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Racconti a più mani per la Cronologia: VEGATRON, Amon114,Isotta72,Runkirya

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isotta72
view post Posted on 13/4/2010, 10:00     +1   -1




Postiamo di seguito l'intero racconto a quattro mani di Amon114 e Isotta72


VEGATRON
AMON114 E ISOTTA72 PER GONAGAINET


Per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=47146364




Prima parte:Il Patto del Centauro

Fleed
Costellazione della Croce del Sud
Nebulosa del Centauro
Anno Fleediano 104


Mancava poco ad Altair2: entro qualche minuto la navetta sarebbe atterrata accanto al Palazzo Reale del pianeta alleato, il Consiglio si sarebbe riunito nel pomeriggio, e forse entro sera tutto sarebbe finito.
Alcaesar , Re di Fleed, sapeva di essere uno dei maggiori candidati alla carica di Imperatore, ed ora man mano che si avvicinava all'atmosfera di Altair2, si sentiva sempre più sotto pressione.
Da anni la nebulosa viveva in un clima di pace e prosperità.
La rivalità tra i vari pianeti che nei secoli precedenti ne aveva incrinato la crescita e lo sviluppo era stata completamente annullata grazie al patto interstellare scritto un secolo prima dal suo bisnonno Sigurur di Fleed.
Il patto chiamato Primo Statuto del Centauro venne sottoscritto da tutti i sovrani della nebulosa e da allora nessuno lo aveva mai infranto.
Questo Statuto sanciva regole di collaborazione e convivenza tra le genti, oltre a definire organi governativi trasversali ai vari pianeti che avevano il compito di legiferare in tal senso.
Il Grande Consiglio Centrale, formato dai rappresentati di tutti i governi della nebulosa, aveva il compito di scegliere un Imperatore che per un periodo di cinque anni si impegnava a garantire la pace e l'uguaglianza tra i popoli, mantenendo l’equilibrio e la stabilità, e garantendo la collaborazione tra le genti della nebulosa, evitando pericolose prevaricazioni.
L’imperatore doveva fare in modo che tutti i popoli avessero le stesse possibilità di sviluppo, organizzando un mutuo scambio di risorse e conoscenze, e aveva quindi la funzione di organo governativo interplanetario, ma non poteva interferire nelle questioni interne di ogni singolo pianeta, che era libero di amministrarsi in totale autonomia.
La Galassia del Centauro era vastissima, e ci volevano mesi di viaggio per spostarsi da un capo all’altro.
La Costellazione della Croce del Sud, posta al centro della Galassia, era la culla delle due civiltà più avanzate dell’intera nebulosa: Fleed ed Altair 2, poste su orbite concentriche attorno ad Acrux, la stella bianca della Costellazione.
Al di fuori di essa, numerosi pianeti abitati avevano sviluppato in maniera indipendente le loro economie e le loro organizzazioni politiche.
I primi viaggi intergalattici, all’epoca di Sigurur, avevano dato enorme impulso alle comunicazioni ed ai collegamenti tra le genti, complicando inevitabilmente il tessuto delle relazioni.
Lo Statuto aveva permesso di sfruttare l’enorme potenzialità di questa situazione, eliminandone d’altro canto i rischi, e diventando un evento di tale importanza, che su Fleed l’anno di sottoscrizione dell’accordo divenne l’”Anno Fleediano Zero”, a partire dal quale si ricominciò in tutta la nebulosa a misurare lo scorrere del tempo.

Il Re di Fleed era assorto nei suoi pensieri.
Sarebbe stato all'altezza di quel gravoso compito?
Un cicalio lo fece trasalire, un uomo in uniforme gli si avvicinò, annunciando con un inchino:
“ Siamo arrivati Sire. Tra due minuti entreremo nell'atmosfera”
Alcaesar ringraziò con un gesto della mano, si adagiò meglio sul sedile e si allacciò la cintura.
Strinse la mano di Lenia, che non gli staccava gli occhi di dosso dal momento della partenza.. chissà quanto gli aveva frugato nei pensieri.. e svegliò Duke con una carezza, si era addormentato con il capo sulle sue ginocchia.

"Ci siamo" pensò tra sé e sé.



Anno fleediano 105

Osservava il mare in burrasca dalla vetrata del suo studio.
Il retro del Palazzo Reale si affacciava direttamente sull’Oceano Meridionale.
L’altra facciata dava sulla più grande e trafficata piazza della Capitale, che brulicava di vita.
Sorrise.
Il Palazzo sembrava la metafora del pianeta, che aveva raggiunto un equilibrio invidiabile tra progresso e rispetto dell’ambiente.
Fleed stava vivendo il decennio di maggior crescita di tutti i tempi, e la sua elezione ad Imperatore ne aveva aumentato il peso all’interno dell’intera Galassia.
Da tre generazioni ormai il Centauro non conosceva guerre, e il lungo periodo di pace aveva consentito a tutti i pianeti abitati di raggiungere un incredibile livello di sviluppo.
Il suo pianeta era stato baciato dalla fortuna: una felice combinazione tra raggio e forma dell’orbita, distanza dal sole, composizione del terreno, avevano reso quella terra incredibilmente fertile e vitale..
Le lunghe giornate di 30 ore, che permettevano un’enorme irradiazione, le due stagioni che si alternavano in maniera quasi impercettibile, lasciando un clima mite ed una temperatura costante per tutto l’anno..
Lo spirito vivace della sua gente aveva nei secoli oculatamente sfruttato tutte le potenzialità offerte da quella terra meravigliosa.
La sua era una responsabilità enorme.
A lui e alla sua discendenza il compito di far durare questo stato di grazia il più a lungo possibile.


(..)

Anno fleediano 105, un mese dopo:


Sentì le sue braccia cingergli la vita.
“Come si sente, oggi, il mio sovrano?”
Lui si girò e le baciò le mani.
“Splendidamente, mia Regina..”
“Hai risolto il problema delle miniere di Vegatron?” Gli chiese accigliandosi.

Lenia era la sua migliore consigliera. Originaria del pianeta Helios, era dotata come tutti i membri della sua famiglia di poteri e.s.p. con cui aveva dovuto prendere le misure velocemente, e che erano un’incredibile risorsa per lui e per la sua gente.

A preoccuparlo erano le colonie disabitate ai limiti della nebulosa.
Il bellicoso sovrano di Vega le aveva occupate senza aspettare la delibera del Grande Consiglio Centrale.
Le colonie erano poco più che grossi asteroidi deserti, ma ricchissime di giacimenti di Vegatron, un prezioso minerale radioattivo, che poteva essere utilizzato in campo medico, energetico o bellico, anche se il suo sfruttamento era frenato dall’enorme pericolosità del minerale.
Gran parte della produzione di energia all’interno della nebulosa si basava sul suo impiego, ma l’estrazione proseguiva con lentezza a causa delle enormi precauzioni che andavano messe in campo per evitare pericolose e mortali contaminazioni.
Il suo utilizzo doveva sottostare a regole severissime, per evitare l’inquinamento dell’ambiente.
Da alcuni anni ormai Fleed ed Altair2 erano impegnate nel tentativo di realizzare una nuova forma di energia, a basso impatto ambientale e disponibile su larghissima scala, per eliminare completamente il ricorso a quella sostanza radioattiva.
Era già stato raggiunto un importantissimo risultato, che aveva avuto risonanza nell’intera Galassia: la sintesi in laboratorio di una lega metallica incredibilmente resistente, chiamata Gren. I primi esperimenti effettuati negli acceleratori di particelle di Fleed, dimostravano che in particolari condizioni e se opportunamente trattata attraverso la stimolazione fotonica questa lega diventava una potentissima fonte di energia.
Il Gren poteva essere sintetizzato in laboratorio, su larga scala e senza produzione di scorie. La ricerca in campo energetico era ormai vicina ad una svolta.

Vega si trovava ai confini meridionali del Centauro, ed era vissuto da sempre isolato dal resto della Galassia: un rigido e feroce regime militare lo poneva in aperto contrasto con le altre popolazioni. I civili vivevano nella più totale sottomissione ed erano privi di qualunque diritto: l’ignoranza e l’isolamento del suo popolo erano armi al servizio del suo potere. Gran parte delle risorse economiche del pianeta venivano destinate alla ricerca in campo bellico e all’addestramento dell’esercito.
Lo Statuto disciplinava anche la dotazione di armi all’interno della nebulosa, ed il sovrano di Vega si era sempre adeguato con riluttanza alle limitazioni imposte dal Consiglio, cercando ogni volta delle scappatoie nei cavilli regolatori.
Le sue mire espansionistiche ora preoccupavano Fleed e gli altri pianeti della Galassia: aveva occupato le miniere, inviandovi migliaia di civili per estrarre il minerale radioattivo.
Anche se Vega riusciva a mantenere il più totale segreto sulle sue attività, si sapeva per certo che i condannati al lavoro in miniera morivano come mosche dopo atroci sofferenze, e che i ricercatori militari avevano già realizzato le prime armi a base di raggi Vegatron.
Nessuno però era ancora riuscito a raccogliere delle prove che lo inchiodassero di fronte al Consiglio.

“Ora libera la testa, per un minuto soltanto”, mormorò Lenia appoggiando il capo sul suo petto.
Gli prese una mano e la appoggiò sul grembo.
“Davvero? E’ così? “ chiese Alcaesar con trepidazione.
Lei lo guardò negli occhi, ed annuì sorridendo.
Duke aveva già undici anni, e ormai stavano perdendo le speranze per un secondo erede..


Anno Fleediano 109

“Come hanno potuto!” un forte pugno colpì la scrivania “Quegli stolti! Come si fa ad essere cosi stupidi!”
“Calmati Julius..”
“Calmarmi? Come posso calmarmi dopo quanto è successo? Ti rendi conto Alcaesar? Ti rendi conto che abbiamo appena lasciato il governo dell’intera nebulosa nelle mani di un pazzo guerrafondaio? Hai una vaga idea delle possibili conseguenze?”
Il Re di Fleed scosse la testa: condivideva pienamente le preoccupazioni del suo amico Julius Gaalar. Certe volte l’irascibile ed istintivo Re di Altair2 tendeva ad ingigantire le cose, ma forse ora aveva ragione..
Una cosa era chiara: l’ingerenza di Vega era cresciuta a dismisura in quegli anni.
E lui gli aveva offerto il fianco.
Era riuscito a manovrare l’intera nebulosa..
La notizia dell’invasione del pacifico pianeta Baar 7, raso al suolo nel giro di una notte da un misterioso e spietato invasore, aveva turbato gli animi di tutte le popolazioni, gettando i pianeti più vicini ai confini della nebulosa, e quindi più esposti, letteralmente nel panico..
Era vero: anni di pace e di benessere li avevano resi vulnerabili.
Si erano maledettamente rammolliti.
Vega aveva continuato a soffiare sul fuoco, giocando sulla debolezza difensiva della nebulosa, sul fatto che lui fosse l’unica possibile barriera protettiva.
Ogni altra questione era passata in second’ordine, compresa la sua occupazione delle miniere di Vegatron, che anzi veniva ora vista di buon occhio da una parte del Consiglio, che premeva perché Vega completasse il proprio apparato bellico.
L’astuto sovrano aveva esplicitamente chiesto di potersi avvicinare al centro del Centauro, per poter collaborare in maniera più efficace con la Costellazione della Croce del Sud.
Era stato costretto a consentirgli l’installazione della base sulla Luna di Fleed: tirarsi indietro sarebbe stato letto come un gesto ostile nei confronti del Consiglio.
Sarebbe stato in contrasto con i principi dello Statuto.
Voleva controllarli, a lui era chiaro.
Voleva la tecnologia e le conoscenze scientifiche della Costellazione.
Da quel momento la sua influenza era aumentata senza sosta.
Aveva lavorato subdolamente su alcuni membri del Consiglio, era riuscito a far sostenere la propria candidatura, affiancandola a quella di Julius, ed alla fine aveva vinto: Vega era il nuovo Imperatore della Galassia del Centauro..rabbrividiva ancora all’idea.

“ Julius” gli disse esercitando tutto il suo autocontrollo
“Scaldarti così tanto non serve a niente. Il Consiglio ha scelto in base alle attuali esigenze della nebulosa, ed oggi purtroppo..”
“ Menzogne!” lo interruppe bruscamente “ Sono solo menzogne, amico mio. Tu lo sai benissimo. Hai guidato perfettamente il Centauro in questi anni, sei stato il miglior reggente che la nebulosa abbia mai avuto. Hai organizzato spedizioni esplorative, non hai tralasciato nessun aspetto. Sai benissimo che non c’è nessuna minaccia..”
“ La distruzione di Baar 7…”
“ No Alcaesar. Non tu. Sappiamo perfettamente che è stato tutto un piano di Vega”
Il Re di Fleed scosse la testa, si spostò con un gesto il mantello dalla spalla e si girò con espressione greve verso l’amico.
“ Julius!” gli appoggiò le mani sulle spalle “ So che potresti aver ragione, ma queste sono solo congetture, amico mio, non abbiamo nessuna prova, e se questi sospetti giungessero alle orecchie di Vega gli daremmo il pretesto per attaccarci. Non possiamo tenergli testa, almeno non ancora.”
L’amico rimase a bocca aperta.” Cos’hai in mente? Cosa intendevi con -non ancora- ?”
Sul volto del Re di Fleed si aprì un grosso sorriso: ” Finalmente ci siamo riusciti!” esclamò.
Julius lo guardava con aria sorpresa continuando a non capire.
“ Una nuova fonte di energia, estremamente più potente,e soprattutto totalmente pulita. “ ammiccò il sovrano di Fleed.
“ Il Photoquantum, Alcaesar, ci siete riusciti. Non posso crederci!” Julius era esterrefatto: il Generatore a Photoquantum era diventato realtà. In tutti quegli anni, tutti i tentativi di sviluppare e gestire questa nuova fonte energetica, ottenuta dal Gren, erano risultati vani, proprio per l’enorme instabilità di questa energia.
“ Si Julius, ce l’abbiamo fatta. Il generatore è stato ultimato. E’ stabile.”
Il Re di Fleed era gonfio di orgoglio .
“ Fantastico: il generatore, unito alla lega Gren, ci apre la strada verso il nostro progetto, il nostro sogno di sempre!” I due amici si abbracciarono.



(..)

“Ancora una notte insonne?” chiese Alcaesar, stringendola in un abbraccio, sotto le coperte.
Lenia sospirò.
“Sono anni, ormai, che questa storia va avanti..” mormorò la Regina
“C’è qualcosa, come una sensazione dolorosa. La distinguo chiaramente.. e mi disturba.”
Le baciò i capelli.
“Sono sicura che i vostri sospetti siano fondati.. “ continuò Lenia “che l’attacco a Baar7 non sia opera di invasori esterni al Centauro, che sia venuto da dentro, da Vega..”

Lui la interruppe: ”Non c’è alcuna prova di questo, Lenia, ascolta, non può essere suggestione, la tua? L’insistenza di Julius..ormai non parla d’altro, ne è ossessionato..”

“Julius non centra nulla, non sono così debole, e mi offende, questa tua considerazione. Qualcuno sta cercando di mettersi in comunicazione con me, qualcuno che soffre, che vuole disperatamente dirmi qualche cosa.. “

Sentirono strattonare le coperte. Era Maria, anche lei da qualche tempo era vittima di incubi frequenti, e si rifugiava di tanto in tanto nel grande letto dei genitori.


Seconda parte: l’ago della bilancia

(...)

Gli occhi profondi e intensi del suo amico erano puntati su di lui e ne sentiva il peso, la loro luce trasmetteva ad Alcaesar un senso d’inquietudine: sapeva che il suo istintivo, sospettoso amico aveva ragione, ma lui non poteva, non voleva tenere segreta l’esistenza del Photoquantum.
In tutti quegli anni, da quando era stato sottoscritto lo Statuto del Centauro, il pianeta Fleed aveva tenuto nei confronti della nebulosa e del Consiglio un atteggiamento di massima chiarezza ed onestà.
Quel glorioso patto che aveva trasformato un’ instabile nebulosa in una federazione di popoli pacifici ed avanzati si basava soprattutto sulla correttezza e sulla trasparenza.
No. Non sarebbe venuto meno a quel principio, non lui, non lo avrebbe fatto mai..
“Ho preso la mia decisione Julius,non tradirò il patto. “ gli aveva comunicato con fermezza.
“ Pazzo, sei un irresponsabile! Se non vuoi credere a me, almeno ascolta tua moglie! Non puoi ignorare i fatti. Non puoi consegnarci tutti nelle mani di quel tiranno. Non puoi!”

“ Calmati Julius. “

Il sovrano di Altair2 lo afferrò per le spalle stringendolo con forza.
“ Dobbiamo costruire armi. Armi potentissime,che ci permetteranno di contrastare quel tiranno. Ha inscenato l’attacco per rompere il limite sulla potenza del suo arsenale, e farsi eleggere Imperatore.
In più domani arriverà sulla tua Luna, si insedierà proprio al centro della nebulosa. È chiaro come il sole, Alcaesar, sta muovendo tutte le sue pedine, presto pagheremo questi errori. Lo capisci,vero?”

In quello stesso istante il giovane Duke entrò nella stanza.
Alcaesar di Fleed posò lo sguardo sul suo primogenito.

“ Ho un piano Julius. Ho un piano..” disse con lo sguardo fisso sul ragazzo..

Il suo amico lo guardò esterrefatto, aveva già visto quella luce negli occhi del Re di Fleed, la conosceva fin troppo bene .
“ Costruirò un’arma, ma sarà lui a chiedermela.”

“ Cosa? Come intendi…ah..lascia stare, non capirò mai le tue strategie, sei troppo raffinato per me! ”
Julius poggiò di nuovo le mani sulle spalle dell’amico
“Ma fido di te, lo sai. Io mi fido di te ciecamente”

(..)


Il re di Fleed si tolse il mantello, lo piegò e lo appoggiò su una delle poltrone della Sala del Consiglio.
Tutta la tensione e lo stress accumulati in quegli ultimi giorni lo avevano messo a dura prova, ma ora tutto era finito, il suo piano aveva avuto successo,poteva finalmente rilassarsi un pò.
Si lasciò cadere sulla poltrona e con la coda dell’occhio diede uno sguardo all’uomo che aveva cambiato la sua vita e forse lo stesso destino di Fleed.
Jarn, Conte di Telja, era una delle menti più brillanti di tutto il Centauro: era stato lui a rendere possibile la realizzazione del generatore al Photoquantum, e non solo.
La sua acuta e accurata illustrazione sui benefici e sul potenziale del nuovo generatore era stata fondamentale per la buona riuscita del piano. Aveva saggiamente sparso qua e là bocconcini golosissimi sulle possibili applicazioni belliche del generatore, sul recupero di efficacia e aumento della potenza di qualunque arma che lo avesse installato al posto dei tradizionali reattori al Vegatron.
L’esca era stata lanciata splendidamente. E l’Imperatore aveva abboccato alla grande!
Il giovane scienziato era ancora seduto al suo posto, attorno all’enorme tavolo ovale della Sala, curvo sul progetto consegnatogli da uno degli scienziati di Vega: un robot meccanico, una delle armi più potenti dell’arsenale veghiano.

Alcaesar di Fleed con un colpo di tosse attirò la sua attenzione.

“ Caro Jarn! So di averlo già fatto più volte, ma non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto. Se Fleed e il Centauro hanno ancora una speranza di evitare la catastrofe lo devono soltanto a te.
Grazie Jarn, grazie a nome di tutti.”

“ Maestà.. non credo di aver fatto niente di eccezionale oggi: ho solo illustrato il mio lavoro,come lei mi aveva detto di fare,nulla di più. Anzi sono io che ringrazio lei per aver creduto fin dall’inizio al mio progetto, quando tutti mi davano per pazzo”

“ Genio e follia, caro Jarn, non è forse questo il connubio perfetto?” Rise il Re.

“ Scusi la mia insolenza, Sire, ma vorrei togliermi una curiosità.”

“ Chiedi pure,amico mio!”

“ Ecco…Perchè ha voluto che inducessi Vega a chiedermi di costruire un’arma, quando avrebbe potuto benissimo farlo lei?”

“ Le condizioni Jarn . Se avessi commissionato in prima persona la costruzione di un’arma ed avessi sottoposto il progetto al Consiglio per l’approvazione, sicuramente Vega avrebbe posto le sue condizioni.
In questo modo .. lui l’ha chiesta, io ho potuto porre le mie pilotando il Consiglio.“

“Politica..uhm..mi scusi Maestà, ma non la capirò mai.” Disse Jarn, passandosi una mano sui capelli.

“ Và benissimo così. Io non capisco nulla di robot, d’altro canto..So che farai un grandissimo lavoro.”

“ La ringrazio per la fiducia,Sire: costruirò il robot più potente mai realizzato. L’arma definitiva, un gigante di Gren alimentato con la più potente fonte di energia esistente. Sarà grandioso!”
“ Ne sono certo Jarn. Ne sono certo.. Ti brillano già gli occhi!” disse prendendolo sotto braccio ed accompagnandolo fuori dalla Sala.

(…)

Jarn Di Telja lavorava ormai da mesi alla realizzazione del progetto : la costruzione del robot e del disco non costituivano un grosso problema per lui.
Aveva studiato attentamente i progetti delle macchine da guerra veghiane ed era riuscito a carpirne i segreti. Unendoli al Gren ed al generatore ne sarebbero scaturiti livelli e prestazioni molto superiori.
C’era solo una cosa che lo preoccupava: la richiesta del Re.
Alcaesar voleva la realizzazione di una sorta di sinergia celebrale tra il robot ed il pilota. Quella richiesta non lo faceva dormire la notte.
Il Re aveva ottenuto dal Consiglio di poter mantenere il controllo dell’arma su Fleed, e un comando che si basasse sulla sinergia cerebrale avrebbe impedito a chiunque, se non ai piloti abilitati, di utilizzare l’arma.
In linea teorica si potevano sfruttare i poteri esp posseduti da una certa porzione della popolazione, fenomeno ormai ampiamente conosciuto, per stimolare in qualche modo i circuiti di controllo della macchina: qualche semplice prototipo già esisteva, ma tradurre le onde cerebrali in un software era l’enorme scoglio che non riusciva a superare.

Era notte fonda e nel laboratorio non c’era più nessuno ormai da diverse ore: tutti gli altri ingegneri erano tornati nelle loro case e solo lui era rimasto a meditare sul progetto.
Ebbe una strana sensazione, come di essere osservato..
Un rumore di passi nel corridoio: un ragazzino sui dodici anni, biondo con gli occhi di un rosso cupo e dal viso imbronciato si fermò sull’ingresso.
“ Dogar! “esclamò Jarn “ Cosa ci fai qui! Come mai non sei a casa? Mi hai quasi fatto venire un infarto!”
“ Ho fatto un sogno papà. un bruttissimo sogno..”
Dogar era il suo unico figlio e Jarn si sentiva in colpa nei suoi confronti: lo lasciava troppo tempo solo e dopo la morte della madre il ragazzo era diventato insicuro, fragile, e lui, con il suo lavoro, era troppo spesso occupato.
Sua moglie Giexa di Yu era morta tre anni prima, accidentalmente contaminata dal Vegatron.
Jarn aveva molto sofferto per la sua perdita, e da allora aveva messo anima e corpo nella realizzazione del generatore.
Nessuno avrebbe più fatto la fine della sua povera moglie. Nessuno.
Guardò il suo piccolo, la sua aria spaventata, sapeva che avrebbe dovuto sgridarlo,ma non ci riuscì, si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò.
“ Tranquillo piccolo Dogar, papà è con te, torniamo a casa ora.” Disse scompigliandogli i capelli.
Il ragazzo si tranquillizzò e sprigionò uno strano calore , gli occhi divennero luminescenti: erano i suoi poteri esp che si manifestavano. Succedeva ogni volta che si emozionava profondamente.
Jarn fu pervaso da quell’energia e in quel momento ebbe un’intuizione.

Anno fleediano 111

“Dove vi siete cacciati per tutto il pomeriggio! Il tutore vi ha cercato ovunque, eravamo in pensiero..santi numi.. mi farete invecchiare prima del tempo!”
I due ragazzi avevano entrambi lo sguardo fisso a terra, ma ogni tanto si scambiavano un’occhiata furtiva, e a stento si trattenevano dallo scoppiare a ridere.
Lei se ne accorgeva, e faceva finta di niente..
Quella ragazza le piaceva: era vivace, aperta, solare. Così diversa dal suo figliolo, timido ed introverso. Frequentava il palazzo fin dalla tenera età, era la figlia di uno degli ambasciatori, il Conte Barsik, e sua madre era una sua grande amica.
Ora intuiva che il loro rapporto stava cambiando.
Erano entrambi entrati nell’adolescenza, lei era molto bella e il suo corpo stava sbocciando.
Naida e Duke avevano la stessa età, ma suo figlio ora sembrava più giovane, alto ma sottile e dai lineamenti ancora acerbi.
Certe cose non le sfuggivano. Era cambiato il modo in cui lui la guardava.


(..)

“Duke, Maria, venite qui!”
Duke stava leggendo un libro alla sorella, lo appoggiò ed entrambi gli andarono incontro.
“Ho una cosa per voi”
Nella mano di Alcaesar due medaglioni agganciati ad una catenella.
“Che bello” Maria battè le manine, entusiasta.
“Che cos’è, padre?” chiese Duke
Li mise al collo di entrambi.
“Ragazzi, questi ciondoli hanno un significato particolare. Sono le chiavi di accesso alla più potente macchina della Galassia, il simbolo del progresso raggiunto dal nostro pianeta.
Quando sarete più grandi, sarà vostro il compito di garantire pace e prosperità alla vostra gente.
Imparate a leggere nei loro occhi, figli miei..sarà il vostro popolo a guidarvi nella giusta direzione.”
Duke pendeva dalle sue labbra. Quel ragazzo gli stava dando enormi soddisfazioni. Era già riconosciuto e stimato dal suo popolo.. lui e Lenia stavano indubbiamente facendo un buon lavoro. Era sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta..

“Duke, vieni con me, dobbiamo parlare”

Si sedettero nel suo studio: di fronte a lui il figlio, Jarn e Julius.

“Duke, dobbiamo chiederti una cosa importante. Come sai, Grendizer è praticamente ultimato, stanno per iniziare le fasi di test, il simulatore è già in funzione”

Duke annuì, era molto interessato alla costruzione di quella macchina, e aveva passato diverse ore nell’hangar, a curiosare e fare domande ai progettisti.

“E’ un’arma micidiale. Abbiamo ottenuto dal Consiglio che il controllo rimanga in seno a Fleed, e la macchina è predisposta per essere controllata mentalmente.”
“Si, lo so” disse Duke, senza capire dove il padre volesse andare a parare.

“Significa che chiunque venga addestrato a pilotarla, sarà legato al robot indissolubilmente, e ne seguirà lo stesso destino.”

Duke sentiva gli sguardi di Jarn e Julius puntati addosso, e cominciava a diventare nervoso.
“Tu hai le caratteristiche fisiche e mentali adatte, i test lo hanno dimostrato”
Duke sbarrò gli occhi.

“Te la senti, ragazzo mio?”

Il ragazzo deglutì
“Certo , padre, certo che me la sento..”

“Duke, forse non ti rendi conto” lo interruppe Jarn. “Scusa se sarò diretto, ma voglio essere sicuro che tu ne comprenda tutte le implicazioni. Sarà faticoso, molto faticoso, e non escludo il dolore fisico, in una prima fase. “

“Dolore fisico?”

“Si, Duke. Ma andiamo per passi, così capirai meglio.”
Si mise a sedere di fronte a lui.
“Il cervello artificiale di Grendizer funziona in modo simile a quello umano, la trasmissione degli impulsi avviene come tra i neuroni, solo più velocemente. Chi è dotato di un’attività cerebrale superiore alla norma, di poteri extrasensoriali, è in grado di trasmettere impulsi di intensità sufficiente per far “scoccare la scintilla” nei neuroni artificiali del robot.
Duke, Grendizer possiede una forma primordiale di cognizione: analizza la situazione, ed è in grado di reagire, rispettando alcuni parametri impostati, alcune regole, e la volontà stessa di chi è in sintonia con lui”

“Mi ha detto uno dei tecnici che è predisposto per l’autodifesa” replicò Duke “che se ne occupa in autonomia, in qualche modo, così che il pilota possa concentrarsi sull’attacco.”

“Non proprio: è programmato per preservare se stesso ed il pilota, e se quest’ultimo commette degli errori, o delle azioni che possano danneggiare se stesso o il robot, interviene. Interviene esattamente come fa il corpo umano: se fai qualche cosa che danneggia il tuo corpo, esso risponde con degli stimoli dolorosi.”

“Credo di aver capito“ annuì il ragazzo.

“Grendizer è un’arma difensiva, non offensiva, Duke.” Aggiunse il padre “ E’ come se avessimo messo una specie di sigillo. La sua potenza distruttiva può scatenarsi solo se il pilota, o chi il pilota deve difendere, si trovano in immediato pericolo. Non può annientare, se non per difendere altre vite. Non è concepito per la distruzione fine a se stessa.”

“E per poter realizzare questo dovevamo dotarlo di una forma embrionale di coscienza, con tutte le implicazioni che questo comporta sulla persona che viene destinata a diventarne il pilota.” Concluse Jarn.

“Se a questo aggiungi che il tutto è in fase sperimentale..” si intromise Julius

“Esatto” aggiunse Jarn “E’ la prima macchina così complessa a controllo mentale, lo sai bene. Fino ad ora l’utilizzo delle onde cerebrali per il controllo cibernetico è stato limitato a piccole macchine utensili, senza la necessità di decodifiche in software complessi, ma qui le cose sono diverse.. “

“Non mi fa paura..” rispose Duke, risoluto.

“C’è altro.” intervenne Julius
“Per ora Grendizer è solo un elemento di equilibrio: Vega lo ha chiesto, noi lo controlliamo. E’ l’ago della bilancia. Ma se per qualche malaugurato motivo dovessimo entrare in guerra..”

“Sarei io a dover combattere..” disse Duke, chinando il capo.
“Padre, Julius, perché io, perché non Marcus?”

“Marcus è un impulsivo, Duke, tu hai un carattere diverso. Non è escluso che in una seconda fase, magari, ma non ora.” Rispose secco il Re di Altair 2.

Duke annuì. Era vero, il suo amico aveva un gran coraggio, e sarebbe sicuramente stato un guerriero migliore di lui, ma era una testa calda..lo aveva dimostrato in più di un’occasione.

Terza parte: figli

(..)

Lo osservava dal portico che dava sul giardino.
Giocava con la sorellina: Maria scoppiava in una risata cristallina ogni volta che il fratello saltava fuori da un nascondiglio.
Il suo ragazzo stava diventando un uomo.
Velocemente, troppo in fretta, per lei che ancora se lo sentiva accoccolato in grembo.
Era bello, e non lo pensava solo perché era sua madre.
Ora lo osservava di spalle, due spalle larghe, che sarebbero diventate forti, come quelle del papà.
Ma le stavano già mettendo a dura prova, quelle spalle..
Erano anni che le caricavano.
Un’educazione impeccabile, severa.
Era loro figlio, ma era innanzitutto l’erede al trono, e questo era da sempre ben chiaro in mente ad entrambi.
La loro famiglia guidava il pianeta da generazioni, ed il trono su base ereditaria ancora funzionava solo perché la serietà e l’impegno erano state tramandate di generazione in generazione.
Era orgoglioso del suo ragazzo, ma nello stesso tempo soffriva per lui.
Non bastava essere al centro dell’attenzione, essere caricato di aspettative, sapere fin da bambino quale sarebbe stato il suo destino.
Ora ci si metteva anche quel robot.
Lo detestava.
Vedeva tornare Duke spossato, svuotato da quegli addestramenti.
Lui aveva accettato di buon grado di affrontare quella sfida, era una macchina affascinante che lo aveva stregato. Ma gli succhiava linfa vitale. In più di un’occasione lo aveva visto chiudersi in se stesso, incapace persino di scaricare la tensione.



(..)

“Duke, se non te la senti, troveremo qualcun altro..” disse con tono accondiscendente.

“Non mi aiuti, così” rispose il figlio, senza sollevare lo sguardo.

Lenia gli aveva chiesto di parlargli. Era preoccupata, diceva che da quando aveva iniziato gli addestramenti era cambiato.

“Mi sono preso un impegno, e lo porterò a termine. Sono solo un po’ stanco,ora.”

Si sforzò di sorridere, le labbra tremavano appena, ed il padre se ne accorse.
Si sedette accanto a lui, gli prese una mano, e distese le dita.
Anche quelle tremavano.
Duke chiuse il pugno, sfilando la mano da quella del padre.

“Ce la farò.” Disse fissando a terra.

L’addestramento di Duke era coadiuvato da un’equipe di medici, che teneva sotto costante controllo lo stato di salute del ragazzo.
Era svenuto, quel pomeriggio, durante la sperimentazione di quella nuova arma, e Lenia era andata su tutte le furie.
L’iperstimolazione a cui corpo e mente erano sottoposti poteva lasciare conseguenze.
E lui era molto giovane.
Sembrava però che un cervello di quell’età, una psiche ancora in via di formazione, potesse essere più adatta ad entrare in empatia con la macchina, anch’essa ”giovane”, in fase di apprendimento.
La capacità di immagazzinare informazioni dalle azioni compiute riversandole nella memoria del pilota automatico, da poter utilizzare poi in maniera “intelligente” ,era una dei grandi successi del team dei progettisti del robot.
Grendizer era in grado di “imparare”, alimentare il suo sistema cognitivo.

Da alcuni giorni avevano smesso di usare il simulatore, per farlo salire direttamente sul robot, e faceva ancora molti errori.
La sintonia cerebrale era buona, ma la velocità di reazione della macchina era ancora superiore a quella di Duke.

Parallelamente all’addestramento Duke veniva allenato anche nella lotta corpo a corpo, nell’uso delle armi bianche, ed al poligono di tiro.
Non poteva essere efficace in combattimento se non ne conosceva le tecniche.
Duke aveva affrontato tutto con metodo, ma il padre capiva che nonostante fosse affascinato da quella macchina, quel ragazzo provava ancora un profondo disagio.
Si era lasciato coinvolgere totalmente da Grendizer, e stava stringendo con esso un legame profondo.. “lo sento vibrare”, gli aveva detto, pochi giorni prima.
Ma nel contempo era sfinito da quel continuo misurarsi con se stesso e con le sue capacità.
A questo si univano lo studio e gli impegni di Palazzo..forse Lenia aveva ragione, stavano pretendendo troppo, da lui..

“Non è l’addestramento, che mi pesa.“ Duke interruppe i suoi pensieri
“Commetto ancora degli errori, ma ho imparato a sopportarne le conseguenze, non perdo più la concentrazione. E’ quello che succede dopo.. tutto quel tempo a controllarmi, mi fanno passare da capo a piedi, mi sembra di essere una cavia di laboratorio.”

“E’ per il tuo bene, figliolo: se si accorgessero che il tuo fisico o la mente non rispondono adeguatamente, dovremmo interrompere.. e quello che è successo oggi..”

“Non capiterà più, vedrai.” Replicò secco il ragazzo “Quella nuova arma, il tuono spaziale.. è di una potenza sconvolgente.. sentivo che la macchina immagazzinava energia elettrostatica, mi sembrava di scoppiare.. e quando l’ho riversata fuori, sul bersaglio, e ho visto come l’avevo ridotto, mi sono sentito come un sacco vuoto..e ho ceduto.
Padre.. mi auguro di non doverlo usare mai, sul serio, contro qualcosa di.. vivo..”

“Grendizer è innanzitutto un deterrente, contro fantomatiche invasioni esterne al Centauro, ma ancor di più contro l’ingordigia di Vega..ho voluto che il controllo rimanesse in capo a me, a noi, alla mia famiglia, proprio perché è un’arma spaventosa.
Nelle mani sbagliate, potrebbe.. non voglio nemmeno pensarci.”

“Non torcerebbe un capello a nessun fleediano” mormorò Duke
“C’è una sola possibilità per farglielo fare, e cioè che lo voglia anch’io, per questo è impossibile.”

Guardò suo figlio, era pallido, le occhiaia evidenti davano al suo volto un’espressione più matura, c’era poco ormai della spensieratezza dell’infanzia.

“Vai a dormire, ora, un po’ di riposo ti farà bene..”
Duke cercò un abbraccio e prese commiato.


(..)

“Quei due ragazzi mi preoccupano, Julius.”
Il pranzo si era da poco concluso, Duke e Marcus erano usciti a fare una passeggiata in città, mentre Maria ed il fratello minore di Marcus, Lion, giocavano sotto al grande tavolo con un paio di Gary Gary, graziosi animaletti che venivano dal pianeta omonimo.

“Marcus mi somiglia, per tanti versi, è un istintivo, si scalda con poco, ma mi sembra che siano diventati grandi amici, nonostante siano così diversi.” Disse Julius, sorseggiando il suo liquore.
“Si, lo sono.” Replicò Alcaesar, pensieroso.

Alcaesar sentiva che i due ragazzi gli avrebbero dato dei grattacapi, prima o poi.
Nel bel mezzo del pranzo, mentre lui e Julius discutevano di questioni legate all’ultimo Consiglio, esprimendo alcune delle loro preoccupazioni, Marcus li aveva interrotti con la sua solita irruenza, accusandoli di essere dei codardi, anche se non aveva usato esattamente quel termine, e di essere succubi del potente tiranno, proprio come gran parte dei sovrani che loro stessi criticavano.
Sapeva che Duke la pensava allo stesso modo: in più di un’occasione gli aveva palesato la sua antipatia nei confronti di Vega.
Duke però aveva un carattere diverso, sapeva stare un passo indietro, sulle questioni che non lo coinvolgevano in prima persona, e non si sarebbe mai permesso di contrastarlo in quel modo davanti a tutti.
Però.. però..le parole di Marcus gli bruciavano dentro.

“Ha ragione, in fondo” Julius interruppe i suoi pensieri.
“Marcus ha sbagliato nei modi, ma quello che ha detto è la sacrosanta verità! Ho la sensazione che la situazione ci stia per sfuggire di mano, Alcaesar.. che qualche cosa si stia muovendo a nostra insaputa, che qualche colpo di coda ci possa cogliere impreparati.
Abbiamo Grendizer, è vero, ed un ragazzino imberbe che lo può pilotare. Nient’altro.
La rete delle nostre alleanze si sta sfaldando, Vega cresce di giorno in giorno i suoi consensi, ho come la sensazione di essere sul filo di un baratro.
Ho visto anche Lenia, incupirsi, ultimamente, e sai benissimo che i suoi malumori non sono da prendere sotto gamba..”

“Non abbiamo trascurato niente, Julius”

“Tu sei il cervello, Alcaesar, io il cuore.. mi auguro che tu abbia ragione.”


(..)

Quella vista gli faceva sempre lo stesso effetto.
Da sempre i tramonti di Fleed gli toglievano il fiato. Aveva aperto il grande finestrone, per lasciar entrare quella brezza salmastra carica di umidità. Acrux si immergeva lentamente come un’enorme sfera infuocata nella superficie cristallina dell’Oceano, appena increspata.
Poco più in là, Duke osservava lo spettacolo sulla battigia, lasciando che la schiuma bianca delle onde gli lambisse le caviglie.
Quello spettacolo li aveva sempre stregati entrambi.
Lo vide togliersi la tunica rossa, e tuffarsi tra le onde, ad ampie bracciate.
Mai come in quel momento sentiva il peso delle sue responsabilità.


(..)


Quarta parte: Inganni

Luna di Fleed , Base veghiana

Non amava le riunioni plenarie, spesso e volentieri non scaturivano dai suoi sottoposti brillanti idee. Erano bravi esecutori, ma di fantasia poca, nessun valido stratega, nessun fidato consigliere.
Ma la situazione si stava complicando, si sentiva davanti ad un bivio, e voleva che ogni decisione venisse presa con il massimo consenso.. e chissà, magari, qualcuno dei suoi avrebbe avuto qualche lampo di genio.

“Qual è lo stato d’avanzamento della realizzazione del condizionatore cerebrale?”
Chiese brusco al Ministro delle Scienze.

Per il momento le cavie non sopravvivono, mio Sire, disse Zuryl, con evidente imbarazzo.
“Incapaci”, sbottò alzandosi in piedi. “Sono circondato da incapaci! Cosa me ne faccio di un cervello bruciato? Io ho bisogno di preservare le facoltà mentali, siamo anni luce da un risultato accettabile!”
“Sire..”
“Ti lascio ancora due settimane, dopodiché sarai tu una delle vittime dei tuoi esperimenti!
Ed ora passiamo alla questione di quel maledetto robot..” Si mise a sedere, cercando di recuperare un po’ di calma.

“Ho lasciato il cappio largo attorno al loro collo, fino ad ora, adesso dobbiamo giungere rapidamente ad una conclusione!”

“Sire, hanno il controllo del robot..” disse cauto Gandal.

“Lo so! Risparmiatemi le ovvietà! E’ l’unica condizione che quell’ingenuo del Re di Fleed ha posto per la costruzione di quella macchina. Che illuso! “

Cambiò tono, come per scimmiottarne la voce “Accettiamo di realizzare la più potente macchina bellica che la nebulosa abbia mai avuto a patto che il controllo venga lasciato in mano ai fleediani.. Stolto!”
Scoppiò in una lunga risata. Attorno al tavolo tutti lo imitarono..

“Silenzio!”

Li guardò ad uno ad uno negli occhi.
“Fino ad ora ho giocato, come il gatto con il topo. Ma è arrivato il momento di fare sul serio, o non riusciremo mai a dare la svolta.
Dobbiamo impossessarci del robot, e del suo pilota, quel ragazzino, quel Duke Fleed. Per questo voglio il condizionatore cerebrale! Piegheremo il suo cervello al nostro volere, diventerà la nostra arma più potente, che useremo per annientare Fleed ed Altair2.
Colpiremo il cuore stesso della nebulosa, non potranno reagire in alcun modo, e con quella macchina nelle nostre mani, nessuno oserà contrastarci!”

“E ci impossesseremo del generatore al Photoquantum!”

“Esatto, Gandal. Nessuno deve minare il nostro potere, in nessun modo. Abbiamo occupato le maggiori fonti di Vegatron della nebulosa. Gran parte dei pianeti dipendono da noi per gli approvvigionamenti energetici.. se la tecnologia di Grendizer si diffondesse a macchia d’olio, perderemmo potere..”

“Dobbiamo catturare Duke Fleed!” eslamò Gorman

“A cosa pensi, Gorman? Ad una incursione armata?” disse Vega, con voce flautata.
Gorman rimase immobile, sicuro che qualunque risposta gli si sarebbe rivoltata contro.
“Idiota! Si ucciderebbe dopo un secondo, sono ingenui, ma è gente tosta, non dobbiamo sottovalutarli..”

“Cosa avete in mente, Re Vega?” chiese Zuryl.
Il sovrano sorrise, lasciando tutti in sospensione per qualche secondo.

“Un matrimonio!” esclamò

Nessuno osò proferire parola. Nessuno capiva se stesse scherzando o no.
Ma di una cosa erano tutti sicuri: il primo che fiatava rischiava la pelle.
Vega sospirò, pensando che in fondo non poteva pretendere di più, da quella platea, e si rassegnò a spiegare il proprio piano, per filo e per segno.

Era sicuro che il Consiglio avrebbe accettato la sua proposta, che sarebbe stata vista, dai membri più intelligenti, come l’unica possibilità per riequilibrare le forze in campo, per costringerlo a starsene buono, in pace ed armonia con tutti.
Ed era altrettanto sicuro che il Re di Fleed non si sarebbe tirato indietro davanti ad una delibera del Consiglio.

Rubina e Duke Fleed, e vissero tutti felici e contenti!

E mentre il Consiglio ed il Re di Fleed si illudevano di avergli messo il bavaglio, lui avrebbe attirato quel ragazzino su Vega, e ne avrebbe fatto quello che voleva.

Si abbandonò soddisfatto sul suo scranno, lisciandosi i riccioli della barba.
La panoramica degli sguardi smarriti che gli si paravano davanti gli fece capire perché era lui, il Re.

Sentì uno strano sfarfallio allo stomaco..stava per schiacciare quelle zecche schifose, stava per realizzare il suo sogno, non un Imperatore qualunque, ma il monarca assoluto della più grande nebulosa mai conosciuta!



(..)

Era furiosa, bruciava di rabbia. Per la prima volta in vita sua era entrata in aperto contrasto con suo marito.
Si era confrontata con lui in privato, dopo quella penosissima seduta del Consiglio.
La sfortuna aveva voluto che quella fosse una delle prime sedute a cui aveva partecipato anche il futuro Re di Fleed, appena diventato maggiorenne.
Ancora vivo nella sua mente lo sguardo attonito e smarrito di Duke, quando di fronte a lui avevano discusso della possibile unione in matrimonio con Rubina, la figlia di Re Vega.
Ne avevano parlato con una freddezza spaventosa, esattamente come se fosse una delle tante questioni politiche.
Capiva tutte le ragioni, capiva che era l’unica strada per evitare una guerra devastante.
Ma suo marito non avrebbe dovuto trattare Duke come una qualunque pedina della scacchiera.
E per rincarare la dose, avevano stabilito nella stessa seduta l’allontanamento del Conte Barsik con l’intera famiglia, destinati a svolgere un’importante missione diplomatica al di fuori della costellazione. Non poteva fare a meno di pensare che si trattasse di una curiosa coincidenza..
Duke si era alzato abbandonando la sala.

Non poteva ammetterlo. Non da suo figlio. Lo aveva reso ridicolo di fronte a tutti, andandosene in quel modo.
Non era passato inosservato: era calato un silenzio imbarazzante nella sala in cui il Consiglio era riunito. Si era comportato come un ragazzino capriccioso.
Percorreva il lungo corridoio del palazzo con ampie falcate. Tanto sapeva dove trovarlo.
Era appoggiato con le mani ad una delle colonne del portico che circondava il giardino, i pugni stretti, lo sguardo fisso sul terreno.
Gli aveva afferrato una spalla, e lui si era voltato di scatto, un gesto carico di rabbia.
Nei suoi occhi un’espressione che non riconosceva.

“Padre, è inaccettabile, mi hai umiliato davanti a tutti!” tremava per la tensione.

“Duke, è nostro preciso dovere..”

“Non cominciare, non ricominciare con le tue prediche! Sono con te, sono con il mio popolo, sai benissimo che non mi tirerei indietro di fronte a nulla, ma questo..” la voce si ruppe per l’emozione “questo non ti autorizza a mancarmi di rispetto!” disse a denti stretti.

“Noi ti abbiamo solo chiesto..”

“Non mi avete chiesto un bel niente! Non ti sei nemmeno degnato di parlarmene, prima, in privato, di chiedermi cosa ne pensassi..”

Non aveva mai visto Duke sconvolto in quel modo. Gli aveva riversato addosso tutta la sua rabbia ed il suo rancore.
D’un tratto, sentiva di aver spezzato qualche cosa, irreparabilmente.
Che prezzo avrebbe dovuto pagare, ancora, per evitare quella maledetta guerra?



(..)

Naida se n’era andata, era stata costretta a salutarlo velocemente, sradicata in tutta fretta dal palazzo, dal suo pianeta, dalla vita di quel ragazzo.
Ora doveva cercare di parlare con suo figlio. E non sarebbe stata questione da poco..
Lo trovò in giardino, seduto sotto quel vecchio albero a cui era tanto affezionato. L’espressione contratta, gli occhi gonfi.
L’immagine rubata di loro due, proprio sotto quell’albero, Naida con la testa appoggiata alla sua spalla, mentre ascoltava le sue note suonate lentamente.
Quel modo di scambiarsi gli sguardi, specchio della complicità di due giovani anime che stavano crescendo insieme.
Una carezza, un buffetto sulla guancia..l’amore a quell’età è fusione completa, simbiosi, annullamento nell’altro..percepiva chiaramente lo strazio di suo figlio.

Si sedette accanto a lui e lo attirò a sé, accarezzandogli i capelli.
Duke lasciò finalmente che le lacrime scorressero sulle guance.

“Cosa ci sta succedendo, mamma?”

Lei non poteva rispondere, era una domanda troppo grande per chiunque.
Si limitò a stringerlo al seno, dondolandolo leggermente e canticchiando quella vecchia nenia, proprio come quando era bambino.


Quinta parte: Rubina

(..)

“Non vedo cosa tu possa pretendere..” lo sguardo della Regina era glaciale.
“Pretendo che si comporti da quello che è..”
“Merce di scambio, quindi..”
“Ti prego, ti prego! Ne abbiamo già parlato a lungo..è un momento delicato, estremamente delicato, e dobbiamo far quadrato. Non possiamo far percepire a Vega che il promesso sposo recalcitra. Questo accordo è frutto di settimane di intenso lavoro diplomatico..”

“Ha solo rifiutato di vestirsi con gli abiti di gala, non mi sembra che..”

“Lenia, forse non ti rendi conto, nessuno qui sembra rendersene conto.. siamo come un agnello in mezzo ad un branco di lupi. Siamo indifesi, terribilmente indifesi. Ci giochiamo tutto su questo accordo. Se fallisce, niente e nessuno impedirà a Vega di attaccarci, forse nemmeno Grendizer! Non possiamo tralasciare nulla, nessuna alternativa! Ha solo due strade per colpire Fleed, il centro della nebulosa: manovrarlo ..o distruggerlo! Quest’accordo rinsalderebbe la nostra posizione, è un’occasione importante, una possibilità in più!

“E’ una resa” replicò Lenia, con freddezza.
Il Re scrollò il capo.
“E’ questione di punti di vista.”

Sentirono bussare alla porta.
“Maestà, la figlia di Re Vega è appena atterrata allo spazioporto.”


Le era andato incontro con naturalezza. Il suo ragazzo era sensibile e intelligente e capiva che anche Rubina era fondamentalmente un ostaggio.
Era stato gentile e cordiale.
Forse non gli costava più di tanto: era molto bella, dal fare deciso e delicato al contempo.
Avevano seguito il protocollo.
Antiche usanze tramandate dai cerimonieri di corte scandivano le fasi di importanti eventi diplomatici con la precisione di un metronomo.
Duke era all’altezza della situazione. Non portava quegli abiti, ed era un aperto gesto di sfida nei confronti del padre, ma per il resto non lo stava certo facendo sfigurare.
Sorrise tra sé e sé: gli stava dimostrando che era capace di comportarsi da uomo, affermando nel contempo la sua autonomia.
Condussero Rubina al Palazzo Reale.
Era visibilmente affascinata dalla città, e provò tenerezza per quel fiore gentile, cresciuto in una serra di cactus.

I Fleediani erano sempre stati molto attenti ad ogni aspetto legato all’urbanistica: le strade erano ampie e scorrevoli, attraversate per lo più da mezzi pubblici, che costituivano oltre la metà dei veicoli circolanti in città.
I motori elettrici a levitazione magnetica avevano quasi completamente eliminato l’inquinamento acustico, e i rumori prevalenti erano il chiacchiericcio della gente per strada o i segnalatori acustici di posizione.
Le costruzioni, mai eccessivamente alte, dai colori chiari e dalle fogge slanciate e tondeggianti, esprimevano leggerezza ed eleganza.
E verde, tanto verde e tanta acqua, sotto forma di fontane e di canali che attraversavano la città.
Rubina si guardava intorno curiosa, rivolgeva domande alternativamente a lei, al Re e a Duke, senza dimenticarsi, di tanto in tanto, di sorridere a Maria.
Doveva aver ricevuto una buona educazione, nonostante tutto.



Anno fleediano 112

Maria era ancora scossa, e lui lo era ancor di più.
Stava per avere in mano le prove, ma forse avrebbe preferito non sapere.
Era una bella giornata di sole, e aveva deciso di chiudere tutto, per un paio d’ore, e cercare di godersi la sua famiglia.. erano così rari, ormai, i momenti in cui potevano comportarsi come fleediani qualunque.
Erano scesi in spiaggia. L’aria era tersa, lo stridio degli uccelli marini si confondeva con i rumori ovattati della città, che rimanevano in gradevole sottofondo. I suoi ragazzi si rincorrevano, le loro risate si sovrapponevano allo sciabordio delle onde.
Rubina osservava la scena seduta sulla battigia, i suoi capelli vermigli splendevano illuminati dal sole, così come il suo sorriso.
All’improvviso Maria era caduta a terra, in preda alle convulsioni.
Impietriti, l’avevano presa in braccio, sembrava sprofondata in uno stato catatonico.
Poi, d’un tratto, aveva cominciato a parlare, gli occhi fissi nel vuoto, completamente inespressivi: era la sua voce, ma le parole le uscivano di bocca come un fiume in piena, pronunciate con uno strano accento, ed un linguaggio troppo complesso per una bambina piccola. Non era lei, a parlare.. era diventato man mano sempre più chiaro.
L’avevano di nuovo adagiata sulla sabbia, agghiacciati dal racconto che chiunque possedesse la bambina, in quel momento, le stava facendo narrare.
Lenia aveva collegato tutto in un attimo.. per anni lo spirito di Baar7, del popolo sterminato, aveva cercato di mettersi in contatto con lei, senza riuscire a fare breccia, a entrare in comunicazione. Per anni le avevano cercate nel sonno.
La mente candida ed innocente della figlia era più permeabile. Ed attraverso di lei era finalmente riuscito a far affiorare la verità.
Baar7 era stato raso al suolo da Vega. La prova, inconfutabile, era custodita nella memoria degli archivi centrali del pianeta, dove il Re , pochi minuti prima di morire, aveva registrato la testimonianza di quanto accaduto.

Alcaesar si precipitò nella Sala delle Comunicazioni, cercando contatto con Julius.
Decisero di recarsi immediatamente su Baar7, per recuperare la registrazione.
Dovevano essere cauti, e gestire al meglio la situazione.

Sulla Luna di Fleed, qualcun altro chiudeva il comunicatore.

“Non possiamo più aspettare. Dobbiamo cambiare strategia. In un secondo tutti ne verranno a conoscenza. Ogni cosa si basa su quella menzogna.
E’ ora di schiacciare quell’insetto fastidioso.
Hydargos, ti occuperai di tutto: Rubina deve rientrare immediatamente, spediscila dall’altro capo della nebulosa, inventati una missione diplomatica sul pianeta Rubi. Occupate l’hangar dove è custodito Grendizer !”

“Li spazzeremo via!” esclamò Hydargos, in preda all’eccitazione.

“Voglio Duke Fleed, lo voglio vivo..senza di lui il robot è inutilizzabile. Potremmo smontarlo pezzettino per pezzettino, certo, e studiarne la tecnologia.. ma io voglio di più, maledizione.. voglio usarlo!” fece una pausa, per raccogliere le idee.
“Non attacchiamoli in massa, non subito.
Isolate Fleed ed Altair 2 dal resto della nebulosa, togliete loro ogni possibilità di comunicare, ogni possibile approvvigionamento di energia.
Bloccate i collegamenti attorno alla Costellazione: sequestrate ogni mezzo, ogni singola astronave che transiti nei pressi della Croce del Sud, e fatene prigioniero l’equipaggio. In questo modo a nessun altro verrà voglia di correre in aiuto dei due pianeti.
Dobbiamo fare come con le api..sai come si comportano le api, Hydargos?” chiese Vega, lisciandosi la barba..
Il comandante fece un timido cenno con la testa. Non aveva nemmeno idea di cosa fossero, le api..
“Se riempi l’arnia di fumo, si spaventano, e sciamano, lasciando a disposizione il miele..
Faremo la stessa cosa.. li spaventeremo, ed usciranno allo scoperto. Non rimarranno con le mani in mano, offriranno il fianco e ci daranno l’occasione per catturare quel moccioso.”


(..)

“Se n’è andata?”
Duke annuì, Il nodo in gola gli impediva di parlare.
Marcus lo abbracciò, dispensandogli un paio di vigorose pacche sulla schiena.

Rubina aveva indossato di nuovo l’abito del suo arrivo.
Aveva sempre pensato che le tuniche fleediane le stessero meglio, lasciando molto meno all’immaginazione.
Lo sguardo triste, ma fermo. Che avesse una gran forza, lo aveva capito da subito.
Non voleva salutarla così, l’ambasciatore veghiano dietro le sue spalle.
L’aveva afferrata per un polso , trascinandola fuori dal palazzo.
“ Principe, la prego, non..” le parole del veghiano erano sfumate sotto il rumore dei loro passi di corsa nel corridoio.

Pioveva.
Erano arrivati sul retro del palazzo, davanti all’Oceano arrabbiato.
Incuranti di quel diluvio, completamente bagnati, l’aveva cercata con le labbra, in un bacio profondo e disperato.
Forse non l’aveva mai baciata così, ma il tempo era finito, per questo era diverso.

“Stai rendendo tutto più difficile” gli aveva detto, prendendogli i polsi ed allontanandolo con fermezza.
“Non devi andare per forza, non è un’imposizione”
“Lo è, Duke, conosco mio padre”

“Ho paura di non vederti più, ho paura della guerra..” le aveva detto scostandole i capelli vermigli appiccicati sulla fronte.

Doveva diventare sua moglie.

Una parola amara come l’imposizione, inizialmente, strana, incomprensibile.
Una parola adulta a cui si era abituato, come all’idea che essa conteneva.
Una parola dolce come l’amore che aveva scoperto per lei, alla fine.



Marcus si staccò dall’abbraccio, appoggiandogli le mani sulle spalle.
“Duke, guardami.. cosa abbiamo intenzione di fare? Vega ci sta manovrando come dei burattini. Tuo padre è convinto di averlo in pugno, ma non è così..”

“Stanno solo cercando di evitare una guerra, a tutti i costi. Useranno la registrazione per inchiodarlo davanti al Consiglio. Non aspettavano altro. “ disse Duke, distrattamente.

“Dobbiamo dargli una dimostrazione di forza, dobbiamo fargli vedere di cosa è capace Grendizer. Non hanno paura di noi, maledizione!” replicò Marcus, con foga.

“Grendizer è uno strumento di difesa. E non è solo al servizio di Fleed, ma dell’equilibrio dell’intera Nebulosa. Utilizzarlo, anche solo a scopo dimostrativo, come dici tu, verrebbe letto come un gesto ostile, accenderemmo la miccia.
Non ci hanno ancora attaccato, fino a prova contraria” rispose il fleediano.

“Ah, mi sembra di sentire parlare tuo padre! Puoi fare di meglio, Duke! O rischiamo che sia tardi! Secondo te perché ha richiamato Rubina? Per farle fare una gita? Sveglia! Ha distrutto un intero pianeta!” Marcus cominciava a scaldarsi, Duke non sapeva se aveva voglia di sostenere quella conversazione.

“C’era bisogno di lei, è sempre stata impegnata in questioni diplomatiche.. “ disse, senza convinzione.

“Appunto, in gita! Apri gli occhi, santo cielo! Si è ripreso il suo giocattolo! Non lo capisci? E’ un manovratore attento, qualche cosa deve avergli fatto capire che questa non era la strada giusta per ottenere quello che voleva, e non si è fatto nessuno scrupolo.
Duke, continuiamo a stare al gioco di uno che non ci pensa un minuto ad usare anche la propria figlia!”

Duke gli voltò le spalle. Aveva un rispetto infinito per il padre, lo stimava. Ma ora le cose erano troppe. Aveva raso al suolo Baar7, cosa gli impediva di fare la stessa cosa con Fleed, con Altair2? La presenza di Grendizer? Forse..

“Prepariamoci, Marcus, ma escludi Grendizer dai tuoi piani, almeno in questa fase.”

“Dai nostri piani, Duke.”, rispose Marcus, stringendogli una mano.




Sesta parte: Guerra!

(..)


Era notte fonda, il capitano della guardia reale lo aveva svegliato di soprassalto, si era precipitato nella Sala del Consiglio.

“Maestà, le truppe di Vega hanno occupato l’hangar di Grendizer! Una strage, nessun sopravvissuto!”

“Siamo in guerra..” aveva mormorato tra sé e sé.

Duke lo aveva raggiunto poco dopo, visibilmente agitato.
Ora tutto cambiava, i suoi figli erano in serio pericolo. Erano le chiavi d’accesso al robot.
“Duke, devi andartene da qui, ti rifugerai su Altair2, chiederò a Julius di nasconderti.
Finché non ti trovano, non possono usare Grendizer .”

“Maledizione! Ma cosa credi? Appena si accorgeranno di non poterlo nemmeno far uscire da lì scateneranno tutta loro furia.. sono delle belve, senza regole, senza..”

Lo colpì con uno schiaffo.

Era la prima volta che faceva una cosa simile in vita sua.
Duke riuscì a malapena a frenare le lacrime, nel suo sguardo rabbia e delusione, che lo ferirono più di ogni altra parola.

“Tu non capisci..” gli disse affranto il padre.

“Capisco molto più di quanto tu creda..non sono più un bambino, e non mi nasconderò. Non è questo che vuole la nostra gente”

“La nostra gente vuole sopravvivere, Duke, e noi abbiamo il dovere di proteggerla!”
Gli mise le mani sulle spalle, fissandolo negli occhi.

In quel momento capì. Aveva di fronte un uomo, un giovane uomo.
Aveva di fronte esattamente il Re che lui e sua moglie avevano sempre desiderato per il loro popolo.
Non poteva fare molto per impedirgli di seguire la sua strada, e di andare incontro a tutte le conseguenze che questa avrebbe comportato.

“Duke, non devi farti catturare”
Non aveva altre raccomandazioni da fargli.


(..)

“Non mi piace questa calma, Duke, non è da loro. Mi sento some un insetto sulla tela del ragno. Dobbiamo agire più in fretta” Marcus era teso.

“Stiamo agendo secondo le nostre possibilità. Non potevamo tralasciare nulla. Il piano così congeniato funziona, e sarà per questa notte.” Replicò Duke

“Tuo padre andrà su tutte le furie” disse Marcus, in tono scherzoso, cercando di stemperare la tensione

“Cerchiamo di portare a casa la pelle, la nostra e quella degli altri ragazzi. Ogni fase è delicata. Il deposito è ben sorvegliato, non sarà facile attirare la loro attenzione lasciando sguarnito l’ingresso.”

“Se solo avessimo reagito prima, quando avevamo ancora Grendizer.. quel tiranno andava arginato da subito, maledizione! Ora non possiamo far altro che azioni di guerriglia!”

“Marcus, io non posso farmi catturare, non vivo, per lo meno” disse Duke, toccando il medaglione che portava al collo.

Marcus piegò il capo:

“Lo so, Duke.E’ il motivo per il quale non volevo che ti esponessi in prima persona”

“Tu non vai da nessuna parte senza di me!” gli rispose il fleediano, sorridendogli


(..)

“Julius, dobbiamo impedire a quei ragazzi di rischiare la vita inutilmente! Sono ridicoli.. le loro possibilità sono meno di zero! Moriranno come mosche..Santi numi, sono pazzi!”
“Hanno più coraggio di noi, Alcaesar. Non li posso biasimare. Stanno reagendo. Mentre noi siamo qui, storditi, incapaci di qualunque iniziativa, quei ragazzi ci stanno dimostrando di avere fegato. Ci stanno dando una bella lezione..”

“E’ un suicidio! Vogliono far saltare il deposito di armi che i veghiani hanno installato nell’Università!”
Julius sgranò gli occhi “Come fai a saperlo?”
“Ho sentito una conversazione tra Duke e Marcus..”


(..)

Quel corridoio non gli era mai sembrato tanto lungo, correva verso l’infermeria. Duke era stato ferito, non gli avevano detto in che condizioni fosse.
Quando la porta scorrevole si aprì, vide il profilo di Lenia, curva sul ragazzo, che giaceva immobile sul lettino.
Si avvicinò lentamente. La Regina alzò lo sguardo, e lui si bloccò.
I suoi occhi traboccavano di dolore, il suo viso lasciava trapelare le tensioni e le preoccupazioni di tutti quegli anni. Lo fissava senza guardarlo.
Non disse una parola. Si voltò di nuovo verso il figlio.
Gli teneva una mano, accarezzandolo lentamente.
Notò quella vistosa fasciatura al braccio.

“Vegatron” mormorò Lenia, e lui credette di morire in quell’istante.

Il mondo stava andando a pezzi, la tragedia che stava colpendo la sua gente, Marcus svanito nel nulla, forse dilaniato dall’esplosione del deposito, suo figlio condannato a morte certa dalle radiazioni.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, e pianse, pianse senza freno, come non aveva fatto mai.

(..)


Il capo tra le mani, nella penombra, cercava di concentrarsi. Di trovare una via d’uscita.
Isolati.
Fleed ed Altair2 erano isolati dal resto della nebulosa.
Con precisione chirurgica, con una velocità che li aveva disorientati, Vega aveva tagliato tutti i collegamenti tra i due pianeti e qualunque, debole, potenziale soccorso.
Le stazioni satellitari dell’emisfero Sud, principali ponti di comunicazione al di fuori della Costellazione. Rase al suolo. Le Centrali del Polo energetico, affondate nell’Oceano.
Erano paralizzati.
Quella calma irreale era un preludio a qualche cosa di ben più terrificante.
Guardò fuori dalla finestra, erano giorni ormai che la Luna di Fleed inondava la capitale con quella inquietante luce rossastra.
Ora che la città era al buio, quel riflesso si adagiava sui profili degli edifici e sulle strade, foriero di un terribile presagio.



Luna di Fleed, base veghiana

“Lo avete condizionato?”
“Non ancora, Sire..il Principe di Altair 2 è un osso duro” rispose Zuryl “ ma ci ha già rivelato una cosa che non le piacerà affatto, mio sovrano..”
Vega lo fissò in silenzio.
“Duke Fleed è morto, è stato ucciso nell’ultimo attacco alla capitale.”

“Polverizzateli. In due ore deve essere tutto finito.”


(..)


Si svegliò di soprasalto, di fianco a lui Lenia era seduta, gli occhi pieni di terrore, fissava un punto nel vuoto.
“Stanno arrivando..” mormorò, e balzò giù dal letto, uscendo di corsa dalla stanza.
In quell’istante un boato spaventoso, una vampata di calore, e la terra che cominciava a tremare.
Uscì sul ballatoio di ingresso alle camere: Lenia teneva in braccio Maria, che piangeva disperata.
“Duke, dove sei?” urlò a squarciagola. Aprì la porta della sua stanza, era affacciato alla grande finestra, impietrito da quello spettacolo terrificante. Lo raggiunse, e si sentì morire.
La capitale era in fiamme. Entravano folate d’aria rovente e l’odore acre del fumo. I mostri meccanici di Vega, decine di Cyborg e di minidischi stavano radendo al suolo ogni cosa, nel più immane attacco che si potesse immaginare.
La gente correva per le strade, uomini, donne, bambini, inseguiti dai loro persecutori, presi di mira, abbattuti come bestie.
Un colpo tremendo fece tremare il palazzo, cadde a terra insieme a Duke. Un secondo colpo, subito dopo, fece crollare l’intera ala. Precipitarono entrambi.
Non vedeva più nulla, non riusciva a muoversi, sentiva su di sé il peso delle macerie, un dolore lancinante alla schiena, nelle orecchie urla disperate.
Era la fine, questo lo capiva, si lasciò abbandonare allo sconforto.
Sentì la voce del figlio, come un’eco lontana, e due braccia sollevarlo delicatamente.
Con un enorme sforzo mise a fuoco il suo viso, era ferito e lo chiamava in preda al panico.
“Duke, ascoltami bene” disse a fatica “ devi andartene da qui, cerca di riprendere Grendizer , forse con questa confusione puoi introdurti nell’hangar. Vattene, vai via. Non c’è più nulla da fare. Devi riprenderti quel robot e portarlo lontano da qui“

“Padre, andremo insieme” Fece per sollevarlo, ma il dolore diventò insopportabile, urlò e Duke lo appoggiò di nuovo a terra.

“Ascoltami figlio mio, mi devi ubbidire, è importante. Ti ho detto di andartene, non pensare a me” disse racimolando le ultime forze.

“No, non puoi chiedermi questo..” disse Duke, gli occhi pieni di lacrime.
Un nuovo crollo li riempì di calcinacci e di polvere, sentì il ragazzo tossire, ne distingueva a malapena la sagoma.

Duke ricominciò a gridare: ”Mamma, Maria..dove siete? Mamma!”
Gli afferrò un braccio, e cercò di farsi ascoltare: “Duke, per l’amor del cielo! Riprendi il controllo!”

“La mamma, dov’ è la mamma, e Maria? Verranno con me, ce ne andremo tutti, dove sono?”

“Non lo so.. non le ho più viste..vedrai, verranno in nostro aiuto le guardie reali. Tu ora vai, ti prego.. è l’ultima cosa che puoi fare per me, per Fleed: Grendizer. Non lo devono avere.. “

Si fissarono negli occhi per un lungo istante.
La testa cominciò a girare, la vista si annebbiò.


(..)

Dentro la cella, buia ed umida, cercava di concentrarsi sul suono ritmico delle gocce che cadevano dal soffitto.
In quel modo riusciva a non sentire le urla strazianti che arrivavano dal corridoio.
Era rimasta vigile fino a quel momento, non lo aveva lasciato solo, mai.
Non lo avrebbe saputo. Solo così si sarebbe salvato.

Avevano prelevato entrambi dal Palazzo crollato, trascinandoli via.
Anche lei era priva di sensi, ma il subconscio era presente, e si accorgeva di ogni cosa.

Avevano fatto un grosso errore, a imprigionarli nelle vicinanze dell’hangar.
Quell’odiato robot, alla fine, era stato la salvezza di Duke.
La sua forma di coscienza, che era rimasta deliberatamente assopita fino a quel momento, era stata riaccesa dalla necessità, dal pericolo imminente, dalle regole che gli imponevano la protezione: di se stesso, del pilota, dalla stessa vicinanza del ciondolo.
Istinto? Per una macchina: una contraddizione, un’assurdità, eppure doveva essere così. Un confine labile, tra le regole e la loro interpretazione.

Preservare la vita. Imprinting fondamentale che lo aveva indotto a sfondare l’hangar, a prelevare Duke, ad allontanarsi a velocità fotonica, senza nemmeno cercare di combattere.

I comandi del pilota, ignorati.

Grendizer aveva calcolato le probabilità di sopravvivenza in caso di scontro, ed aveva escluso la volontà di Duke.
Volontà che avrebbe arrecato danni ad entrambi.

Protezione. Preservare la vita.

Erano salvi, i suoi figli erano salvi. Lo percepiva chiaramente, erano vivi e si stavano allontanando.
Insieme ad altri sopravvissuti alla strage: Marcus, Naida, Sirius, Dogar, Lion..sentiva le loro anime, erano spaventati, smarriti, devastati dal dolore, ma vivi.

Solo questo importava ormai.

Nella stessa notte anche Altair2 era stata rasa al suolo.
Due intere civiltà spazzate via.
Quei ragazzi costituivano le uniche, deboli spore dei due popoli sterminati.
Erano la memoria, il cuore, l’anima.

Andate, ragazzi miei, e vivete, anche per noi.

Ancora una cosa doveva fare.

Sentiva la disperazione di Duke.
L’impotenza, la rabbia, lo smarrimento, il dolore, dell’anima e del corpo.
Il suo odio, per quella macchina che fino ad un momento prima era stata parte di lui, che doveva salvare Fleed, a cui aveva sacrificato tutto se stesso negli anni dell’adolescenza.
Quella stessa macchina che ora lo estirpava dalla sua terra, che lo allontanava, solo e da codardo, che non lo lasciava combattere.

Raccolse tutte le sue forze e la sua concentrazione.
Il suo amore, la sua consolazione, fluivano nello spazio profondo.
Lo raggiunse.

Gli cantò quella nenia, accarezzandolo col pensiero.
L’abitacolo di Grendizer, come il ventre materno.

In viaggio, verso una nuova vita.

Avvertì i nervi di Duke distendersi lentamente, lo sentì scivolare con dolcezza nel buio dell’incoscienza, in un sonno senza sogni, cullato dal silenzio delle stelle.

Si lasciò cadere esausta.

Ora poteva morire.
Non l’avrebbero più umiliata. Mai più.



-Fine-


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Edited by isotta72 - 2/6/2010, 22:55

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Ho dei pensieri che non condivido!

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Seconda parte di: Vegatron
Racconto divenuto a 6 mani e 3 teste(divisi in 3 corpi indipendenti.... ^_^).
Alcune idee( riviste e corrette) già presentate come racconti singoli e brevi sono rientrati nella struttura del racconto...buona lettura :)

VEGATRON II

Cap.1. Verso un nuovo mondo


Come immerso in un liquido tiepido, tutti i sensi concentrati sulla stessa percezione di calore, combatteva contro l’istinto di riprendere conoscenza: non voleva essere costretto a pensare.
Sentiva Grendizer, ma il robot non cercava il contatto, non chiedeva istruzioni.
Lo ignorava, ma questo ormai lo lasciava indifferente, non alimentava più la sua rabbia. Il corpo era stremato, e la mente non andava tanto meglio.
Aprì gli occhi e si tolse il casco, che lo faceva soffocare.
Il silenzio che aveva dentro accompagnava il fluido scivolare nello spazio.
Era accasciato al posto di comando, la vista offuscata, gli occhi gli bruciavano terribilmente.
Prese lentamente coscienza del suo corpo: era ferito. Il braccio sembrava preso a morsi, probabilmente la cicatrice era rimasta esposta alle radiazioni, aveva una gamba intorpidita e una ferita sul petto sanguinava vistosamente.
Il dolore era l’unica prova che fosse ancora in vita. Per il resto era estraneo anche a se stesso.
Una stanchezza infinita prese il sopravvento, il freddo cominciò a penetrargli nelle ossa. Si addormentò in un sonno simile allo svenimento.
Rimase privo di sensi per parecchio tempo, ma quando si risvegliò riprese una lucidità inaspettata.
Controllò l’assetto dell’astronave: sembrava tutto in ordine.
Non c’era una destinazione impostata, solo una direzione: la via più rapida per uscire dalla Nebulosa. Ma che importanza aveva?
Una bara alla deriva, ecco cos’era quel robot.
Provò un sottile piacere nel pensarlo.
“Cosa credi di aver fatto, ammasso di Gren? Il tuo dovere? Certo, come no.. hai messo in salvo te stesso e il pilota, bravo, e adesso?”
In fondo invidiava Grendizer: aveva delle regole, e rispettarle era sufficiente per stare in pace con se stesso. Lui non sapeva più nemmeno chi fosse.
La Nebulosa si allontanava, abbandonava una porzione di galassia densa di sistemi planetari abitati e colonizzati per immergersi nelle vaste distese di uno spazio in cui le possibilità di un approdo sicuro divenivano scarse.
Pochi sistemi isolati, in quel mare magno, erano ricettivi alla vita, ma in che modo poteva ancora aggrapparsi alla sua doveva capirlo, doveva volerlo…

Per quanto sentiva in quel momento, sarebbe morto di inedia o dissanguato o per mancanza di ossigeno.
Se finiva tutto presto era contento, e mentre Grendizer si preparava ad un altro salto nell’iperspazio, pensava che almeno non l’avrebbero avuto, né lui, né il robot.

Il barlume di un istante, si ricordò di come Grendizer lo facesse sentire.
Era il metro con cui aveva misurato se stesso per anni. Riuscire a dominarlo era stato difficile, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Il ricordo di quel tempo, di quello che era, gli provocò un dolore acuto.

Ma che importanza aveva ora tutto questo?

Grendizer non serviva più a nessuno, ormai.
Lui non serviva più a nessuno, ormai..
Tutto era perduto.
Vega non lo avrebbe mai posseduto, né lui, né il robot.
Era libero, per la prima volta in vita sua da quando era cominciata quella guerra maledetta.

Era libero di morire.

Fu questa consapevolezza a farlo rilassare.. non aveva più doveri nei confronti di nessuno, nessuno poggiava più su di lui alcuna speranza di salvezza, non aveva più alcuna responsabilità.
Il peso di un’intera popolazione che guardava alla sua famiglia, e a lui in particolare, come all’unica speranza di vita, si era dissolto.

Ma aveva fallito.

Un’angoscia bruciante gli attanagliò lo stomaco, tanto violenta da provocargli la nausea: dove aveva sbagliato? Doveva tenere il cervello impegnato, per non impazzire, per evitare che i demoni gli invadessero la mente.
Ripercorrere gli avvenimenti, in una prospettiva differente: lui che guardava se stesso, suo padre, Marcus, il Consiglio, le premonizioni della madre, lui spettatore di un copione di cui conosceva la trama e l’inesorabile conclusione. Ogni azione era collegata, e portava una conseguenza che conduceva in una sola, maledettamente prevedibile, direzione.
Lui, attore inconsapevole di quella grottesca sceneggiatura.

Il volto di suo padre, invecchiato di vent’anni in poche ore, nel momento in cui aveva toccato con mano gli errori commessi, quella lugubre luce rossastra che illuminava il suo viso, mentre guardava il profilo della città senza luci.

Quei ricordi gli fecero montare dentro una rabbia incontrollabile: rabbia contro il padre, per la sua ingenuità, rabbia contro la sua gente, per la loro incapacità di reagire, rabbia verso i suoi compagni, che si erano lasciati ammazzare sotto i suoi occhi, rabbia verso se stesso, per aver sperato, anche solo per un momento, di potercela fare, e per essere ancora vivo..
Un urlo strozzato gli uscì dalla gola, i pugni premuti sulle tempie, urlò tutto il suo dolore.

I demoni stavano arrivando..

Si sentì mancare nuovamente, ed affondò in uno stato di semi-incoscienza, dove il tempo e lo spazio non avevano più alcun significato: Il suono lontano della ninna nanna con cui sua madre lo addormentava da bambino, la voce infantile della sorella che lo chiamava, due labbra morbide che giocavano con il lobo del suo orecchio, facendogli solletico, l’odore del cibo che veniva dalla cucina del palazzo..le risate degli amici, una voce di donna che lo sgridava per chissà quale motivo..tutto si fondeva in un carosello ovattato, dai suoni e dai colori sbiaditi..

Si svegliò con una sete terribile, ma riusciva a muoversi a malapena: la gamba ora era immobile e completamente insensibile e continuava a perdere sangue. Bevve un po’, e guardò il computer di bordo: erano esattamente sei giorni che vagava nel cosmo.
Sei giorni…quanto tempo avrebbe impiegato a morire?
Ebbe la tentazione di spegnere i motori, di lasciarsi andare alla deriva, ma non lo fece. E poi forse Grendizer non glielo avrebbe permesso.
Doveva comunque allontanarsi il più possibile da Fleed: nelle vicinanze c’erano altri pianeti abitati e soggiogati al potere di Vega che avrebbero potuto organizzare ricognizioni per individuarlo.

Mentre fissava lo scorrere delle stelle immerse nel cielo nero davanti a lui, gli parve di sentire una musica in lontananza.

Stava impazzendo?

Si stava dissanguando lentamente, non mangiava ormai da giorni, perché lo stomaco chiuso non glielo permetteva e sentiva che il suo equilibrio stava incrinandosi.
La solitudine assoluta, interrotta solo dagli incubi, lo stavano facendo precipitare nel baratro: si accorse che stava cantando, sottovoce, quella musica che sentiva dentro.
Era una ninna nanna, di nuovo quel canto che aveva accompagnato la sua infanzia. Aveva bisogno di quelle note. Morire nel silenzio dello spazio ora gli faceva paura, scivolare via con quella voce nelle orecchie sarebbe stato molto più facile.

Cercò di bere ancora un po’, le mani tremavano senza controllo, tutta l’acqua gli finì addosso, e si accasciò di nuovo sul sedile, incapace di reagire.
Non vedeva quasi più nulla.
Dodici giorni: lampeggiava sfocato sul display della plancia.
Chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.
Non avrebbe dovuto farlo.
Aveva lasciato libera la mente per il peggiore dei ricordi, che arrivava, cattivo e crudele, insieme a tutti i demoni.
Il pianeta scuoiato vivo, la polvere in gola, il fumo, il padre che si abbandonava tra le sue braccia. Lui che urlava, senza sentire la sua stessa voce, mani rapaci che gli stritolavano le braccia, trascinandolo chissà dove, buio, e freddo. Dolore.
Si svegliò urlando, divorato dalla febbre.

In quel momento si rese conto che mentre lui si perdeva nel suo universo personale, qualche cosa era successo in cabina di pilotaggio.
Le sue braccia, il suo torace non erano più liberi di muoversi, bloccati a schienale e braccioli da una specie di guaina collegata da sottili condotti ad una porzione della plancia. Il rumore ritmico che rimbombava nell’abitacolo era quello del suo cuore.
Cifre che scorrevano rapide sul display di fronte a lui: era il sistema di calcolo della rotta. Grendizer stava lavorando sodo, calcolando,simulando, decidendo al posto suo.
Non aveva avuto sufficiente addestramento per capire quello che stava succedendo, e non era lucido, ma una delle cose che leggeva era chiara: “processo di ibernazione iniziato da due ore e venti minuti”
Decise di non opporre resistenza.
Perché Grendizer avesse preso quella decisione poteva anche immaginarlo: non aveva individuato alcun approdo sicuro raggiungibile in un tempo compatibile con la sopravvivenza del pilota.
Solo in quel momento si rese conto che la sensazione di freddo era quasi dolorosa.
Chiuse gli occhi.
Il sapore salato di una lacrima che si era appoggiata sulle labbra fu l’ultima delle cose trasmessa dai suoi sensi.



3 anni dopo



Lo scenario davanti ai cristalli dell’abitacolo era completamente cambiato. Grendizer aveva individuato una meta.

Si passò la mano sugli occhi sperando di scacciare i fastidiosi bagliori che lo accecavano. Sapeva di combattere con alterazioni sensoriali che non sarebbero migliorate senza aiuto, ma ora mancava poco all’atterraggio e doveva cercare di rimanere vigile.
Nonostante tutto era ancora vivo.
Nonostante tutto una parte di lui combatteva per rimanere vivo. Insieme a Grendizer, che lo aveva svegliato.
La sua mente lo convinse che il robot stava tremando…forse anche il robot era in preda alla febbre…
Ordinò di abbassare la temperatura della cabina, ma come già accaduto, il comando fu ignorato. Non c’era modo di eludere il sistema di cognizione della nave senza danneggiarla irrimediabilmente; però sentiva d’andare a fuoco ed il braccio destro era metallo fuso e dolorante.
I comandi proiettarono una mappa parziale del pianeta verso cui era diretto, l’emisfero in luce appariva di un blu abbagliante , con zone di terra densamente abitate in alcuni settori. Il sistema di cognizione aveva deciso di attivare la cortina antiradar: non era possibile sapere se la popolazione del pianeta fosse ostile: in assenza di informazioni, non avrebbe lanciato alcun segnale. Prendere tempo per acquisire conoscenza era in quel momento la soluzione a minor rischio.

Sfiorò una delle lingue di terra, che si apprestava ad immergersi nella notte, l’immagine si ingrandì, lo sguardo gli si annebbiò e la coscienza precipitò nel buio.
Due pulsazioni del cuore furono il tempo necessario a rallentare la velocità di rotta per l’impatto nell’atmosfera, puntare sull’arcipelago indicato, calcolare le probabilità di sopravvivenza del pilota. In mancanza di ordini diretti il compito dell’astronave era la salvaguardia della vita al suo interno; in nessun modo questa doveva essere minacciata o persa; le azioni intraprese non dovevano pregiudicarla, né l’astronave ed il sistema di cognizione racchiuso nel robot Grendizer potevano farsi danneggiare mettendo a repentaglio l’esistenza del pilota; nel caso l’intero sistema avrebbe smesso di funzionare per sempre.


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VEGATRON II


CAPITOLO 2: L’Impero di Vega

Base veghiana sulla Luna di Fleed

In piedi nella sala controllo della sua base sulla Luna di Fleed, lo sguardo fisso sullo scheletro di quel pianeta contaminato, meditava sui successi ottenuti.

Il suo dominio si stava allargando come un inarrestabile tumore all’interno della Nebulosa, soggiogando al suo volere i pianeti abitati, in un clima di terrore ed oppressione.
Nemmeno i pianeti dotati di un esercito organizzato osavano reagire.

La distruzione fulminea di Fleed ed Altair2, con lo spiegamento di tutte le forze belliche, aveva dimostrato la potenza e la brutalità di cui erano capaci.
Le sagome dei due pianeti distrutti ed imprigionati nel loro sudario radioattivo, proprio al centro della Nebulosa e sul passaggio delle principali rotte di collegamento, fungevano da monito per chiunque venisse colto dalla voglia di ribellarsi.
I superstiti dei due pianeti erano stati prelevati. La brutale uccisione dei più agitati di loro aveva sedato gli animi degli altri, catturati e deportati nei campi di lavoro. Ai suoi sottoposti il compito di decidere della loro sorte.
L’occupazione di ogni fonte energetica disponibile gli consentiva di tenere in scacco l’intera organizzazione.
Avevano paura di lui, tutti!
Dai suoi sottoposti, dai collaboratori diretti fino ai regnanti dei pianeti più lontani.
Ma perché doveva mettersi dei confini?
Una volta resa stabile la nebulosa, avrebbe messo il naso fuori di lì. Le risorse finanziarie provenienti dal suo immenso regno gli avrebbero consentito di spingere l’esplorazione e la conquista anche oltre quei confini, nello spazio infinito…

Una parola suonò come una musica deliziosa, volteggiò leggiadra nei meandri della sua mente, solleticandogli tutte le corde del suo spirito.
Si ritrovò a sussurrarla, tendendo un sorriso beffardo..

…Universo…

Una nota stonata, a ricordargli la sua unica sconfitta, il suo unico fallimento.

Grendizer!

Gli era sfuggito dalle mani, perso nello spazio infinito.
L’idea che fosse una bara alla deriva o che fosse addirittura andato distrutto non era bastata a dargli la pace.
Si ricordava ancora: era in trepidante attesa, nella stessa sala, mesi prima:

“Era ora, Ministro Zuril!”
“Ho tardato per avere le ultime conferme, Sire”
“Allora?” aveva chiesto, senza voltarsi.
“Abbiamo perso le tracce, e credo voglia dire una cosa sola. Si è disintegrato, è andato distrutto”
“Maledizione! “ aveva sibilato, digrignando i denti
“Lo abbiamo seguito fino all’ingresso di un sistema planetario che ancora non abbiamo sulle nostre mappe cosmiche. Il robot ha mantenuto la velocità fotonica per tutto il viaggio, siamo riusciti a intercettarlo dopo ogni salto nell’iperspazio, ma non potevamo raggiungerlo in alcun modo” aveva cercato di giustificarsi Zuril

Fin dal primo momento la faccenda era apparsa piuttosto grave. Avevano perso il generatore. Fleed era completamente distrutto, il team di progettazione del robot era stato sterminato durante l’occupazione dell’hangar. Il segreto della nuova forma di energia era perso per sempre.

Non passava giorno che Zuril non gli ricordasse che il Vegatron era una risorsa limitata, che ne stavano consumando troppo, che le riserve si stavano rapidamente esaurendo.
D’altra parte la sua espansione nella nebulosa costava, e parecchio. Era una questione di cui si sarebbe dovuto occupare, prima o poi.
Zuril gli aveva annunciato di avere importanti novità e gli aveva chiesto udienza.
Non lo riceveva mai molto volentieri: lo inondava con le sue nefaste profezie sul collasso di Vega, con le accuse di aver sfruttato le risorse del pianeta in maniera indiscriminata.
Trovava le sue dissertazioni noiose ed inutili.
Lui voleva soluzioni, dai suoi collaboratori, di problemi ne aveva già anche troppi.
Ma era l’unica mente degna di nota della sua truppaglia, di questo doveva dargli atto.

La porta scorrevole si aprì alle sue spalle.
Il Ministro entrò e lo salutò con un inchino, avvicinandosi al sovrano.

“Cerca di essere rapido, e di parlare semplice, Zuril!”

L’occhio bionico del Ministro si attivò e proiettò un’immagine tridimensionale nello spazio antistante a loro: un insieme di pianeti, le loro orbite, una stella luminosa al centro.

“E allora?” chiese il sovrano, già spazientito.
“Questo è il sistema planetario in cui abbiamo perso le tracce di Grendizer. Non so se si ricorda, Sire..”
“E come potrei scordarmelo? L’ennesima dimostrazione che ho per le mani un manipolo di incapaci!” Vega replicò nervoso

Zuril fece finta di nulla, aveva ben chiaro in mente il suo obiettivo, e conosceva perfettamente le corde da pizzicare. Continuò imperterrito:
“E’ grande più o meno quanto la costellazione della Croce del Sud, e con una struttura simile: una nana gialla, al centro delle orbite di otto pianeti principali.
I pianeti più interni sono rocciosi, e tra due di essi c’è un gran numero di corpi minori: sono asteroidi”
L’immagine cambiò, visualizzando una serie di corpuscoli posti a corona in mezzo a due enormi pianeti.
“ Perché mi stai raccontando tutto questo, Zuril?”
“Abbiamo analizzato la composizione di questi asteroidi, Sire. Forse rappresentano la nostra salvezza”
“Spiegati meglio” disse Vega, ora interessato.
“Sono ricchi di Superuranio” disse Zuril, mal celando la sua soddisfazione
“Superuranio.. gli esperimenti su quel minerale che avete trovato su Blu Angel!”
“Esatto, Sire. I risultati sono soddisfacenti, pare avere le stesse potenzialità del Vegatron, se non superiori, anche se la pericolosità è la medesima. L’estrazione dell’unica vena disponibile su Blu Angel ne ha causato la completa distruzione”

Vega annuì. Era al corrente della situazione. Il pianeta, ora decontaminato ed utilizzato per le colonie dei prigionieri, non era nulla di più di un immenso ammasso di rocce.

“Ma c’è dell’altro!” aggiunse Zuril, fremendo
L’immagine cambiò di nuovo: un bellissimo pianeta di un azzurro acceso si materializzò davanti ai loro occhi.
“E’ abitabile?” chiese Vega
“Non solo è abitabile, è fertilissimo, ricco di risorse, compreso il Superuranio. I due terzi della sua superficie sono coperti dai mari, ci sono immense riserve di acqua dolce ai poli, l’atmosfera è saldamente ancorata al pianeta, ma..”
“Ma?” chiese Vega
“Ma in alcune zone è abitato. Anzi, densamente popolato. Esseri intelligenti, organizzati in strutture sociali complesse, e tecnologicamente abbastanza avanzati.
Ho stimato che la popolazione attuale sia circa il doppio dei veghiani, Sire.”
“Questo non è mai stato un problema, mi pare” sogghignò il sovrano
“Questa volta, però” lo interruppe Zuril “dobbiamo gestire le cose diversamente, con maggior prudenza..dobbiamo preservarlo, non lasci guidare l’occupazione esclusivamente ai militari, loro non..”
“Cos’hai in mente, Zuril?” lo interruppe, secco.
“Sire, dobbiamo cercare un’alternativa al nostro pianeta. Presto non sarà più abitabile.
Potremmo trasferisci su un qualunque pianeta della nebulosa, ma le tensioni sono già molte, c’è la faccenda delle miniere, la riorganizzazione degli eserciti.. un’ulteriore occupazione, lo sterminio o la cacciata di un altro popolo potrebbe incrinare ulteriormente gli equilibri, e poi..”
“E poi?” chiese Vega, la faccenda lo intrigava, doveva ammetterlo..
“ e poi quel pianeta deve essere meraviglioso.. sembra..sembra Fleed! “ Zuril esclamò estasiato.
“Sire, mi dia retta questa volta, e non se ne pentirà! Quella deve essere la nostra prossima casa!”

Era ora di sferrare il colpo finale, il Ministro ammiccò:
“Ed è un’imperdibile occasione per cominciare a ragionare a più ampio respiro, mio sovrano..”
“Ho capito, Zuril. Hai la mia completa fiducia. Credi che opporranno resistenza?”
“Sono armati, Sire. Abbiamo studiato i loro apparati difensivi con meticolosità. “ Disse Zuril soddisfatto, era abituato a non tralasciare nulla.
“Il pianeta deve aver vissuto in un totale isolamento, fino ad ora. Non hanno sistemi difensivi o offensivi utilizzabili al di fuori della loro atmosfera. Devono essersi fatti la guerra solo tra di loro.”
“Quindi nulla che possa opporci resistenza?”
“ In realtà, abbiamo individuato almeno due mostri meccanici, rinchiusi in una specie di hangar.“
“Attacchiamo partendo da lì, se ce ne saranno altri, si faranno vivi… Ottimo lavoro, Ministro delle Scienze”
Zuril gonfiò il petto d’orgoglio.

“ E voglio Il Principe di Altair2 su questa missione, ritieni che sia pronto, Zuril?” chiese il tiranno con tono tagliente.

Zuril strinse i denti. Il condizionamento di quelle maledette etnie era la sua spina nel fianco. Gente forte, che non si piega, decide di spezzarsi, piuttosto. Aveva gettato al vento un sacco di possibilità di avere ufficiali di valore rendendoli dei vegetali o uccidendoli negli esperimenti.
Marcus non era pronto, lo sapeva bene, ed ammetterlo bruciava come il fuoco.
Preservare una parte della memoria e le caratteristiche principali della personalità era una sfida non ancora vinta del tutto. Nessun problema a creare automi, ma conservare le prerogative dei buoni guerrieri nemici era una sfida ancora aperta.

“Dobbiamo ancora metterlo alla prova. Non sono sicuro che regga emotivamente.” rispose infine il Ministro.

“E allora provvedi rapidamente. Ho bisogno di uomini come lui.” disse Vega liquidandolo con un rapido cenno.



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VEGATRON II

CAPITOLO 3: L’uomo caduto sulla Terra

Pianeta Terra, Giappone, Centro Ricerche

Tetsuo e Umon si fissarono per qualche secondo, non c’era nulla da dire.
Un’interferenza aveva generato un blackout totale all’osservatorio, tre secondi dopo tutto era tornato alla normalità se non per una traccia… che definiva il luogo dell’interferenza, ad una manciata di km dal centro. Per scrupolo Umon e Haiashi erano andati a controllare la zona, completamente disabitata e fitta di vegetazione.
La stranezza non stava nel segnale, nella mancanza di danni nei tronchi degli alberi, piegati e non spezzati al pari della vegetazione in una vasta area circolare, né nella geometria perfetta di cerchi . La stranezza risiedeva nell’esile figura al centro di tutto ciò, ma anche in questo caso non era la figura in se a destare sorpresa…
Tornati all’osservatorio avevano affidato il malcapitato alle cure del medico che in quel centro non aveva mai visto malanni più gravi di un mal di testa da stress , mentre ora, senza che nessuno proferisse parola , Tetsuo si rendeva conto che tutta la sua esperienza ed i suoi studi, forse servivano a poco.
Il cuore non era dove doveva essere, il battito aveva un ritmo regolare, ma diverso da ciò che si aspettava, le forme esterne del corpo erano umane, ma la temperatura avrebbe ucciso chiunque, una ferita apparentemente cicatrizzata sanguinava e poi, poi c’era il delirio in una lingua incomprensibile ed infine: dov’era la tuta che aveva tentato di tagliare?
Lo sapevano entrambi che c’erano delle procedure da rispettare, le autorità dovevano essere informate, ma i dubbi e gli scrupoli rimanevano.
Attesero, tacitamente in accordo, prima di qualsiasi azione, volevano capire …

Quando riaprì gli occhi realizzò immediatamente che non era nella sua nave. L’ambiente fatto di angoli e spigoli, era illuminato da un fascio di luce calda e geometrica proiettata da un’ apertura squadrata. C’erano sottili tubi sul suo corpo ancorati con ventose, li staccò ed un suono intermittente si attivò alla sua sinistra.
Si liberò da un filo di metallo che gli infilzava il braccio, lasciò cadere il tutto e lo guardò con raccapriccio. Provò a mettersi seduto, gli girava la testa. Una porzione di parete alla sua destra si piegò ad angolo ed entrò un uomo…

Umon lo vide seduto e cosciente, pallido come un fantasma, ma la drammatica notte era superata.
Con una febbre che aumentava, si erano visti costretti ad immergerlo in acqua fredda. Avevano così scoperto che seppure penosamente magro, era dotato di una notevole forza: c’erano volute tre persone per tenerlo fermo, ma la forza fisica non era la sola sorpresa…. Tetsuo non azzardava alcuna somministrazione di medicinali, la natura del ragazzo poneva dubbi di ogni tipo sull’esito di qualsiasi cura.

“Dove sono?” chiese Duke, senza ricevere risposta.
L’ambiente continuava a vibrare attorno a lui e non capiva se l’uomo si stesse avvicinando o rimaneva piantato nello stesso punto parlandogli in una lingua indecifrabile. Tentò di rimettersi in piedi. Nonostante la gamba gli facesse male, si sentiva leggero e capace di camminare. Ma anche quell’azione era frutto di sensi alterati

Umon lo afferrò appena in tempo, prima che cadesse,
Fu aiutato a rimetterlo sul letto da Haiashi e pochi istanti dopo Tetsuo era nella stanza che ascoltava le pulsazioni del cuore alieno.
Nessuno di loro aveva pronunciato quel termine, ma l’anomalia dell’ospite era evidente, la sua morfologia lo rendeva simile ad un essere umano, però quanto accaduto durante la notte era una esperienza che innervosiva i tre.

-Come va la testa?- Tetsuo pose la domanda ad entrambi. Un generico: “bene” fu il massimo che riuscirono a rispondere, perché nessuno di loro sapeva come giudicare il fenomeno, né desideravano che si ripetesse. Il dolore era stato improvviso, non intenso ed era scomparso del tutto nel momento in cui la febbre del ‘ragazzo’ cominciava a calare. Nessuno di loro però voleva pensare alle implicazioni di quel dolore.

L’uomo che lo aveva sostenuto gli passò un mano sulla fronte, un gesto gentile che parlava di cura. Visioni confuse affollavano la sua mente: mani che lo trattenevano e freddo che lo avvolgeva più doloroso del caldo, si era ribellato a quella condizione con tutte le sue energie fisiche e mentali. Allucinazioni . I tre che gli erano accanto in quel momento cercavano di aiutarlo, persino i suoi e.s.p. percepivano una volontà amichevole.

Un balugginio catturò l’attenzione di tutti in un istante. Istintivamente si portò la mano sulla fonte del bagliore, gli avevano lasciato la collana e si rese conto d’essere fasciato: il torace, il braccio e anche la gamba.
Non ci potevano più essere dubbi: tentavano di aiutarlo e ora toccava a lui fare un passo e farlo in fretta, Grendizer era vicino ed era capace di difendersi.
Il giorno dopo, a mente lucida una parte dei suoi timori cominciarono ad acquietarsi.
C’era da essere orgogliosi di Grendizer, il vertice della tecnologia di Fleed si era rintanato sul fondo del lago sotto l’altura su cui si trovava l’edificio, lontano da chiunque per non essere visto, per non doversi difendere. Ancora una volta nessuna azione che potesse danneggiare il pilota. Il posto in cui si trovava non era una scelta casuale ,si sentiva stranamente contento che Grendizer fosse riuscito a ‘decidere’.
In un mondo che non aveva contatti con altre specie di intelligenza, che era isolato rispetto alla nebulosa da cui proveniva, il posto in cui si trovava era l’unico in cui potesse ricevere accoglienza ed immediata comprensione della sua natura.
Quegli uomini osservavano il cielo, ne studiavano le dinamiche ed ascoltavano le voce delle stelle. La loro più grande barriera era il tempo dell’evoluzione tecnologica. Poteva ricambiare l’ accoglienza e le cure prestategli , in fondo era stato così tante volte in passato e lui continuava in modo naturale quel processo di contaminazione positiva tipico della sua gente.
Così Duke si diede un primo scopo: imparare a comunicare.


Nebulosa del Centauro, nelle vicinanze di Red Ghost

Gorman giocherellava con l’anello a croce consegnatogli pochi giorni prima da Re Vega in persona: era il simbolo dell’appartenenza alla Guardia Imperiale.
Per tutta la vita aveva sognato di ricevere quella promozione e finalmente l’aveva ottenuta.
Lui, il figlio di un umile minatore, era riuscito con la sua astuzia e con la sua determinazione a raggiungere uno dei livelli più alti dell’esercito.
Una scalata che non gli era costata poco. La casta militare era chiusa, nel regno di Vega.
Solo i figli dei militari potevano accedere all’addestramento che, dopo una dura selezione, dava l’acceso alla carriera da ufficiale. Chi non apparteneva a tale casta era considerato carne da macello, ed andava a gonfiare le fila dei soldati-kamikaze del sovrano, nella migliore delle ipotesi, o rimaneva un civile, nella peggiore.
Con l’occupazione della Nebulosa del Centauro Re Vega aveva istituito un nuovo braccio del suo esercito, la Guardia Imperiale, costituito dalla crema delle truppe dei pianeti conquistati, e guidata da ufficiali scelti. Lui ora era uno di questi. Un risultato raggiunto grazie alla sua tenacia ed al suo valore.

Ogni tanto la sua attenzione si spostava sul ragazzo accigliato e pensieroso al quale il suo sovrano gli aveva chiesto di fare da balia. Ancora non capiva il perché di tutta quell’attenzione verso l’elemento di un’etnia debole e perdente, destinata all’estinzione.
Il giovane Principe di Altair 2 se ne stava in disparte ad osservare l’immensità dello spazio, mentre il disco scivolava veloce verso la sua destinazione.
Parlava poco con gli altri dell’equipaggio e poco si confrontava anche con lui.
Gorman lo odiava profondamente: quel giovane, anche sotto condizionamento, manteneva comunque l’atteggiamento fiero di un tempo.
Ricordava con rabbia il loro primo incontro in una delle riunioni del Consiglio: lui, appena entrato per diritto di nascita e per sopraggiunta maggiore età a sedere al tavolo del più importante organo governativo della Nebulosa, spalleggiato da quell’altro sbarbatello viziato erede al trono di Fleed, lo aveva umiliato pubblicamente, accusandolo di essere efferato e senza scrupoli..
Come lo aveva chiamato?
Ora ricordava: “Macellaio!” Con quell’arroganza che gli era propria.
Lui aveva solo fatto il suo dovere, e al meglio: aveva catturato e fatto uccidere un uomo accusato di aver sabotato una centrale energetica in una delle colonie.
In un primo momento non aveva capito bene perché l’avessero processato.
Quel genere di cose veniva di norma occultato e passava nel dimenticatoio molto velocemente: l’importante era mantenere l’ordine costituito.
Quella volta, invece, Re Vega aveva ritenuto necessario esibire un capro espiatorio al Consiglio, forse per dimostrare in qualche modo la sua fedeltà ai Principi dello Statuto, e mettere a tacere le voci che una parte dei pianeti della Nebulosa cominciavano a far serpeggiare sul suo conto.

I due Principi non avevano nascosto il loro profondo disappunto davanti all’intera platea.
Vega l’Imperatore era stato costretto a ratificare la decisione del Consiglio, che votò per il suo declassamento. L’umiliazione subita gli bruciava ancora..
Quei due pivelli non avevano dovuto fare nulla per occupare la loro posizione.
Lui aveva sputato sangue ed aveva agito per il bene del suo sovrano, ma era bastato il piagnucolio di quei due mocciosi per farlo tornare indietro di anni di faticoso cammino verso la scalata della gerarchia militare.

Ora finalmente aveva la possibilità di vendicarsi. Una vendetta lenta e sottile, la peggiore che potesse immaginare.
Diede un ultimo sguardo al suo prezioso anello, e si avvicinò al giovane poggiandogli amichevolmente la mano sulla spalla.

Marcus si irrigidì.
“Cosa ti turba, giovane Principe?”
“Non chiamatemi Principe…Questa parola non ha più alcun senso per me, Comandante” rispose laconico.
“ Scusami tanto Marcus, non volevo portare alla tua memoria ricordi dolorosi” disse con finto dispiacere.

Gorman, in realtà, godeva tantissimo a leggere la sofferenza negli occhi del giovane, e amava fare allusioni attraverso riferimenti o aneddoti riguardanti la fine di Altair2.
La vendetta andava assaporata lentamente, la ruota aveva girato nella direzione giusta, ora era quel borioso ragazzone dai riccioli d’oro ad essere il perdente.

Continuò:
“Per un guerriero l’odio è fonte immensa di energia: più ne accumulerai, più dovranno tremare Duke Fleed e i suoi, quando torneranno.”

Marcus strinse i pugni:
“Maledetto” sibilò a denti stretti.
Gorman gli massaggiò la spalla
“Non agitarti Marcus, presto avrai la tua vendetta,”
“ Duke Fleed?” chiese Marcus tra i denti
“No! Non per ora, ma ci sono molti traditori Fleediani su Red Ghost: potrai riversare il tuo odio contro di loro.
Il capo dei rivoltosi è un certo Sirius, un Fleediano, appunto, un seguace del traditore Duke Fleed, e potrebbe sapere dove si nasconde”

Gorman sapeva benissimo che Sirius, poco più che ragazzino, insieme alla sua famiglia, i conti Barsic, era stato allontanato da Fleed molto prima dell’attacco finale al pianeta, e che nessuno in tutta la nebulosa sapeva dove il fuggiasco Principe di Fleed si nascondesse.
Ora quel ragazzino, destinato alle miniere insieme a tanti altri, teneva in scacco una parte dell’esercito veghiano. La loro missione era di dare manforte alle truppe di istanza sul pianeta, e soffocare nel sangue la rivolta.

“ Io lo farò parlare” Disse Marcus guardandolo negli occhi.
“ Dobbiamo prima catturarlo, e per farlo è necessario sedare la rivolta.”
“ Consideralo già fatto: non avrò pietà” strinse di nuovo i pugni “ Per Nessuno”

Gorman osservava lo sguardo del giovane, gli occhi pieni di odio e determinazione: era stata una splendida idea, proprio un colpo da maestro.
Dopo averlo catturato, lo avevano sottoposto al condizionamento mentale.
Gli avevano fatto credere che il giovane Principe di Fleed, scelto come pilota della nuova potentissima arma, si fosse fatto travolgere dall’ambizione e che, forte del controllo di Grendizer, avesse scatenato una rivolta per rovesciare il Consiglio ed impadronirsi del governo della Nebulosa.
La prima vittima della sua furia conquistatrice era stato il padre Alcaesar, barbaramente ucciso in un attacco alla capitale, poi era toccato ad Altair2.
Solo il provvidenziale intervento delle truppe di Vega aveva costretto il Principe traditore alla fuga, ma Fleed ed Altair2 erano comunque irrimediabilmente distrutti.

Non capiva bene ancora il perché, ma Re Vega teneva molto a quel bamboccio, e voleva testarne l’affidabilità. Sedare la rivolta di un mucchietto di ragazzini non sarebbe stato molto difficile, probabilmente le stesse truppe in missione sul pianeta sarebbero state in grado di farlo, ma Vega aveva ritenuto che quello potesse essere un buon banco di prova per Marcus.
Se il condizionamento avesse retto all’ondata di immagini raccapriccianti a cui avrebbe dovuto assistere, gli avrebbe affidato qualche missione più impegnativa.

“Capitano Gorman, Capitano Marcus, prendete i vostri posti, stiamo per atterrare nello spazioporto di Red Ghost”.


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4. Red Ghost

Pianeta Terra, Giappone, Centro Ricerche

Buio.
Non trovava altro modo quando lo coglievano quegli incubi. Stendersi a fianco a lui e stringerlo, bloccare le braccia con forza evitando così che facesse del male ad entrambi. In certi momenti non riusciva nemmeno a far uscire la voce, tanto era disperato.
Era una pena vederlo in quelle condizioni. Le ferite del corpo cominciavano a guarire, ma il suo stato mentale stentava a migliorare. Non mangiava e questo lo lasciava immerso nel torpore e nella debolezza scosso solo dagli incubi.
La barriera della comunicazione sembrava ancora difficile da superare, sarebbe stato necessario poter parlare con lui per intuire gli eventi, ma era superfluo per capire che genere di violenze avesse subito, bastava aver visto i segni sul suo corpo al suo arrivo. Però percepiva in quel ragazzo la volontà di scuotersi, di comunicare.
Ora sembrava essersi calmato, rannicchiato su un fianco il respiro era ancora accelerato, fece per scostarsi da lui, lentamente, per non svegliarlo, non era comodo in quella posizione, ma una mano lo trattenne, stringendolo convulsamente.
Una frase incomprensibile e non solo perché detta inciampando tra i denti, ma dal significato intuibile. Gli stava chiedendo di restare.
Asciugò una lacrima spuntata dagli occhi chiusi, e si stese di nuovo, rassegnandosi a sentire fastidiosi formicolii per tutta la notte.

Primi segnali.
Da quando aveva visto per la prima volta il tramonto sulla terrazza del Centro Ricerche, per quel ragazzo era diventato un appuntamento fisso. Ogni volta che lo vedeva uscire gli sarebbe corso dietro per chiuderlo in un abbraccio: un essere terribilmente fragile, talmente smagrito che temeva potesse dissolversi da un momento all’altro, per tornare da dove era venuto. La sua precarietà era sottolineata dall’andatura ancora incerta: si trascinava faticosamente una gamba per arrivare ad appoggiarsi alla balaustra, e lì restava finché l’oscurità non aveva inghiottito il profilo dei monti.

Dubbi
Guardava smarrito quei tre fogli pieni di asterischi.
Gli esami del sangue erano un rebus, ma Tetsuo insisteva nel farglieli con regolarità.
Li eseguiva personalmente, e nella massima riservatezza, presso i laboratori dell’Ospedale di Tokio nel quale era primario.
I test sulla compatibilità erano l’unica chiarezza emersa: era un donatore universale. Come fosse possibile, era una domanda ancora senza risposta.
Tetsuo diceva che prima o poi, a furia di campionarli, avrebbero capito quali potessero essere i valori ematici corretti per quella fisiologia. Voleva fare una mappa del suo organismo. Se avessero dovuto curarlo di nuovo per qualche malattia, almeno non sarebbero andati per tentativi.
Era la più grossa paura che nutriva il suo amico: che un semplice raffreddore potesse essere letale per un organismo che aveva sviluppato un sistema immunitario efficace verso virus e batteri che non erano quelli terrestri.
Secondo Tetsuo era possibile che avesse meno difese di un neonato.
Solo il tempo avrebbe chiarito le cose.
Per ora il ragazzo non si ammalava e le sue ferite non avevano sviluppato infezioni.
La sua esposizione alla comunità sarebbe andata per gradi, gioco forza, e questo lo avrebbe in parte protetto.
Duke si lasciava esaminare.
Il fatto che a tratti fosse curioso, che ogni tanto facesse domande, lo rincuorava sul suo crescente attaccamento alla vita, o rassegnazione, che dir si voglia.
Si stava lentamente adattando: l’impegno che richiedeva il prendere le misure con un mondo totalmente nuovo aveva l’enorme vantaggio di impegnargli la mente, evitando che elaborasse in continuazione l’accaduto. Che avesse vissuto una tragedia, questa era una certezza, ma la natura degli eventi era ancora avvolta nel mistero.
Stava imparando la lingua velocemente, come riesce a fare solo chi già ne conosce diverse. Più complicato sembrava imparare a leggere: alcuni ideogrammi descrivono esperienze, che a Duke mancavano.

Lui non aveva avuto figli, ma non perché non ne volesse: non aveva particolari preclusioni all’idea, semplicemente la vita lo aveva condotto su strade differenti e l’occasione non si era presentata, ma era certo che l’esperienza che stava vivendo fosse abbastanza simile a quella della paternità.
Aveva provato da subito attaccamento per quel ragazzo, un po’ come per i suoi collaboratori del Centro Ricerche, in fondo voleva bene ad ognuno di loro.
Ma la fragilità di quell’essere aveva richiesto attenzioni che non aveva mai dispensato a nessuno, nemmeno a se stesso, e questo aveva fatto nascere un affetto, un istinto di protezione, che rendeva il suo sentimento per quel ragazzo completamente diverso da tutto quello che aveva provato fino ad allora.
Era inevitabile, di tanto in tanto, farsi domande sul suo futuro e si aspettava che prima o poi anche Duke gliele avrebbe poste. Che identità avrebbe assunto, di cosa sarebbe vissuto, che relazioni avrebbe stretto.. era abituato ad avere sempre una risposta per tutto, ma in questo caso aveva imparato a lasciar perdere. Nessuno dei suoi canoni lo poteva aiutare.
Ora un posto lo aveva ed era con lui, lì, al Centro Ricerche, al riparo da tutto e da tutti.
Più in là si sarebbe visto.


Nebulosa del Centauro, Pianeta Red Ghost

Red Ghost, questo il nome del pianeta da quando era diventato il punto di smistamento di tutti i prigionieri politici e non della nebulosa.
Se l’inferno aveva un’area di transito, come in uno spazio porto, questa doveva essere come Red Ghost.

Atterrarono vicino alla base che i Veghiani avevano insediato nella capitale.
I militari di Re Vega avevano la capacità di erodere l’anima dei pianeti conquistati: decapitavano il comando, occupavano i palazzi pubblici, le centrali energetiche, le stazioni di comunicazione, mettendo in ginocchio i popoli che accettavano la sottomissione per sopravvivere.
Ma con Red Ghost avevano fatto di più: gli avevano scavato il cuore per estrarre il Superuranio, senza alcuna precauzione, provocando la devastazione dell’ambiente.
La popolazione di Blu Angel, questo il nome del pianeta prima dello scempio, aveva cercato di ribellarsi, e per tutta risposta le truppe del feroce sovrano l’avevano sterminata trasformando il pianeta in un fantasma.

Quando scese dall’astronave Marcus venne investito dall’odore pungente dei vapori emessi dalle stazioni di dematerializzazione. Ne aveva sentito parlare: una bella invenzione per far sparire i cadaveri, che costituivano un ingombro non da poco, e che venivano atomizzati, resi simili ad un qualche genere di vapore, poi disperso nell’atmosfera.

Lunghe file di prigionieri, in condizioni pietose, si trascinavano per l’immenso piazzale dello spazioporto, in attesa di conoscere le loro destinazioni.
Su Red Ghost, infatti, veniva fatta una selezione dei prigionieri politici e solo in quel momento si rendeva conto delle dimensioni di quel fenomeno. Lo colse una leggera sensazione di nausea, la certezza di aver già vissuto quella situazione, di aver già avuto quei suoni nelle orecchie, quell’odore nelle narici. Si riparò la bocca con la sua sciarpa azzurra.. un semplice lembo di tessuto da cui non voleva separarsi, per nessun motivo. Si rendeva conto di avere un vuoto dentro di sé, ricordava perfettamente la distruzione di Altair2, la morte dei suoi cari, poi il buio, l’oblio, una confusione scura ed ovatta da cui era emerso lentamente, e non senza dolore.
Era sicuro che quella sciarpa costituisse in qualche modo un debole collegamento con quelle tessere mancanti.
I medici dell’esercito veghiano avevano curato il suo corpo e la sua mente. Gli avevano spiegato che i traumi possono causare amnesie, sdoppiamenti della personalità, depressione.
Gli avevano dato medicine, molti farmaci per prevenire questo rischio. Stava bene quando prendeva quelle pillole.
In fondo se era in vita, lo doveva a loro. Ed ora i loro nemici dovevano essere i suoi nemici. Era l’unico modo per vendicare la sua gente, la sua famiglia.
Avrebbe ricordato, prima o poi, il significato di quella sciarpa, doveva solo cercare di sopravvivere, e avrebbe ritrovato se stesso.

“Non ti farà mica impressionare, eh, Marcus?”

La voce di Gorman lo fece trasalire, riportandolo al presente. Non rispose.
Il comandante lo condusse al Quartier Generale, installato nell’ex palazzo governativo del pianeta.
Entrarono in una delle sale principali, dove un piccolo gruppo di militari stava animatamente discutendo. Uno di loro si alzò e andò incontro ai due visitatori.

“Benvenuti in questa valle di lacrime!” esclamò allargando le braccia.

“Barendos! Amico mio!” Gorman ricambiò il saluto

“Siete venuti a darci man forte?” disse Barendos, dispensando una poderosa pacca sulla spalla
“Si, dobbiamo fare in fretta, conosci Re Vega, è impaziente.. una volta terminata la missione, dobbiamo anche prelevare i soggetti di cui ti ho parlato” rispose Gorman

“Certo, certo..Lascio a loro le questioni noiose” disse il capitano veghiano facendo un cenno ai militari riuniti attorno al tavolo ”e mentre vi accompagno vi spiego un po’ di cosette..”

“Ci siamo già incontrati?” chiese Marcus, rivolgendosi a Barendos
Quel viso gli provocava di nuovo un leggero senso di nausea, come se fosse legato ad un qualche evento negativo.
“Forse, in qualche altra vita..” rispose sarcastico Barendos..

Lui si ricordava, eccome.. ma aveva avuto l’ordine di non fare alcun cenno alla vita di Marcus antecedente al condizionamento.
Si ricordava il sottile piacere che aveva provato nel torturarlo. La tecnica era sempre la medesima: indebolire i soggetti più resistenti prima di procedere al condizionamento. Oramai avevano raggiunto livelli estremamente raffinati: smontavano le vittime pezzo per pezzo, isolandoli da tutto, persino dai loro sensi, togliendo loro dignità, dispensando dolore in modo che la paura di provarlo li spogliasse di ogni volontà. Questo permetteva di non dover ricorrere alla massima potenza del condizionatore cerebrale, che in molti casi ancora procurava danni irreparabili.

“Andiamo alle prigioni. Mentre visitiamo l’insediamento vi aggiornerò sulla rivolta alle miniere. ” disse Barendos, esortando i due ospiti con un cenno della mano.
“Avete già iniziato le selezioni per i mostri meccanici?” chiese Gorman, mentre uscivano dal Quartier Generale.

“Si, sono i soggetti più giovani. Questo ci ha complicato non poco le cose. Non hai idea del flusso di prigionieri che transita per Red Ghost.
Prima di questa novità i bambini venivano separati e non c’era bisogno di fare una selezione. Erano soggetti quasi inutili, venivano destinati alle miniere, duravano poco, ma era sempre forza lavoro. Ora invece li dobbiamo passare da capo a piedi, per trattenere i soggetti idonei”

“Idonei a cosa?” chiese Marcus.
Barendos diede una rapida occhiata al capitano veghiano, che rispose con un lieve cenno di assenso.

“I soggetti più svegli vengono destinati agli esperimenti sui Cyborg: una nuova generazione di mostri meccanici, guidati da un cervello umano.”

“Quindi addestriamo dei bambini a combattere sui mostri meccanici?” chiese stupito Marcus.

Barendos scoppiò in una fragorosa risata:

“No, Marcus, sappiamo fare di meglio! Addestriamo solo il loro cervello..
Non so cosa combinino nei laboratori. So solo che dobbiamo andare a recuperare i cadaveri e che li ritroviamo con il cranio sfondato. Prelevano il cervello, credo, e lo collegano in qualche modo all’intelligenza artificiale dei robot. Stanno sperimentando, per ora, e gli serve un sacco di materiale!”

Scoppiò di nuovo in una fragorosa risata

“Non hai idea di che traffico ci sia, intorno ai laboratori!”

Marcus non disse una parola. Era una cosa orribile, questo lo capiva, lo sapeva dentro di se.. ma non provava nulla, assolutamente nulla.. c’era qualcosa di sbagliato, in lui..

Arrivarono alle prigioni. I soldati che presidiavano l’ingresso si fecero immediatamente da parte, scattando sull’attenti e picchiando il calcio dei fucili laser per terra.

Dovevano prelevare due soggetti, con destini differenti.

I prigionieri erano incatenati a terra, in celle piccole e buie. Il primo dei prigionieri non si reggeva nemmeno in piedi.
Si chiamava Yara, era uno scienziato, da quanto gli aveva detto Gorman durante il viaggio. Quando lo prelevarono dalla cella mormorò qualche frase incomprensibile riguardo sua madre, di cui nessuno si curò.
Non potevano condizionarlo, per il timore che parte delle sue conoscenze andassero perdute durante il processo, quindi su Red Ghost non potevano fare tanto di più, per convincerlo a collaborare.
Lo avrebbero condotto nel quartier generale di Vega, sulla Luna di Fleed, e lì qualcuno si sarebbe occupato della questione.
Notò l’espressione dei suoi occhi, era la stessa di tanti altri che aveva incrociato, camminando per lo spazioporto.
Nel trascinarlo fuori dalla cella gli passò a fianco, con un gesto carico di tutta la sua disperazione gli afferrò un braccio, aggrappandosi a lui e biascicando di nuovo qualche cosa di incomprensibile. Di nuovo sua madre, solo questo capiva. Le guardie lo stroncarono in malo modo, colpendolo violentemente, perse i sensi.

“Quell’uomo è una grana, se non fosse perché il Ministro delle Scienze si è intestardito sul voler mettere mano sui suoi studi, sarebbe già passato per il dematerializzatore” disse Barendos, infastidito.

Arrivarono davanti alla seconda cella.
In un angolo, nella semioscurità, era seduta una giovane donna, rannicchiata su se stessa, il capo appoggiato sulle ginocchia.
Quando sentì aprire la porta, si girò con un’espressione terrorizzata, e si schiacciò contro il muro, implorando di non toccarla.
La riconobbe.
Era sporca e magrissima, ma era lei.

“ Naida” mormorò.

Gli occhi della ragazza si accesero in un’espressione di gioia, fece per alzarsi, ma le gambe cedettero.
Solo in quel momento si accorse che era ferita.

“Ma come diavolo l’avete ridotta?” sbottò Gorman, in preda all’ira
“Lo sapevate che era destinata alla Luna di Fleed. Quando la vedranno conciata in questo modo, andranno su tutte le furie! Maledizione!”


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Edited by runkirya - 19/1/2011, 15:56
 
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Riassunto
Al centro ricerche del Dr. Umon, Duke poco per volta comincia la sua lenta guarigione ,circondato da chi, fra curiosità e naturale solidarietà, tenta di recuperarlo sia fisicamente che mentalmente.
Markus, scampato allo sterminio della guerra e vittima di un condizionamento mentale inizia la sua carriera militare nell'inferno bellico veghiano.Sul pianeta Read Ghost rivede la sua amica Naida, ma ormai dimentico di se stesso, la presenza della ragazza gli sarà quasi indifferente.



5. Piccoli passi




Pianeta Terra, Giappone, Centro Ricerche


Il suo approccio al cibo era la cosa che più lo aveva fatto riflettere sull’ipotesi di una matrice comune nella storia evolutiva dei due pianeti.
Si ricordava la scena: il ragazzo seduto al tavolo, davanti ad una serie di ciotole. Dopo uno sguardo rapido e non troppo interessato, aveva preso quella che conteneva il riso.
Riso e pane erano state le cose che aveva mangiato volentieri fin da subito: segno che conosceva i cereali.
Riflettendoci su, alla fine la cosa poteva non stupire più di tanto: i cereali, per la loro resistenza ed adattabilità, sono uno dei vegetali primordiali, ed è plausibile che su un altro pianeta dotato di acqua ed atmosfera si fossero sviluppate specie simili.
Si atteneva comunque rigorosamente ai consigli di Tetsuo, che gli aveva imposto di introdurre non più di un alimento nuovo a settimana. Questo approccio a quanto gli aveva detto l’amico era simile al metodo di svezzamento dei lattanti e aveva il duplice vantaggio di individuare con sicurezza eventuali allergie e di far superare al ragazzo l’istintiva diffidenza verso ortaggi e frutta, che dovevano essere così diversi da quelli a cui era abituato.
Di elementi in comune tra i due mondi dovevano essercene molti. Duke si stupiva di tante cose, ma non era completamente disorientato davanti all’ambiente ed alle manifestazioni della natura.
Tutto quadrava. È l’ambiente con le sue interazioni che segna il passo dell’evoluzione degli esseri viventi. Ed una fisiologia umanoide, così simile per tanti aspetti a quella terrestre, doveva essere stata forgiata da un ambiente non troppo dissimile.

Il primo sorriso di quel ragazzo non se lo sarebbe scordato più, ne era sicuro.
Lo aveva fatto salire su quella vecchia Jeep militare. Era ferraglia: arrugginita e rumorosa come un trattore, ma affidabile come un carro armato: perfetta per muoversi su un terreno accidentato come quello dei boschi attorno al Centro Ricerche. E poi era un ricordo di gioventù.
Lo fece sedere a fianco a lui, e girò la chiave. La Jeep si mise in moto con un rombo assordante e Duke cacciò un urlo. Si fissarono negli occhi. Entrambi tremavano come budini al ritmo dei giri del motore e lui scoppiò a ridere, davanti all’espressione allibita del ragazzo: doveva essere abituato a chissà quali silenziosissimi motori dalla tecnologia avanzata. Ripresosi dallo spavento, ancora saldamente ancorato con le mani al sedile, anche Duke aveva sorriso.

Duke scese dalla jeep avvicinandosi alla riva del lago , dove l’erba era più bassa, fissò l’acqua calma e luccicante di riflessi lunari. Si portò una mano sulla collana che aveva sotto la camicia, Umon ed i suoi collaboratori mantennero il silenzio. Per la prima volta avrebbero visto il mezzo che lo aveva portato sulla Terra, per la prima volta avrebbero visto un mezzo alieno. Le conseguenze della presenza del ragazzo apparivano destabilizzanti; sapere che c’erano altre civiltà , che queste erano simili per morfologia e biologia agli esseri umani , trovarsi dinanzi ad una tecnologia avanzata capace di annullare distanze per loro impensabili… però su tutto rimaneva Duke, le condizioni in cui lo avevano trovato e gli interrogativi che suscitava e a cui si faticava a dare una qualche risposta.
Qualcosa si stava muovendo nel bacino della cascata artificiale, una debole luce cominciò a rendersi più netta , contemporaneamente una grossa pinna iniziò ad emergere, salì per diversi metri, silenziosa con l’acqua che le scivolava via senza fare rumore e senza quasi notarle, i presenti guardarono con crescente sorpresa due oggetti lentiformi che le si affiancarono, ai lati, ugualmente silenziose e sorrette da sottili bracci metallici.
Una struttura larga formava la base della pinna, Umon ed i suoi collaboratori fissarono attoniti il sorgere dell’astronave che sembrava non voler mai terminare.
Guardarono smarriti e ammutoliti il volto metallico e gocciolante d’acqua, la nave andava oltre ogni loro immaginazione, di forma circolare, enorme, di struttura discoidale, fatta di metallo, almeno era quello che sembrava a loro. Ciò che però li lasciava più spiazzati era il fatto che stesse perfettamente immobile a pelo d’acqua, leggero come un palloncino.
Una domanda sorse immediata agli uomini li presenti: come e dove avrebbero nascosto una nave del genere?

Red Ghost, Quartier generale veghiano


Si sdraiò sulla branda: era stremato, le tempie pulsavano all’impazzata, e ad intervalli regolari fitte terribili lo facevano contorcere dal dolore. Ad ogni scarica dolorosa l’immagine di quel ragazzino, il capo dei rivoltosi: i suoi occhi che vomitavano odio, un odio totale e furioso, lo sguardo truce, innaturale su un ragazzo di quell’età.
Sirius, il fratello minore di Naida, era lui il capo dei rivoltosi: un omicida ribelle di soli dodici anni.
Lo avevano catturato con l’inganno, minacciando di uccidere la sorella. Era crollato in un attimo, la fragilità del suo essere bambino era emersa in un battito di ciglia, e lo avevano portato via: il suo coraggio e la sua forza combattiva non poteva andare sprecata.
“Ha una grande forza questo moccioso” aveva detto Gorman.
“Con una chicca del genere, forse ci perdoneranno gli ammacchi della sorella, Zuril sarà contento del nuovo giocattolo!”
Marcus non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla, non voleva sapere, non voleva lasciarsi coinvolgere, si odiava per quello che aveva fatto ed allo stesso tempo si odiava per i ricordi che di tanto in tanto ritornavano per dargli il tormento.
Lui e Duke, che si godevano spensierati la natura di Altair2, in compagnia di Naida e di Sirius. Lui che faceva il cascamorto con la ragazza, il fratellino che lo canzonava ed entrambi che non si accorgevano che tra l’amico e Naida qualcosa cambiava.
L’amico..parola vuota di significato. Lo odiava, odiava la guerra e quell’infame che l’aveva causata!
“Duke Fleed , che tu sia maledetto! Pagherai anche per questo!”

Marcus trascorse quella notte completamente insonne, diviso tra gli incubi ed il dolore, nelle orecchie le urla strazianti dei ragazzini morti per mano sua.
“Era necessario, non sono io ad essere crudele, sbagliato, la guerra lo è, ho solo fatto il mio dovere, il mio dovere..“
Si ripeteva in continuazione, ma quegli occhi, l’orrore, non abbandonavano la sua mente.. Anche Sirius lo aveva riconosciuto, e nel suo sguardo, mentre le guardie lo trascinavano via, lo stesso smarrimento, lo stesso dolore, lo stesso presagio di una fine terribile ed ineluttabile che aveva visto poco prima sul viso della sorella.
Presto avrebbero portato via anche lei, verso la sua destinazione.
Si portò le mani alla testa, il dolore adesso era insopportabile, un urlo disperato ruppe la sinistra quiete della base veghiana.


“Non hai una bella cera”
Gorman guardava con espressione compiaciuta il volto di Marcus segnato da una notte insonne: provava una sottile soddisfazione nel vedere la sofferenza di quel giovane.
Scrutare ogni minimo segnale di disturbo,ogni minima variazione faceva parte della sua missione e Gorman non poteva che esserne felice, doveva portarlo al limite per verificare la tenuta psichica del principe di Altair2 e per testare l’efficacia del condizionamento.
I suoi continui punzecchiamenti, le allusioni morbosamente ossessive causavano evidenti scosse nella mente di Marcus, tuttavia il condizionamento sembrava reggere.
Gorman ritenne che fosse giunto il momento di forzare la mano.

“ Hai passato una notte insonne Marcus?”

“ Si, comandante, ma ora è tutto a posto” Rispose secco Marcus

“Ti capisco: l’atmosfera pesante e l’aria afosa di questo pianeta dimenticato da Dio possono dare l’insonnia”
Marcus abbassò lo sguardo, detestava quell’uomo, ma non riusciva ad averne la consapevolezza, era come se al suo odio mancasse qualcosa, ma cosa?

Gorman decise di affondare:

“ Potevi fare come me, giovane Marcus, e portarti in camera una delle prigioniere, magari quella Naida! Anche se pelle e ossa avrebbe fatto il suo dovere degnamente. Hai visto come se la sono sbattuta i comandanti della base: deve avere delle valide argomentazioni!”

Una fitta atroce colpì di nuovo Marcus, la testa sembrava scoppiare, immagini confuse, inafferrabili giravano vorticosamente. Il giovane si accasciò a terra.
Gorman lo osservava con soddisfazione:
“Devi essere più forte caro Marcus se vuoi servire l’esercito di Vega, forte nel corpo e nella mente: dimentica il tuo passato, gli affetti, quello che sei stato. Pensa solo alla guerra, e alla vendetta”.

Marcus riprese a respirare “ Duke Fleed, “ sibilò tra i denti.


Pianeta Terra, Giappone, Centro Ricerche


C’era ancora qualche cosa nel suo sguardo che non riusciva a decifrare, così come in alcuni suoi gesti.

Duke non si stava sforzando solo di imparare il giapponese, ma di rendere compatibile un concetto più ampio di comunicazione. Aveva la sensazione che quel ragazzo dovesse in qualche modo rallentare i pensieri, per rendersi comprensibile, così come deve fare un adulto quando cerca di farsi capire da un bambino. Ogni tanto si aiutava con la gestualità, come per darsi il ritmo giusto.

Doveva ancora metabolizzare tutte le implicazioni che quella presenza comportava.
Esistevano altri mondi abitati oltre alla Terra. Lui aveva la risposta ad una delle domande più importanti che l’umanità si poneva. Non l’avrebbe condivisa. Per il bene di quel ragazzo. Mai si sarebbe creduto capace di una simile azione.
Nessuno tranne lui, il personale del Centro Ricerche e Gennosuke Yumi sapevano dell’esistenza dell’alieno. E forse erano già in troppi.
Quel posto custodiva un segreto di proporzioni incredibili.

Con l’aiuto di Duke, avevano scaricato le mappe cosmiche dalla memoria principale di Grendizer, sovrapponendole alla porzione di cosmo conosciuto, e ricostruendo quindi la collocazione della Nebulosa.
Distanze inimmaginabili.
Non era sicuro di aver afferrato con precisione il concetto dei salti iperspaziali: l’idea dello spazio che diventa tempo, il percorrere distanze rimanendo immobili attraverso lo scorrere dei secondi, la materia che si scompone in quanti che viaggiano nel tempo. Non è cosa facile da afferrare, nemmeno per lui. Una tenue intuizione, nulla di più.
Non era stato semplice nemmeno mettere insieme tutti i pezzi del suo racconto. Non solo per le difficoltà della lingua, ma anche per l’idea stessa che quegli eventi implicavano.

Era capitato qualche giorno prima, e non gli capitò mai più , in seguito, di imbattersi in quelle immagini, né sapeva come ci fosse arrivato, una cattiva interpretazione del trasduttore, un comando sbagliato…
Gli rimase sempre un certo imbarazzo per l’episodio.
Il datario indicava il giorno 220 e Duke indossava la sua tuta completa di casco con la visiera sollevata, stava attivando delle schermate che passava velocemente ad un uomo in piedi accanto a lui. Parlavano tra loro, ma le parole, qualunque fossero, erano insignificanti.
Duke si spostò cedendo il suo posto e ad un nuovo scambio di battute i due risero. In quell’espressione i dubbi di Umon svanirono, i due si somigliavano. Si susseguirono altri frammenti, con lo scorrere del datario, in cui appariva solo Duke, con una monotona alternanza di istanti persi e osservati con una irriverente curiosità. Tornò rapidamente indietro La sequenza si interruppe, una voce alle sue spalle aveva impartito l’ordine. Daisuke si avvicinò e senza guardarlo trafficò con alcuni comandi. “queste informazioni non servono a nessuno.” Spiegò.
Umon si sentì in imbarazzo, non lo aveva sentito entrare non gli piaceva passare per indiscreto, non lo era mai stato e gli fece male pensare alla delusione che stava causando al ragazzo.

“Non mi fai domande, ma è un tuo diritto” disse Daisuke, conciliante.
“Quello che serviva per occuparmi di te me lo sono immaginato. Per il resto potevo aspettare che tu fossi pronto, mi dispiace se..”
“Non importa. Forse quelle immagini, invece, possono aiutare”
“Era tuo padre, ti somigliava, era anche lui un pilota?”
Duke sorrise e tentò di spiegare, gli mancavano i termini, ma emerse un po’ per volta il potere decisionale che aveva suo padre, il modo di rapportarsi a moltitudini di gruppi che decidevano e mediavano per interi mondi, l’inevitabile suo coinvolgimento in quelle decisioni, prese per lui al fine di scongiurare una guerra, imposizioni affrontate ed accettate con le migliori intenzioni perché prima o poi il ruolo di suo padre sarebbe stato suo…..
“Ha deciso per altri mondi, oltre al nostro, lo ha fatto per anni.”
Una smorfia comparve sul suo volto “Abbiamo fatto errori, errori gravissimi, cose che sembravano necessarie, ora appaiono, così.. assurde!”
Il rapido cambiamento del viso del ragazzo lo disorientò. Lo fece sedere, gli offrì un po’ d’acqua, e rimase ad ascoltare quel racconto sconclusionato, agitato come il bicchiere che faceva girare tra le mani, e dal significato pallido come il suo viso e mentre collegava faticosamente le immagini appena viste con le frasi spezzate di Duke lo scenario prendeva forma, lasciandolo allibito .
Era difficile concepire un genocidio, era ancor più difficile immaginare la distruzione di un intero pianeta: la devastazione di un intero sistema di mondi abitati era un evento solo vagamente intuibile, così spropositato nelle sue dimensioni, soprattutto se rapportato alla fragilità del suo unico testimone, quella scheggia impazzita sfuggita per qualche assurdo gioco del destino, quel cuore che a dispetto di tutto ancora batteva, nel petto di un ragazzo che sedeva a fianco a lui in quel momento.
Comprese in quell’istante il disagio che il suo sguardo gli aveva sempre suscitato.


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