gray.

Di tanto in tanto, Suor Margaret alzava gli occhi per qualche istante, per poi riabbassarli prontamente sui tasti della grossa macchina da scrivere.

“Il bastardo rincretinito, mafioso e dittatore, mi ha fatto salire con la forza sul suo cavallo, e io disperata gli ho chiesto di scendere, ma lui mi ci ha issata di peso, ce l'ha messa tutta per costringermi a sfogare il mio dolore riducendomi in lacrime, ho gridato forte il nome dell'amato Anthony.
Terence mi ha costretta a dimenticare quel ragazzo, ricordava la sua morte con perfidia e sadismo e che non potrà mai più tornare in vita. Correva come un pazzo ubriaco su quella bestiaccia purosangue, e per non fare la fine del mio amato, ho detto che non ci avrei pensato più, la vita è bella anche senza di lui, ero giovane, felice e spensierata. Così il pazzoide si è deciso a fermare quell’animale folle almeno quanto lui. Ho pianto ancora per un po’, ma il mio cuore è una fonte inesauribile di lacrime. Amo Antony più di prima, lo penso giorno e notte, ho un dolore misto a rabbia che non so descrivere.”

Candy prese fiato, fece un lunghissimo respiro e si preparò a raccontare la parte più incresciosa del suo rapporto con Terence.
“Le vacanze in Scozia stavano terminando, e un pomeriggio conversavo amabilmente con il duca di Granchester nei pressi di un lago. Ho recitato la parte della gentile e sottomessa, gli sono stata vicino, ho ascoltato con pazienza infinita il suo burrascoso rapporto coi suoi dissennati genitori. Mi annoiavo a morte e mi sentivo usata: ero il suo sfogatoio personale, non c’è che dire. A sorpresa mi disse se volevo fare un valzer con lui sul prato, una sorta di chiusura del periodo estivo. Accettai con piacere, amo il ballo e la musica.
BRUTTO BASTARDOOOOO!!!” gridò Candy all’improvviso facendo tremare i vetri.

“Signorina! Che modi sono questi? La smetta subito” le intimò la Superiora con piglio severo.
“Mi scusi, però… il villano mi ha baciata, sì, mi ha baciata a tradimento. Ecco, ecco qui cosa dice il Codice.”
Candy aveva preso il foglio coi suoi appunti, aveva uno sguardo febbrile e vendicativo, la voce e le mani tremavano mentre leggeva ad alta voce l’articolo.

Bacio rubato è violenza sessuale: afferra per un braccio la ragazza e le dà un bacio sulla bocca.
Reato di violenza sessuale.
CODICE PENALE
Art. 609-bis (Violenza sessuale)
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

“Mmm…” mormorò la religiosa meditando tra sé.
“Non c’erano testimoni, quindi tutto ciò non è stato fonte di scandalo per nessuno. Questo fatto può senza dubbio essere prescritto. Il fatto che lei non abbia gradito il gesto, avvalora quanto ho dichiarato. Può andare in classe signorina, si è fatto tardi.”
Candy spalancò gli occhi e crollò sulla sedia. Non era possibile! Con sforzo estremo tirò fuori un filo di voce per mormorare: “Ma… Suor Grey… se qualcuno le avesse fatto questo quanto era ragazza, avrebbe reagito con una scrollata di spalle?”
“Cosa intende dire?” si inalberò la suora.
“Sono sempre stata una donna più che rispettabile e nessuno mi ha mai baciata! Nessuno mi ha baciata, nessuno mi ha baciataaaaa!!!” urlò con quanto fiato aveva in corpo, mentre il suo colorito bruno, assumeva una tonalità melanzana.

In quel mentre, passava Terence fischiettando con aria spavalda e annoiata, la sigaretta accesa pendeva all’angolo sinistro della bocca. L’uscio era socchiuso, quindi, incuriositosi, mise il capo dentro la porta.
“Buongiorno, sorelle! Suor Grey” disse con deferenza e un accenno di inchino.
“Passavo di qua e ho sentito che lei non è mai stata baciata da nessuno.”
“Mmm, che vuole signor Terence?”
“Nulla, intendevo cogliere l’occasione per sottolineare che non ci trovo niente di strano nell’apprendere che lei non è mai stata baciata da nessuno. Essere masochisti fino a questo punto ce ne vuole!”
Prima che qualcuno gli rispondesse, chiuse bene la porta e se ne andò nella sua stanza con aria altezzosa. Un sorriso ironico gli illuminava il viso e già pregustava i prossimi sviluppi di quello strano dibattimento mattutino.

Era ormai prossimo mezzogiorno, le cucine del collegio erano colme di profumi, vapori, cuoche affaccendate.
Seduta presso un grande tavolo di legno grezzo, Candy non la finiva più di versare lacrime. Dopo aver pelato diversi chili di patate, ora le toccava tagliare le cipolle e, da tanto lacrimare, la vista le si annebbiata che quasi non vedeva niente.
Eh sì! Aveva disturbato la Superiora per futili motivi, insultato e calunniato il Duca, il cui nobile e distinto genitore, con classe e discrezione infilava mucchi di sterline sonanti dentro le casse della scuola, perso la lezione di storia, alzato la voce, e questo era il destino che meritava.
Quando ebbe riempito una grossa cesta piena di ortaggi, la portò nella cucina grande, attraversando il corridoio. E, guarda caso, Terence passava di lì proprio in quel momento.
“Ciao, Tarzan tutte-lentiggini! Mi raccomando, le patate mi piacciono tagliate fini, così vengono fritte meglio!” disse ridendo a più non posso.

La ragazza tacque fingendo indifferenza, ma ricordò che la vendetta era un piatto da consumare freddo.
“Se ti azzardi un’altra volta a svegliarmi in piena notte perché stai male, ci vado di corsa in farmacia, stai sicuro. Ma quello che ti darò, non lo dimenticherai mai più per il resto dei tuoi giorni!”



FINE


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UNA RAGAZZA ALLA MODA

1914. E' l'anno in cui si aprono gli scontri che porteranno al primo conflitto mondiale, ma la guerra tra Giappone e Russia era cominciata dal 1904. E' qui la serie inserisce i suoi avvenimenti:
Shinobu Yuin è il tenente che viene spedito in Siberia per fronteggiare l'avanzata delle truppe russe;
Il Giappone conta gli anni secondo il calendario Wareki, per cui ogni era coincide con il regno di un imperatore.
Anne, figlia del maggiore Hanamura, viene promessa in sposa al tenente Yiun, all'età di diciassette anni. Nonostante il temperamento mascolino e una personalità non disposta alla sottomissione al potere paterno, la ragazza è costretta a trasferirsi presso la residenza Yuin, dove riceverà un'educazione adatta al rango nobiliare in attesa di celebrare nozze ufficiali.
Accettato il trasferimento anche su pressione del padre, Anne tenta l'impossibile per rompere il patto tra famiglie, tanto più, quando scopre che il fidanzamento è solo il frutto di una promessa stretta tra antenati e ora realizzata dai nonni di Shinobu. Per ironia della sorte, però, i tentativi di mandare all'aria i progetti su di lei hanno effetto contrario. Il suo temperamento ribelle e fuori dalle righe affascina sia il suo promesso sposo che i nonni stessi, che vedono in lei la persona ideale per portare allegria e colore in un castello ormai spoglio e desolato.
Col passare dei mesi anche Anne si rende conto che il ragazzo cui è promessa l'affascina più di quanto pensasse. La finta indifferenza che ostentava tempo prima, diventa interesse per lui e finisce per innamorarsene. Alla vigilia della partenza del fidanzato, Anne promette di occuparsi dei nonni e della sua tenuta. La ragazza, forte del desiderio di riabbracciarlo un giorno, supera tutte le difficoltà, compresa la tragica notizia della sua scomparsa, sotto i colpi delle baionette russe. Nemmeno l'idea della sua possibile morte la sconvolge: Anne trova un lavoro come giornalista per sostenere i nonni, ormai ridotti in miseria. Grazie al nuovo lavoro può girare i luoghi dove Shinobu può essere rimasto, ma solo a fine serie lo ritroverà sotto le spoglie di Sasha Mikhailov, duca russo fuggito durante la rivoluzione russa.

23° episodio: Dal Paradiso all'Inferno
La notizia che ha reso felice Anne purtroppo viene rovinata da una drammatica: Shinobu verrà trasferito nel distretto militare opposto a quello attuale. Lì la vita è più difficile e tutto si complica tremendamente.




RITORNERAI

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Due giovani, belli nell’aspetto e nell’anima, attraversarono i giardini dell’antica residenza del giovane tenendosi per mano, di corsa raggiunsero la spiaggia dove la sabbia veniva lambita dalle acque del mare.

Anne e Shinobu

Lui le scostò i capelli dal viso guardandola come la vedesse per la prima volta. I suoi occhi non erano più gli stessi, ma spenti e tristi, benchè la bocca fosse tutta un sorriso.
Perché?
Anne sapeva, aveva da poco saputo che per forza di cose doveva farsi da parte.
Qualcosa dividerà ben presto i due giovani: un ordine superiore.

Sinobu si sarebbe recato al distretto meridionale di kiushu; in realtà l'ordine non era che il risultato calcolato a freddo di una vendetta organizzata dal colonnello Hinnin, che tempo prima aveva “guerreggiato” con la fidanzata in una locanda di città.
Così ora il tenente dovrà fare le valigie e partire per la gelida Siberia, dove gli inverni sono lunghi e freddi, e potrà scaldarsi solo col pensiero di ritrovare l'amata Anne.

La notte è arrivata, una notte stellata, una notte di luna piena.
Crudele nella sua sfacciata e commovente bellezza.
Lei teneva il capo posato sulla spalla di lui, ad un tratto con l’indice lui le alzò il mento e un casto bacio avvicinò le due giovani e fresche labbra.
Le stelle, la luna e il firmamento ne furono testimoni, commossi e partecipi.
Sembrava che niente potesse spezzare l’incanto. Se solo il tempo si fosse potuto fermare.

Come in un film, lei rivedeva il tempo dei loro primi incontri. Non le importava nulla di quel ragazzo agli inizi, tanto che aveva promesso alla sua amica Tamaki, del quale ne era invaghita, che avrebbe fatto in modo che lui si fidanzasse con lei. Era stata sincera in quel momento.
Ma poi… per ironia della sorte, i tentativi di mandare all'aria i progetti, su di lei avevano avuto effetto contrario.
Il suo temperamento ribelle e fuori dalle righe aveva affascinato sia il suo promesso sposo che i nonni stessi, i quali vedevano in lei la persona ideale per portare allegria e colore in un castello ormai spoglio e desolato.
Col passare dei mesi anche Anne si era resa conto che il ragazzo cui è stata promessa, l'aveva affascinata più di quanto pensasse.
La finta indifferenza che ostentava tempo prima, era divenuta interesse per lui e aveva finito per innamorarsene.

Come farò a sopravvivere senza di lui?
Vivrò di questi istanti e nessuno me li porterà mai via, nemmeno la morte.
Il tuo odore di sole e calore, di vita e giovinezza.
Il tocco umido delle tue giovani e ardenti labbra.
Il sapore salato delle tue lacrime di addio trattenute.
La magia struggente e crudele dell’ultimo sguardo velato di nostalgia.
Una canzone in lontananza che entra dalla finestra socchiusa in una sera d’inverno.
Ognuno dei miei sensi si porta dentro qualche cosa di te, si annullano le distanze.
Nulla è cambiato in me, tutto sembra sospeso nell’attesa, congelato in quell’ultimo istante.

Tornerai.
Non è una promessa, ma molto di più.
E’ quello che hai lasciato dentro il mio cuore trafitto di dolore, invisibile agli occhi di chiunque, ma che mai smette di sanguinare.
Ma io vado avanti. Niente di tutto ciò traspare agli occhi della gente, loro mi vedono come quando correvo cantando spensierata e giuliva in bicicletta per andare a scuola e mi sono scontrata con te.
Non conoscevo l’amore ed ero sicura che mai l’avrei conosciuto.
Tornerai, e anch’io tornerò con te.


Anne
 
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GOLDRAKE VS. MAZINGA

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Appena arrivata a casa, Jun buttò a terra il borsone che conteneva i suoi abiti: con quel gesto rabbioso, parte del contenuto si sparse sul pavimento, ma a lei parve non importare nulla.
Era alquanto arrabbiata, per tutto il viaggio in macchina con Testuya non aveva mai parlato, ma aveva tenuto ostinatamente lo sguardo fisso sul panorama che li circondava.
Dal canto suo, Testuya, dopo averle rivolto un paio di domande senza risposta, aveva gettato la spugna e si era lanciato a grande velocità sulla strada deserta circondata da alte montagne sulla destra, mentre, sul versante opposto, la verde pianura era qua e là bagnata da rare pozzanghere d’acqua.
Aveva una gran voglia di tornare a casa, il malumore silenzioso e ostinato di Jun gli aveva fatto venire una gran nostalgia del suo luogo abituale, del dottor Kabuto e anche… incredibile a dirsi, anche di Shiro, Boss e compagnia.
Erano stati via solo un paio di giorni a causa di un’emergenza: alla Fortezza della Scienza era arrivata una telefonata inaspettata.
«Siamo d’accordo, vi aspettiamo al più tardi domani nel primo pomeriggio, la saluto dottore.»
Il dottor Procton chiuse la comunicazione in presenza di tutti i suoi collaboratori del Centro, compresi Actarus, Alcor e Venusia.
«Come già sapete, gli attacchi dei veghiani si fanno di giorno in giorno più aspri e pericolosi, quindi il dottor Kabuto, col quale ho appena parlato, manderà qui il pilota del Grande Mazinga e la ragazza che lo aiuta nelle battaglie, Jun.»
Tacque alcuni istanti per poi aggiungere: «A quanto pare, il malvagio re Vega ha chiamato alla base lunare il comandante Barendos, affidandogli la missione di distruggere Goldrake e dopo conquistare finalmente la Terra: da soli non possiamo farcela, il TFO di Alcor non ha armi abbastanza potenti e non può intervenire nel caso tu, Actarus, fossi in grave difficoltà.»

Nel frattempo, alla base lunare il nuovo comandante già cantava vittoria davanti agli sguardi increduli e attoniti di Gandal e Hydargos.
«Riuscirò sicuramente nell’impresa che mi è stata affidata dal sovrano, quindi sarò promosso Comandante di Primo Grado Assoluto e voi due dovrete sloggiare! Ah, ah, ah!»
«Questo lo vedremo… ride bene chi ride ultimo…» risposero tra i denti e masticando rabbia repressa i due collaboratori di Vega.
La jeep con a bordo Jun e Tetsuya, si fermò davanti alla grande porta a vetri del Centro di Ricerche Spaziali. Alcor, che li aveva visti per primo, corse loro incontro.
«Ciao, ben arrivati, avete fatto presto!»
«Eh sì, la strada era deserta!» gli rispose Tetsuya tendendogli la mano.
«Per forza era deserta, hai scelto quella piena di buche e avvallamenti, chi vuoi che sia tanto idiota da prendere quella, invece della superstrada!» borbottò Jun, mentre dal portabagagli estraeva la sua roba.
Alcor li accompagnò subito nelle loro stanze, lui, intanto, li precedette nello studio di Procton.
Dopo un breve scambio di vedute con tutti i componenti del Centro Ricerche, i quattro piloti decisero di effettuare un ampio giro di ricognizione per escludere qualsiasi pericolo nascosto dei veghiani.
Tornarono poco dopo il tramonto: sapevano bene che la mancanza di segnalazione di presenze sospette non significava certo che il nemico avesse alzato bandiera bianca.
Il giorno dopo, infatti…
«Appena finita la colazione, vi porterò a fare un giro per tutta la fattoria, poi una bella galoppata tra i boschi, poi…» diceva Rigel nella cucina del ranch.
Aveva riempito la tavola di tutto e di più, intanto continuava a versare caffè nelle tazze dei suoi ospiti non appena vedeva che si svuotavano.
Jun e Tetsuya erano quasi imbarazzati da tutte queste premure, quasi non sapevano cosa rispondere.
Non erano abituati a tutto questo… entrambi orfani, la prima infanzia segnata dalla mancanza di una famiglia vera e, appena ragazzi, subito in campo a combattere, rischiando la vita ogni volta… Nei momenti di tregua, sempre e solo allenamenti massacranti… mai uno spazio per loro; lamentarsi, soffrire, era assolutamente proibito.
In questa fattoria, respiravano un’aria diversa e non era solo l’odore dell’erba appena tagliata, dei mille profumi portati dalla brezza, era qualcosa di impalpabile e indefinito… era quel qualcosa che a loro era sempre stato negato, ma ora Jun sentiva di non poterne fare più a meno, anche se non sarebbe riuscita a tradurre in parole e nemmeno in pensieri tutto ciò.
La radio al polso di Actarus mandò il solito segnale lampeggiante.
«… va bene padre, veniamo subito.»
Gli altri capirono al volo, quindi si alzarono svelti da tavola, Alcor prese la jeep, Jun e Tetsuya salirono dietro, mentre Venusia correva al Centro sulla moto guidata da Actarus: lei voleva essere sempre presente quando si svolgeva una battaglia. Coi suoi grandi occhi dilatati per l’angoscia, seguiva dal video dello studio di Procton la battaglia contro un nuovo mostro veghiano. Aveva paura, ma non voleva trasmetterla ad Actarus e Alcor, anzi, faceva sempre il possibile per incoraggiarli, e molte volte i suoi piccoli ma preziosissimi consigli erano stati fondamentali per la vittoria.
«Dottor Procton, sullo schermo sono comparse tre formazioni di minidischi» lo informò Hayashi, trattenendo a fatica un tremito nella voce.
«Li ho visti. Tu, Actarus, esci subito con Goldrake, intanto Tetsuya e Jun si terranno pronti per intervenire; Alcor, invece, sarà di aiuto per distrarre il mostro che esce sempre una volta che i minidischi sono stati distrutti.»
«Va bene» risposero in coro tutti e quattro i piloti.
Nel cielo turchino pennellato da qualche rara nuvoletta rosa, un gigantesco storno di minidischi avanzò minaccioso, coprendo di scuro l’atmosfera.
Goldrake li distrusse tutti con il maglio perforante, l’alabarda spaziale e i missili: prima che l’ultimo disco esplodesse, ecco materializzarsi il grande mostro di Vega, tutto verde e coperto di punte aguzze.
In quel mentre, arrivarono il Grande Mazinga, pilotato da Tetsuya, e Venus Alfa, guidata da Jun.
Il mostro fu subito circondato, ma non pensò certo a ritirarsi: dai suoi occhi uscirono raggi multicolori che aggredirono subito i tre robot, i quali, per alcuni secondi, furono incapaci di reagire.
Da dietro, il TFO di Alcor sparò alcuni missili sulla testa del robot e, quando questi si distrasse per vedere chi lo aveva colpito, il Grande Mazinga gli piombò addosso con un rabbioso attacco kamikaze.
«Non così, dobbiamo colpirlo tutti insieme» gli gridò Actarus, ma Tetsuya, in risposta, si accanì ancora di più col mostro.
«Io posso farcela benissimo da solo, ho fatto a pezzi robot ben più terribili di questo!» gli gridò con tutto il fiato e l’arroganza che aveva.
«Questo significa solo rischiare la vita inutilmente, se non siamo uniti, è impossibile vincerlo.»
Approfittando di un attimo di difficoltà di Mazinga, Goldrake e Venus Alfa aggredirono il mostro con lame affilate e raggi demolitori; dopo minuti di lotta incessante che a loro parvero interminabili, il tuono spaziale lo ridusse definitivamente in briciole.
Dall’alto del suo TFO, Alcor gridava vittoria, sparando, per sicurezza, qualche altro missile.
Tornarono alla base e, una volta atterrati, Tetsuya apostrofò Jun, guardandola dall’alto al basso, con: «Guarda come sei ridotta, il tuo robot è quasi a pezzi e tutto sporco di fango.»
«Forse non ti sei reso conto di quello che ho passato. Potresti anche ringraziarmi, invece di criticare!»
Lui non raccolse, si sistemò meglio la tuta spaziale, gli occhiali e salì sull’auto.
«Non restate ancora con noi? Procton vuole salutarvi e sarà lieto di avervi ospiti a cena» disse Alcor.
«Salutalo tu per me, a casa ci aspettano, ciao!» disse mentre l’auto era già partita, sollevando nella corsa nuvole nere di gas e polvere.
Tetsuya corse subito alla Fortezza della Scienza per incontrarsi col dottor Kabuto, mentre Jun, nella sua camera, si accinse a scrivere in un quaderno tutto quello che le premeva dentro.

Caro diario,
in questi giorni, tutta la mia vita è cambiata. Non su fatti
esteriori, la rivoluzione è solo dentro di me.
Mi sono resa conto che, fin dalla nascita, ho vissuto ai margini della mia esistenza, sono stata spettatrice e, quelle rare volte che i miei problemi interiori sono venuti fuori, sono stata accusata di stupidità ed egoismo.
La mia razza, il fatto di essere orfana, il colore della mia pelle, mi facevano soffrire, ed era inutile parlarne con le persone più vicine: la loro fredda incomprensione non ha fatto altro che aggravare la mia confusione, stimolare il senso di colpa, perché tardavo a scendere in campo col mio robot ad affrontare il nemico. Non ero una persona, ma una minuscola tessera di un grande mosaico, insignificante, ma necessaria.


Jun posò un attimo la penna e guardò fuori: il prato, gli alberi e il frinire di insetti la riportarono con la mente al ranch Makiba. Le sue labbra si stirarono in un sorriso che veniva dal cuore, perché ora si sentiva una persona, una che vale, che può e deve essere fiera di sé stessa, avere, dare e pretendere rispetto e considerazione da tutti.

Ora sono e mi sento bella… bella dentro e fuori: il colore ambrato della mia pelle mi dona moltissimo, come ho fatto a non accorgermene prima?
Quel ruscello, la cascata, i fiori e gli insetti… eravamo andati a fare un lungo giro insieme agli altri… ho visto riflettersi negli occhi di Venusia lo sguardo di Actarus: ho toccato quasi con mano l’accettazione del proprio essere, il loro modo di guardarsi e guardare tutti, non lasciava adito a dubbi.
Avrebbe guardato anche me allo stesso modo se fossi stata al suo posto e poi… quella premura, il timore che qualcuno di loro potesse correre qualche pericolo… il venirsi incontro, l’aiutarsi in ogni cosa… quel mazzolino di fiori di campo in mano e una primula dietro l’orecchio.

Anche se non l’ho visto, sono certa che nessuno di loro si snerva in allenamenti massacranti al di sopra delle proprie forze, nessuno opprime o svilisce l’altro…

La ragazza smise di scrivere, mentre lo sguardo appannato da un velo liquido andava oltre l’orizzonte.
Si alzò, aprì l’armadio decisa a fare ordine: buttò a terra vecchi abiti che le ricordavano tristi episodi, quelli troppo scuri e senza forma e li mise tutti dentro un sacco.
«Più tardi andrò a buttarli e comprare cose diverse. Da oggi inizia una vita nuova: la vecchia Jun è morta, ora quella che è sembra rimasta in ombra e dietro il sipario è sulla scena. È pronta a riscrivere tutta la sua vita… se ne accorgeranno tutti… e dovranno accettarmi e rispettarmi come sono» disse a voce alta, con un gran sorriso che le veniva dal fondo del cuore; sul davanzale, l’allegro cinguettio di un pettirosso diede approvazione alle sue parole.


FINE
 
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view post Posted on 15/8/2023, 12:17     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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COLPI DI SCENA

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New York: in una giornata di freddo intenso e pungente, dopo mesi e mesi di rimandi, impicci e ostacoli di vario genere, Candy e Terence finalmente si incontrarono. Camminando l’uno accanto all’altra di buon passo sotto la neve, lei parlò al giovane attore della sua vita e del lavoro di infermiera che amava molto, benchè l’affaticasse.
Terence ascoltava con aria assente, quasi si trovasse in un altro luogo. Una volta giunti davanti all’albergo prenotato per Candy, la lasciò sulla soglia frettolosamente, col pretesto di dover correre a teatro per le prove.
“A presto Candy. Scusa se non ti accompagno dentro, ma vado di fretta, il dovere mi chiama. Immagino sarai stanca del viaggio, riposati.”

Rimasta sola, la giovane pensò a quanto fosse bello per lei essere finalmente a New York in compagnia del suo Terence, ma al contempo avvertì qualcosa di stonato in lui… e anche in sé stessa, ma non riuscì a mettere a fuoco queste strane e nuove sensazioni.
Aveva subito notato che gli occhi del ragazzo tradivano inquietudine ed erano sfuggenti. Mentre la osservava, un velo opaco gli appannava lo sguardo, non era brillante né ironico, nessuna battuta spiritosa, non sapeva come definirlo, mai lo aveva visto così.
I suoi pensieri vennero interrotti da un discreto bussare alla porta. La voce gentile di una cameriera, le chiedeva se nella stanza mancasse qualcosa: per la cena sarebbe scesa nella sala comune o preferiva mangiare in camera?
“Grazie, ma prima sistemo le mie cose nella stanza, poi esco. Sono stata invitata, credo mangerò fuori.”

--------------------------------------------------------------------------------------------------

In teatro la prova generale era appena terminata.
Rientrando verso casa, Terence pensò alle osservazioni che gli aveva fatto il regista e la sua collega Karen: il suo grado di recitazione non è stato ai livelli delle altre volte.
“In alcuni momenti sembravi distratto e quasi assente; un attore non può permettersi questo, ricordalo”, gli fece notare la ragazza.

Il suo confuso stato d’animo era dovuto al fatto che non aveva ancora trovato il momento giusto per parlare a Candy di quanto successo a Susanna, del suo tragico incidente, anche se sapeva che prima o poi avrebbe dovuto informarla. Non doveva assolutamente venirlo a sapere da altri.

Una volta giunto al suo appartamento, Terence vide una lettera sotto la porta.
In poche ma taglienti righe, la madre di Susanna lo rimproverava di non essere andato a trovare la figlia.

… Susanna si è molto agitata per la tua assenza, sai bene che nel suo stato non può permettersi sbalzi di umore causa le tue promesse non mantenute…

Il giovane si recò di corsa all’ospedale; già in fondo al corridoio intravide la sagoma della signora, la quale si torceva le mani in modo agitato.
“Finalmente sei qui. Mia figlia non sopporta a lungo la tua assenza, lei può riprendersi solo grazie a te. Non lasciarla sola… ricorda che ti ha salvato la vita… perché ti ama.”
Dopo queste parole, la signora uscì discretamente dalla camera silenziosa come un gatto.

“Ciao, Terence” sussurrò la ragazza dal suo letto d’ospedale. Il suo viso era triste e malinconico, mentre il suo sguardo tradiva rabbia e determinazione.
“Candy è arrivata?”
“Sì, proprio oggi.”
“E’ una ragazza fortunata. Lei può camminare, è amata da te… io non ho più niente” concluse infine con voce incrinata dal pianto, nascondendo il viso tra i cuscini.
Lui le prese mano, e rimase con lei fino all’ora in cui doveva recarsi in teatro e prepararsi per lo spettacolo.
La prima persona che incontrò fu Karen, la quale avrebbe recitato la parte di Giulietta al posto di Susanna. Si recarono sul palco deserto, e di comune accordo provarono alcuni brani importanti e a tratti ostici. Non potevano permettersi passai falsi, dovevano dare il meglio.
Più di una volta, Terence si sorprese a confondere Karen con Susanna, e nei momenti di passione e tormento, sentiva qualcosa di strano agitarsi nel suo animo. Affetto, riconoscenza… o cosa?
Era stata una recita, o qualcosa di reale? Il pubblico era sempre entusiasta, la stampa scriveva articoli molto lusinghieri sul giovane attore e la bella Susanna.

Candy si recò a teatro con un certo anticipo. Era molto elegante e con una raffinata acconciatura. Ebbe modo di ammirare la grandiosità del luogo: non era mai stata in un posto simile, e si sentiva alquanto impacciata e intimorita.
Sostò nel lungo corridoio vicino al guardaroba, e in quel mentre sentì alcune signore conversare tra loro.
“Questa sera non sarà la Marlowe a recitare, lo sapete vero?”
“Poveretta, ha avuto un tragico incidente; questo per salvare la vita a Terence Granchester durante le prove.”
“Dicono che nel tempo libero lui le stia sempre accanto, almeno una volta al giorno va a trovarla in ospedale. Eh, per forza! Si sentirà certo responsabile per ciò che le è capitato.”
“Susanna è innamorata di lui, lo dicono tutti.”

Candy si sentì vacillare, si sforzò tuttavia di mantenere un certo contegno e si avviò a piccoli passi in platea per prendere posto.
Finalmente lo spettacolo ebbe inizio: un lungo scroscio di applausi mitigò le prime battute del celebre dramma di Shakespeare.
Mano a mano che la prosa andava avanti, la giovane vide a tratti come in un film il suo primo incontro con Terence sulla nave per Londra, le sue battute pungenti, gli scherzi, i nomignoli che le affibbiava, gli sguardi ironici e beffardi. Quando però aveva avuto bisogno di lei, eccolo diventare gentile e disponibile, come quella notte in cui lei era uscita di nascosto dal collegio per comprargli una medicina, dato che non stava bene.
Nel suo cuore, una crepa invisibile e appena percettibile si stava facendo largo.
Fino a poche ore prima aveva sognato una vita accanto a lui… ma ora? E del suo lavoro che ne sarebbe stato? Una volta sposata avrebbe dovuto lasciarlo, ma era il suo scopo nella vita, impensabile per lei rinunciare a qualcosa che la faceva sentire realizzata e indipendente.
Fuggevoli immagini di attrici che si infilavano nel suo camerino per una breve avventura, lui che tornava a notte fonda dopo lo spettacolo e una bevuta con gli amici, il muro di indifferenza e distacco che poco alla volta si sarebbe alzato tra loro.
Ancora riaffioravano episodi sgradevoli ai tempi del collegio di Londra. Lui che canzonava il suo dolce Antony perito così tragicamente durante una battuta di caccia, la sua passione per le rose, il loro dolce e puro sentimento. Solo per un suo personale egoismo l’aveva obbligata a disfarsi del suo ricordo e del trauma che lei aveva vissuto. Quella folle corsa a cavallo nel tentativo di farle superare lo shock, era stata violenza allo stato puro. Quel bacio rubato sulla riva del lago, per molto tempo l’aveva vissuto come un’offesa.
La verità era che Terence aveva bisogno di Candy perché era dolce, solare, molto generosa e accogliente. Sapeva ascoltare, dimenticava le offese e non negava a nessuno una parola di conforto, un aiuto anche a costo di mettersi nei guai.

Mentre la commedia volgeva al termine, Candy sentiva che in quelle poche ore era cresciuta di almeno dieci anni. Di certo lei e Terence non erano fatti per stare insieme, ora ne era più che sicura.

Non posso permettermi nuovi dolori, ho già sofferto abbastanza in tutta la mia vita

Si alzò decisa dall’ampia poltrona di velluto scarlatto, prese un foglio e scrisse:

Ciao Terence,
nella tua parte di Romeo sei stato eccezionale, ti auguro tanto successo, sei nato per fare l’attore.
La vita non è una recita, ora so per certo che non abbiamo niente in comune. Torno alla mia casa e al mio lavoro, abbi cura di te.

Candy


Diede il biglietto al custode, pregandolo di metterlo nel camerino del signor Granchester, il quale lo lesse alcune ore dopo.

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Terence osservava Susanna stesa sul letto in quella immensa stanza d’ospedale.
Da poco le avevano amputato una gamba, e chissà quando sarebbe potuta tornare a casa.
Con gli occhi della mente si rivide in quel giorno, sul palcoscenico, quando un riflettore stava per crollargli addosso. Lei, con una forza che non credeva possibile in una ragazza così esile e delicata l’aveva spinto lontano, era caduta ed era rimasta gravemente ferita.

Sentiva di amarla come mai aveva amato nessuna, un amore totale e senza riserve. Maturo, consapevole, sensuale e spirituale insieme, un sentimento che lo trasformava da ragazzo impetuoso ed instabile, in un vero uomo.
Quei capelli biondi sembravano di seta pura, allungò una mano e glieli accarezzò dolcemente.
“Oh, amore…” sussurrò lei lusingata e imbarazzata al tempo stesso.
“Cara… sono qui con te… niente e nessuno potrà mai separarci.”
“Mi sembra un sogno. Io e te insieme” disse lei prendendogli la mano con delicatezza.

Che ragazza dolce! Com’era buona e generosa! Aveva creduto che lui amasse Candy, e per non ostacolare il loro presunto amore aveva tentato il suicidio.
Terence chiuse gli occhi. Non voleva pensare che ne sarebbe stato di lui se non si fosse salvata. Sarebbe morto con lei, questo era certo. Il suo cuore non avrebbe retto al dolore di fronte ad una perdita così importante.

“Siamo stati creati l’uno per l’altra, non lo pensi anche tu, cara?”
“Io… oh, certo! Ma ho sempre avuto paura di non piacerti e ho fatto di tutto per strapparti dal mio cuore, sebbene sia stato uno sforzo vano”, sussurrò mentre i grandi e dolci occhi celesti si velavano di lacrime.
“Ma cosa dici” mormorò lui con voce rotta per l’emozione.

Ripensò ai mesi in cui aveva frequentato Candy e con gli occhi della mente rivide molte scene: il loro primo incontro sulla nave, il collegio, le vacanze in Scozia. Aveva da subito provato per lei una certa attrazione, non sapeva spiegarsi bene in cosa consistesse, ma gli piaceva frequentarla.
Ora lo sapeva di cosa si trattava: niente meno che una cotta tra adolescenti, di quelle che iniziano con lo sbocciare dei primi germogli e finiscono sepolte sotto uno spesso manto di foglie autunnali. Il gelo e la neve che poi arrivano, spengono del tutto quella lieve fiamma per sempre.

Terence si scosse da quelle fantasie e guardò Susanna. Benchè invalida, lui avrebbe fatto di tutto perché lei continuasse a recitare, il suo era un talento troppo grande. Sapeva che c’era il modo, aveva consultato un grande luminare e gli aveva detto che ormai la scienza aveva fatto passi da gigante, era in grado di procurarle una gamba di materiale flessuoso, in modo che lei avrebbe potuto col tempo tornare a camminare come prima.
A quella notizia aveva pianto di gioia, era corso a dirglielo e per la prima volta si erano baciati.
“Susanna!”
“Si?”
“Mi vuoi sposare?”
“Oh, Terence!” mormorò intravedendo la sua immagine attraverso un velo liquido.


E’ notte e ti guardo dormire, ma tu non lo sai.
E' così bello poterlo fare, starti vicino, amarti, aiutarti.
E' così bello poter ridere con te, piangere se necessario, vederti diventare ogni giorno più forte, più sicura.
Sono fortunato, perchè non ti ho perduta, sei viva grazie a Candy, quella ragazza che per il tempo di un pomeriggio di fine estate ho creduto di amare. Ma l’amore vero sei solo tu, ora lo so.
Tutto sarebbe diverso senza di te, le cose, la vita, i pensieri.

A volte mi sento ancora in colpa, perchè non avevo saputo proteggerti, né capire il tuo dolore.
Ti avevo lasciata sola. Oh, Susanna, che errore imperdonabile!
E invece ora sei qui, insieme a me, come un miracolo, un dono, il regalo più bello e inaspettato.

Una gioia immensa che mi è stata data, quando ormai non pensavo più di poter provare gioia.

Una felicità meravigliosa, quando non credevo più di poterne avere.

Non sono bravo con le parole, avrei dovuto dirtelo di persona, ma tu mi conosci, sai che non è facile per me far capire i miei sentimenti.

Così ti scrivo, anche se non avrò mai il coraggio di farti leggere nulla.

Sembri un angelo, la più bella creatura del mondo, la più dolce, una perla rara.

Ho timore ad aprirmi.

Guardandoti sto cambiando. Me lo stai insegnando tu, con tua gioia di vivere nonostante quello che hai passato. Sei forte, bella, buona, generosa e sensibile.

Sei speciale, e tutti se ne sono accorti.
Il futuro mi sembra un sogno adesso, non più un incubo, tutto mi pare possibile, perchè mi hai dato nuova forza. Non credevo di meritare una simile gioia.

Restiamo insieme per sempre, per tutta l’eternità del mondo.


FINE



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