36. PERSY.Parecchi anni prima, Yokohama, S.M. International School.Luminosi, abbondanti, morbidi e ondulati capelli color del miele tagliati di netto sopra le spalle; occhi azzurri trasparenti come il mare tra gli scogli, nasino dritto e pelle candida compatta da sembrare in polvere di marmo; minuta ma proporzionatissima, sempre infallibilmente vestita con quell'eleganza che non dipende da ciò che si indossa, sinceramente la ammirava. In segreto però, perché una ragazza come quella, per accompagnarsi a una come lei, era troppo bella, troppo spigliata e a dire il vero anche troppo spregiudicata, dato che Persy beveva alcolici con la confidenza che si dà all'acqua, fumava non solo tabacco e dei rapporti che aveva coi ragazzi non si preoccupava di fare mistero. Ma quando, risata d’argento, nella dentatura candida ella mostrava i canini che di poco eran più lunghi del normale, dal suo musino di furetto decorato da un paio di profonde fossette nelle guance bianche appena sfumate di rosa, non si poteva che restare affascinati.
Con maggiore insistenza di lei naturalmente quella compagna di classe era osservata dai maschi, non solo coetanei, che a giudicare dall'espressione con cui la guardavano pareva stessero vedendo un pasticcino, ma difficilmente azzardando apprezzamenti, ché la bella greca sapeva cosa rispondere loro e quando lo faceva, nessuno più s’azzardava a riprovarci. A meno che l’interessata non gradisse, e in tal caso Persy all'ammiratore di turno rispondeva sempre con grande sicurezza, sussurrandogli all'orecchio parole che lei non sapeva cos'avrebbe dato per conoscere.
Che però con la greca non convenisse scherzare, tutti lo si era capito fin dal primo giorno di scuola, quando all'appello l’insegnate di giapponese aveva provato a pronunciare il nome di battesimo della giovane europea, involontariamente storpiandolo; al che, di quel nome stravagante qualcuno tra i ragazzi si era prodotto a fare il verso e allora metà della classe s’era messa a sghignazzare…
Finita la lezione di giapponese, durante il successivo intervallo curiosamente un capannello di studenti nell'atrio della scuola s’era radunato, per assistere a chissà cosa... In punta di piedi sbirciando oltre la cortina di spalle e di teste degli altri spettatori, alla fine le era risultato riconoscibile il compagno di classe che due ore prima, all'appello, al sentire il nome della greca aveva fatto lo spiritoso: ebbene, proprio quel ragazzo ora si poteva vedere inginocchiato sul pavimento della scuola, intento a lustrarlo con la lingua! E là davanti in piedi a braccia conserte stava la greca, a contemplare la scena con aria condiscendente e con un sorriso dolce come la crema...
Non si era mai saputo il motivo per cui quel ragazzo si fosse abbassato a tanto, fatto stava che da quella mattina in poi, all'appello quotidiano il silenzio in classe era sempre rimasto di tomba... E per restare sul sicuro, tutti da subito avevano preferito chiamare la ragazza greca col più accessibile abbreviativo di “Persy”.
- Jun?
Quel giorno, al termine dell'ora di educazione fisica, nello spogliatoio della palestra insieme al suo ristretto gruppo di selezionate amiche la greca le si era avvicinata e inaspettatamente le aveva rivolto la parola…
- Ti chiami Jun, vero?
- Io? Sì…
- Jun, vieni a pranzo con noi? Dai, non essere timida, mica ti mangiamo: al bar della mensa fanno ottimi
hot-dogs, sai?
Era verissimo, purtroppo: lei era molto timida e di ciò la compagna tanto disinvolta ovviamente s’era accorta; ma anche se il sentirselo osservare dalla greca in persona era stato tremendo, per qualche motivo, forse per la battuta del mangiarsela come un
hot-dog, alla fine aveva accettato di seguire il proprio idolo femminile fino alla super affollata mensa della scuola.
Poco dopo sedute tutte insieme ad un tavolo, sul proprio pranzo lei stava oltremodo concentrata, soprattutto in quanto a corto di argomenti di conversazione da ritenersi degni delle sue commensali, finché:
- Mm-m,... oltre che timida, Jun, – interrompendosi dal degustare il proprio
hot-dog la greca aveva nuovamente pensato di osservarle – sei pure terribilmente silenziosa. – E prima che l’interessata potesse risentirsene: - Spiegami un po’: com'è che una come te se ne resta all'angolo? - Persy aveva proseguito - Voglio dire: poco fa a ginnastica ti ho guardata bene, sai? Hai un fisico atletico da paura, e su quel tatami o come lo chiamate qui in Giappone, ti mancava solo di stenderlo, il nostro insegnante di judo.
- Scusami, non credo di aver capito…
- Oh, scusa tu, Jun: la mia pronuncia del giapponese è orrenda, ma lo so che mi hai capita – e strizzandole maliziosa l’occhio Persy aveva ripreso a mangiare, senza minimamente preoccuparsi di ricevere una risposta.
- Anch'io ti ho capita benissimo, Persy! - una tra le amiche della greca allora era intervenuta - Non è vero che tu pronunci male, e poi sono giapponese anch’io, ma mica sono così brava nel judo come te, Jun, che però non devi essere giapponese del tutto, perché hai la pelle..., be’, insomma, intendo dire... - così il discorso della connazionale si era progressivamente arenato perché, alzata la testa dal suo pranzo, alla ragazza che le era seduta di fronte gli occhi di Persy avevano mandato un’occhiata talmente fredda che alla chiacchierona era sembrato si fosse congelata la lingua…
- In effetti, cara, – sorridendo con simpatia la greca aveva confermato alla compagna appena ammutolita – la pelle di Jun è di un bel color bronzo dorato: un po’ diverso dal tuo giallognolo, non trovi? - mentre imbalsamata sulla sedia con l’aria di chi abbia appena addentato un limone, l’altra fissava Persy, senza più nemmeno azzardarsi a fiatare.
Nella stanza che condivideva con altre tre studentesse la greca dagli occhi limpidi rideva e scherzava con naturalezza, botta e risposta sempre pronte, con le coinquiline conversando in un inglese tanto fluente che a lei riusciva di cogliere solo una parola su dieci tra quelle che le compagne provenienti da varie zone del mondo allegramente si stavano scambiando...
Quanto vorrei essere come te, Persy, proprio come te, disinvolta, e con la tua bella pelle perfettamente bianca…Finché - cosa questa che aveva compreso senza difficoltà - le quattro ragazze erano passate a rivolgersi dei saluti, in seguito ai quali in tre avevano abbandonato la stanza, lasciandola lì da sola con la greca…
- Ah, che brave ragazze, vero? – appena la porta fu richiusa, in giapponese Persy aveva apprezzato – Tutte iscritte al corso pomeridiano di cucina: tutte ragazze da sposare, no? - e lanciatale un’occhiata critica: - Oh, Jun, cara, non mi dire che anche tu già pensi al matrimonio?
- Cosa? Io? No, no, io no... Anche perché... Insomma, non credo proprio che potrò mai sposarmi.
- Addirittura “mai”? E per quale ragione?? - la greca prontamente si era interessata - Su, raccontami: cosa dovrebbe impedire alla nostra Jun di potersi un giorno sposare?
E ascoltato attentamente il motivo:
- Jun, mi pare che non ci siamo. – aveva sentenziato - Non so dove tu abbia vissuto fino ad oggi, ma un po’ di mondo io l’ho girato e ti posso garantire che esistono milioni di uomini che per una come te farebbero i salti mortali...
Figlia di un ricchissimo e altrettanto potente armatore greco, al seguito del padre nella sua seppur giovane esistenza Persy aveva già avuto modo di viaggiare, domiciliando in svariati paesi del globo - Comunque, - la greca intanto s’era levata dal divanetto ove comodamente era stata distesa - non devo certo essere io a garantirtelo, piuttosto dovresti essere tu a convincertene… Vabbè, giusto per tirarti su il morale, che ne dici se adesso ci facciamo un
gleifitzoúri?
- Un cosa?? - lei in risposta aveva esclamato, terrorizzata all'idea che la greca trasgressiva le stesse per propinare un qualche genere di sostanza proibita...
- Oh, senti, come si chiama in giapponese proprio non lo so, comunque to’, prendine uno.
- Ah, ma... Un lecca-lecca?!
- Ecco, brava, un lecca-lecca. - alla clamorosa scoperta Persy aveva commentato - Ma dato che è fatto di zucchero, in nessuna lingua può suonare meglio che in greco, non trovi? Buono, vero? Io ne vado pazza, soprattutto per il gusto panna e fragola - e consumando con voluttà la tonda caramella bicolore affrancata al bastoncino - Credimi, Jun: un buon
gleifitzoúri può cambiarti la giornata da così... – e tra le dita Persy aveva ruotato per metà il bastoncino del suo lecca-lecca – a così!
...
- Adesso basta, Jun! - quella volta Persy l’aveva sgridata - Non puoi piangere per quello che dice un povero mentecatto, possibile che tu non lo capisca?
- Mi ha offesa, e quell'altro mi anche ha messo le mani addosso: che cosa dovrei capire??
- Be’, te l’ho appena spiegato: sono solo dei poveri barbagianni. D’accordo che ne è piena l’aria, però… Senti, adesso ti accompagno in bagno, dove ti sciacquerai il tuo bel faccino, così ti darai una calmata e poi torneremo in mensa insieme,
entáxei?
- No! Non ci voglio più tornare in quella mensa, mai più!
- Dai retta, - Persy aveva insistito - tra un momento noi due si tornerà in quella mensa pulciosa per sederci a un tavolo e tranquille come due angiolette mangiare il nostro pranzo, come è nostro diritto. O intendi forse darla vinta a quattro barbagianni?
Col suo fare deciso Persy era riuscita a rassicurarla al punto da convincerla a tornare insieme alla mensa, dove al loro ingresso i ragazzi al tavolo vicino alla colonna - quelli cui poco prima lei solitaria afro-giapponese aveva commesso l’errore di sedersi vicino - s’erano evidentemente accorti del suo ritorno perché, anche se il locale a quell'ora era gremito, dalla direzione dei loro sguardi si capiva benissimo di cosa stessero ridendo…
- Cosa prendi da mangiare, Jun?- noncurante Persy intanto s’informava.
- Non ho fame, se mangio ora starò male.
- Uff, come vuoi. Invece io prenderò... Minestra di verdure, ecco!
- L’altro giorno hai detto che verdure e minestra ti fanno schifo - spontanea lei le aveva ricordato.
- Oh, Jun, che brutto modo di esprimersi, una signorina come te! - dal volgare modo di dire Persy aveva preso le distanze - Diciamo che in genere non ne vado matta, ma oggi con questo freddo un bel minestrone caldo è quel che ci vuole, no?
- Okay, però fa’ presto: non voglio restare qui da sola con quelli là che continuano a fissarmi.
- Tranquilla, farò in un attimo.
Allora Persy s’era accodata in fila al buffet… Per subito attaccare bottone col ragazzo che la precedeva, il quale gentilmente l’aveva lasciata passare avanti… Stessa cosa con la persona oltre e così via, finché in meno di due minuti la greca al buffet già era arrivata a servirsi... Vassoio tra le mani eccola quindi intraprendere il tragitto del ritorno al tavolo, la sua figura minuta che continuamente le scompariva e ricompariva alla vista nel mare dei commensali, quando improvvisamente un urlo raccapricciante in sala aveva sovrastato il brusio di fondo, seguito laggiù, vicino alla colonna, da un gran trambusto nel quale anche Persy era evidentemente coinvolta: gonfiando le gote infatti la ragazza andava ripetutamente soffiandosi su una mano, per poi energicamente sventolare l'estremità, fin quando con una smorfia di dolore barcollando era arretrata la greca, finendo per andare a sbattere di schiena contro un armadio, un insegnante che interveniva a soccorrerla per scortarla, sostenendola, in direzione dell’uscita dalla mensa e lei di corsa li aveva raggiunti: - Persy, cosa ti è successo? - mentre l’insegnante esortava - Signorina, forza, l’accompagno in infermeria, lei però cerchi di non svenirmi, eh?!
- Oh, Jun, - sofferente Persy intanto gemeva - vieni anche tu con me, stammi vicina - mentre nella sala la confusione alle loro spalle proseguiva...
In attesa all'esterno dell’infermeria, il suono d’una sirena da fuori la scuola era in avvicinamento: un’ambulanza era in arrivo!? Quand'ecco aprirsi la porta della sala medica e Persy uscirne sulle proprie gambe, da sola, la mano fasciata, l’espressione mesta, ma era viva e vegeta l’amica...
- Persy, come stai?
- Abbastanza bene, Jun, anche se la mano mi brucia un po’.
- Ma cos'è successo in mensa?
- È successo che nella calca qualcuno mi ha urtata e mi ha fatto rovesciare la scodella della minestra... Per fortuna che me la sono cavata con una leggera scottatura alla mano, ma tu pensa, Jun, a quel povero ragazzo che il minestrone bollente se l’è ritrovato tutto sul cavallo dei pantaloncini da ginnastica… - e a capo chino la greca aveva scosso la testa, affranta nel commiserare: - Povero. Povero, piccolo barbagianni.
Quando il Dottor Kabuto dall'oggi al domani le aveva prospettato l’imminente trasferimento presso una lontana scuola secondaria speciale, scelta apposta per lei, per la prima volta era entrata in conflitto col genitore acquisito. Da ragazzina ex-orfana infatti, di ragioni per rifiutare quella decisione del tutto arbitraria ne aveva di molto valide: prima di tutto si trattava di un istituto assai distante dalla Fortezza delle Scienze che era diventata la loro casa, motivo per cui in quella scuola lei avrebbe dovuto trasferirsi in pianta praticamente stabile; come se ciò non bastasse, in merito alla frequenza con cui avrebbe potuto tornare a casa il Dottore era restato molto sul vago, ed ecco che per colpa di quella novità lei si sarebbe trovata di nuovo sola e indifesa ad affrontare il mondo, senza più nemmeno la possibilità di contare sul fratello adottivo che la sorte nel frattempo le aveva affiancato! In quella faccenda però più di tutto le aveva bruciato il fatto che, per contro, la scuola secondaria di Tetsuya era stata accuratamente scelta dal padre adottivo nelle vicinanze della Fortezza, in modo che il privilegiato potesse continuare ad addestrarsi ogni singolo giorno della sua esistenza. E ciò le era parso profondamente ingiusto.
Per tutte queste ragioni lei ci aveva provato, a puntare i piedi, per realizzare che ribellarsi ad una decisione del Dottor Kabuto equivaleva a finire contro uno dei materassi che negli allenamenti proteggevano lei e Tetsuya dal fracassarsi contro gli ostacoli in palestra: semplicemente ci si rimbalzava, e di fatto nulla cambiava.
Dunque a quella scuola s’era ritrovata, per una volta là scoprire che, soprattutto col senno di poi, la situazione non era così tragica come se l’era figurata: istituto di fondazione cattolica, vi aveva persino ritrovato l’usanza della preghiera mattutina cui da bimba all'orfanotrofio delle suore missionarie era stata abituata. Inoltre, di corsi per il tempo libero alla scuola internazionale ce n’era per tutti i gusti, e così si era tolta anche lo sfizio delle lezioni di chitarra. Ciò che in quell'istituto davvero contava però era la possibilità di praticare gli sport più disparati, il che era fondamentale per non perdere l’allenamento quotidiano cui altrimenti avrebbe dovuto rinunciare. Perciò si era iscritta a tre diverse discipline sportive, per coprire con l’attività fisica ogni pomeriggio della settimana, cosa che alla fine di quella trasferta triennale le avrebbe permesso di non ritrovarsi in schiacciante svantaggio rispetto all'addestrando fratello adottivo. Ultimo ma non ultimo là aveva conosciuto Persy, anche se mai era riuscita a comprendere la ragione per cui una ragazza come la greca avesse deciso di eleggere a propria amica del cuore una reietta orfana afro-nipponica come lei, che lontana da casa tra perfetti sconosciuti s’era trovata completamente spaesata e assolutamente inadeguata, gravemente affetta com'era da un invincibile complesso d’inferiorità razziale.
Ma così era andata, che grazie sia alla frequentazione della scuola internazionale sia soprattutto alla frequentazione della brava Persy, il brutto anatroccolo alla fine s’era trasformato, cominciando col mollare sandaletti e tuta da ginnastica per alla sera in libera uscita arrivare a sfoggiare, rigorosamente abbinati alla minigonna, alti stivali stringati con tanto di tacco, imparando anche a truccarsi e a laccarsi le unghie, fino a realizzare come alle offese razziste che per nascita aveva creduto di meritarsi era invece sacrosanto diritto opporsi.
Verso la fine del primo anno scolastico, una sera, a una festa in compagnia di Persy s’era resa complice di un episodio di ubriachezza molesta nei confronti di certi coetanei poco tolleranti l’umana biodiversità.
Episodio in seguito al quale il Dottor Kabuto aveva dovuto raggiungerla su convocazione della direttrice didattica, a evitarle un’espulsione dalla scuola.
Tempo dopo era stata la volta di un atto di vandalismo per il quale lei e Persy, non a caso, erano state tra le sospettate di aver nottetempo rimodellato a martellate i motorini dei personaggi che nel tale
pub le avevano abbordate con frasi offensive e discriminatorie.
E anche quella volta il Dottor Kabuto era accorso a mediare.
Pure in quell'ultima occasione tutto si era svolto secondo i piani suoi e della greca, a partire dalla vestizione in previsione dell’uscita serale, con minigonna aderente sopra i fedeli stivali alti al ginocchio, giubbotto di pelle nera aperto sulla generosa scollatura di quattordicenne già abbondantemente sviluppata, e unghie dipinte di rosso lucido così come le labbra:
- Una mora da urlo! - in stanza a preparativi ultimati, squadrandola Persy aveva gioito soddisfatta.
Poco dopo, nella via di gran passaggio, lo specchietto per allodole come sempre aveva funzionato: al primo apprezzamento osceno di stampo razzista che tra i passanti era volato, i componenti un branco di barbagianni come Persy li chiamava, presi completamente alla sprovvista dai colpi di karate di una ragazzetta, uno dopo l’altro erano crollati sull'asfalto, tipo i manichini delle esercitazioni alla Fortezza; anzi, al confronto i manichini prima di abbattersi di solito richiedevano più impegno.
Per nulla pentita dietro le sbarre della cella nel comando di polizia, immaginava bene che lì dentro stavolta avrebbe passato il resto del suo tempo prima di essere ovviamente processata e quindi condannata per aggressione e per lesioni aggravate, dicendosi che quello era l’unico destino possibile per un’orfana oltretutto meticcia e irrimediabilmente troppo scura di pelle, e angosciata da simili visioni riguardo il proprio incerto futuro, dietro le sbarre infine s’era addormentata...
E all'alba di soprassalto era stata svegliata dall'aprirsi della porta della cella. Quindi da un agente era stata scortata in una stanza arredata con una sedia vuota dinanzi ad una scrivania, sotto la luce d’una lampada puntata proprio come nei migliori film polizieschi, ma al vedere in controluce l’uomo con l’impermeabile che là su due piedi era ad attenderla, un cappello dalla tesa larga a nascondergli il volto, era rabbrividita prima di rendersi conto che il supposto ispettore o potenziale aguzzino altri non era che il Dottor Kabuto, punte dei baffi frementi e linea dei sopraccigli alterata, giunto alla caserma per pagarle la cauzione, a riscattare la figlia adottiva da guai particolarmente seri...
All'espressione truce con cui il Dottore l’aveva accolta in commissariato però, ed al silenzio ermetico nel quale il padre adottivo era andato guidando la propria berlina, forse il confronto con un magistrato sarebbe stato preferibile... Nemmeno aveva pensato quella mattina presto di essere finalmente ricondotta alla Fortezza delle Scienze; invece, una volta a casa, al cospetto del padre adottivo che logicamente esigeva spiegazioni, sorprendendosi di sé stessa s’era difesa, a testa alta e voce ferma perorando la propria causa senza minimamente ammettere di aver forse esagerato, mentre l’altro scuro in volto la fissava con occhi severi d’un nero brillante che sembravano proprio anticipare la recriminazione che a quel punto lei si aspettava, la peggiore che il Dottore avrebbe mai potuto rinfacciarle: “Mi hai molto deluso, Jun, sono pentito di averti adottata.”...
- Jun... - in tono grave effettivamente il Dottore aveva attaccato - Da tuo genitore, per quanto adottivo, sappi che mai avrei voluto arrivare a questo, ma... Ho terminato i disegni del robot per il quale tanto hai insistito. Una macchina che ti sarà possibile agganciare tramite apposito velivolo di comando, e... cosa aggiungerti? Ah, sì, due cose: innanzitutto che, per questioni squisitamente logistiche, la manovra di agganciamento sarà tutt'altro che semplice, per cui l’addestramento che dovrai affrontare sarà assai duro, e poi che essendomi ispirato alla mitologica figura della Sfinge egizia, si tratterà di una macchina di aspetto femminile
di colore, perciò risulterà a tua immagine...
Ragazza mia, prendere o lasciare.
Al termine della scuola secondaria, a quel punto le mancavano solo pochi mesi. Mesi che, con la prospettiva di iniziare l’addestramento sulla Queen Star ormai prossima al cantiere, sarebbero scivolati via velocissimi e senza più bravate (in caso contrario, in un attimo il Dottor Kabuto avrebbe cambiato idea circa il costruirle un robot). In corso di quell'ultimo anno di scuola, d’altra parte, Persy al seguito del padre aveva dovuto nuovamente trasferire la propria vita altrove, e perciò tra amiche ci si era perdute di vista...
Finché un giorno, a distanza di anni ripensando alla compagna d’adolescenziali avventure, s’era ricordata del tomo sui miti greci che nella biblioteca personale del Dottore, con la stampigliatura degli eleganti caratteri dorati sulla costa in pelle scura, si faceva notare a interrompere l’infilata dei trattati di ingegneria robotica, molti dei quali a firma di Kabuto Juzo se non direttamente di Kabuto Kenzo, e dallo scaffale quel libro aveva preso in prestito...
Mezz'ora dopo, nella privacy della propria stanza completamente assorta nella lettura, giunta ad un dato punto del capitolo che la interessava s’era interrotta, per a fior di labbra pronunciare l’altisonante nome di battesimo della cara vecchia amica che era Persefone.
Per dire a Jun, o al Dottore, o a me, qualunque cosa vi sia passata per la testa: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=330#lastpostEdited by TsurugiTetsuya - 10/3/2022, 20:12