21. (La preda)
Posò Goldrake al limitare dei campi di fiori gialli, così luminosi e allegri durante la primavera, ma tale non era il suo animo.
L’aveva incontrata proprio lì il giorno prima, eppure sembrava trascorsa un’eternità. Da quel poggio, dove già altre volte era stato per ritrovare pace e conforto, si potevano ammirare alcune cime ancora innevate e subito dietro il brillare argenteo della sottile linea blu del mare.
Com’era bella la Terra, quella che considerava la sua patria e di cui ora non si sentiva più parte: provò una struggente sensazione di estraneità che andò a serrargli la gola.
Strinse a sé Rubina, che respirava a fatica, e andò a sedersi tra i fili d’erba in attesa di quel primo raggio di sole che se la sarebbe portata via.
Posò una mano sulla fronte calda della donna.
La febbre la sta consumando…Rubina inspirò l’aria fresca del mattino cercando di raccogliere le ultime forze; si rivolse a lui con un filo di voce:
“Duke, io ti chiedo scusa per tutto il male che mio padre ha fatto a te e al tuo popolo… - fece una pausa - … io lo so che non potrai mai dimenticare, ma non pensare a me come ad una nemica…”
“Rubina, lo so che non sei come lui e ti chiedo perdono per aver dubitato di te.”
“Non potevi immaginarlo…”
Sorrise stanca; con un gesto della mano gli fece cenno di voler continuare. Sarebbe rimasta lì ore e ore, ma quel tempo non le era più concesso.
“Duke ti prego, torna su Fleed, il pianeta può ritornare ad essere quello che era… Io non potrò venire con te, era il mio sogno, ma la mia vita sta finendo qui, adesso …”
Le parole le morirono sulle labbra, soffocate da un pianto avido di quel poco di fiato che ancora le restava.
“Rubina io…”
Lei lo interruppe.
“Duke, vorrei che su Fleed sbocciassero fiori rossi come quelli che mi avete portato e che crescono in questi campi dorati, così potrai ricordarti di me e di quando in un tempo senza guerre mi dicesti che ero come un fiore rosso… questo é il regalo più grande che puoi farmi affinché qualcosa di me continui a vivere nella memoria di Fleed…”
Ancora quel ricordo, la gita al lago, lui impacciato e invece lei già così donna!
Scosse la testa e trattenne a stento lacrime che non voleva lei vedesse.
Dopo un breve silenzio Rubina riprese a parlare:
“Metti fine al più presto a questa guerra e salva la Terra dall’odio di mio padre. La Terra è bellissima…”
Un colpo di tosse la interruppe, annaspò con il respiro, sentì la fine vicina. Afferrò la mano di Duke stringendola con forza, quasi volesse aggrapparvisi in quel momento di terrore.
Calmato quell’affanno mortale continuò.
“Colpisci mio padre, non ha più difese e l’esercito è allo stremo delle forze.”
“Rubina, ma cosa stai dicendo?”
“Duke, io sono dalla tua parte!”
Era un appello disperato quello che gli stava facendo Rubina, quasi volesse espiare con la morte il fatto di essere la figlia di un malvagio.
Le prese una mano non sapendo cosa dire.
Lo stridere di due rondini alte nel cielo annunciò il sorgere del sole.
Una luce dorata spense le ultime ombre della notte.
Non c’è più tempo…Con un sussurro interrotto da lacrime e fatica, Rubina gli svelò l’ubicazione della base lunare, le postazioni di difesa e i punti dove colpire.
“… Duke… non ce la faccio più…”
Rivolse lo sguardo al sole e ne rimase accecata. Quel raggio penetrò dentro di lei trafiggendo il suo corpo e trascinando via quel poco di vita che ancora le restava. Ebbe ancora la forza di guardare in volto il suo principe, emise un gemito e si sentì risucchiare nel blu infinito dei suoi occhi.
Il soffio leggero del suo ultimo respiro si perse nella luce del mattino, accompagnato da quelle parole che non era mai riuscita a dirgli.
“… ti amo Duke…”
Il vento venuto dal mare agitò gli steli in un fruscio che sembrava voler accompagnare il suo pianto senza voce. Mille petali gialli s’innalzarono nel blu come farfalle danzanti in una vertigine di dolore, e il profumo dolce di quei piccoli fiori fu così intenso da stordirgli l’anima.
Il cuore si agitò chiudendogli la gola.
In pochi attimi il giovane corpo della donna che stringeva tra le braccia divenne sabbia, che scomparve nell’aria dorata di quel mattino di maggio, portata via dalle brezze affinché potesse tornare ad essere polvere di stelle.
Serrò forte i pugni stringendo fra le dita i ricordi del suo passato e dentro di sé avvertì aprirsi un vuoto immenso in cui avrebbe voluto lasciarsi risucchiare.
Solo, di fronte al sole di un nuovo giorno, gridò il suo dolore per i miliardi di vite innocenti che aveva visto spezzarsi ingiustamente, e il tormento della morte e della guerra tornò crudele a ricordargli chi fosse e da cosa fuggisse.
Tutto quello che avrebbe voluto dire in quel momento divenne un lungo lamento: pronunciò parole sconnesse come quelle di un folle, le sussurrò con timore, e ancora le volle trattenere per sentire quanto dolore potevano provocargli dentro.
Impietrito nel suo passato rimase lì su quel poggio irradiato di luce con l’animo travolto da antichi fantasmi.
Chi era? Era Actarus, il figlio di Procton, difensore della Terra, amante degli animali e della natura, o era Duke, Principe di Fleed, scampato all’olocausto nucleare, allo sterminio del suo popolo, ma colpevole di non aver saputo fare di più per il suo mondo?
Dov’era casa sua? Era sulla Terra che profumava di fiori, accecante nel suo brillare argenteo, o era Fleed, il piccolo pianeta verde smeraldo dai fasti imperiali e dalla tecnologia avanzatissima che sembrava sul punto di riprendersi?
E l’amore? L’amicizia?
Si abbandonò al silenzio surreale di quel poggio a picco sulle bellezze del mondo, e l’onda di sofferenza si esaurì, come già altre volte era capitato, dopo aver travolto le sue certezze.
Si passò una mano sugli occhi per togliere lacrime troppo amare, e lo sguardo fiero di un Re al ritorno dalla guerra si perse in lontananza.
Attraverso il brillare del sole che stava sorgendo gli parve di intravvedere il suo futuro attenderlo ben oltre quella meravigliosa palla di luce: quel futuro era lì, davanti a lui, oltre le stelle che ammirava durante le notti serene, ma si disse, non senza rimorsi, che non era ancora pronto ad accettarlo.
L’occhio cadde su di un papavero rosso, i petali tremuli rivolti al sole; era lì dov’era stata lei prima di scomparire. Rubina, una donna dai capelli rossi come la corolla di quel fiore, una donna che aveva conosciuto solo la guerra voluta da un padre in cui non si era mai riconosciuta. Una donna coraggiosa e disperata che per amore aveva sfidato tutti e che in punto di morte gli aveva rivelato come per porre fine al conflitto.
“… e allora sia!”
Si mise ai comandi di Goldrake che in pochi istanti divenne un punto brillante prima di scomparire inghiottito da quel cielo di cui solo lui, principe venuto da un mondo lontano, poteva conoscere l’immensa infinità.
Epilogo:Il profumo della campagna nel mese di maggio era inebriante e a lui piaceva lavorare alla fattoria in giornate assolate come quelle. Si asciugò la fronte sudata guardandosi attorno: c’erano solo prati, tanti prati, un po’ verdi e un po’ gialli, e poi c’era il ronzio delle api, così avide di nettare da azzuffarsi per un pistillo. Avvertì in lontananza il muggito e lo scampanio delle vacche al pascolo e sulle colline antistanti intravvide correre una mandria di cavalli selvaggi.
Questa era diventata la sua vita, fatta di piccoli piaceri semplici e genuini che gli consentivano di tenere a bada l’irrequietezza che lo agitava dentro di continuo.
Scrutò il cielo e pensò che il momento della battaglia finale era oramai arrivato.
E poi?
In realtà sapeva già quello che l’ultimo Re di Fleed avrebbe fatto un giorno, quando anche sulla Terra avrebbe regnato la pace: Duke era tornato più prepotente che mai perché finalmente sapeva che il desiderio di rivedere Fleed si sarebbe potuto avverare.
Eppure, nonostante quell’emozione insperata, non era felice.
Qualcosa di inatteso gli stava dicendo che lui non era più solo Duke ma era anche Actarus, e che l’uno avrebbe dovuto soccombere all’altro.
Guardò lontano nel silenzio avvolgente di quella natura dalla bellezza delicata come quella di lei, minuta ragazza terrestre dagli occhi color del miele che era entrata in punta di piedi nella sua vita.
Scosse la testa inghiottendo lacrime e rabbia, e senza voler più pensare niente intonò una melodia appresa da bambino.
Le parole, quelle, vennero alle labbra senza chiedere alcun permesso e con l’ambivalenza nel cuore affidò al vento il suo futuro, affinché per qualche istante se lo portasse via lontano…
E verrà quel giorno in cui fra le dita stringerò solo ricordi,
che come granelli di sabbia s’alzeranno nel vento d’estate.
E allora non avrò più lacrime per piangere il tuo amore,
poiché l’abbandono fu figlio del dovere.
Non vedrò più quest’alba colorare il nascere del giorno,
e non sarà più questo tramonto ad annunciare la sera.
Osserverò le stelle di un cielo a te sconosciuto,
e saranno notti lunghe di ghiaccio e cristalli.
Sarò lontano da te, piccolo e discreto amore mio,
e nelle notti agitate invocherò il nome tuo.
Il principe deve tornare al suo mondo che lo attende,
ma nel suo cuore d’uomo serberà il ricordo del paradiso.
Chiuse gli occhi per un istante trattenendo il fiato.
Era pronto per affrontare l’ultima battaglia.
-FINE-Care lettrici, cari lettori, un grande grazie per avermi seguita fino alla fine di questa ff che mi ha appassionata e che spero abbia fatto altrettanto con voi.
Grazie ancora e per gli ultimi commenti vi aspetto qui...
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