Per la giornata delle donne, un'altra storia romana, con una protagonista davvero in gamba.
ORTENSIA Cesare era morto da due anni, la guerra civile infuriava e le casse di stato erano, com’è ovvio, vuote. All’epoca governava il Secondo Triumvirato, Marco Antonio, Ottaviano e Lepido. Occorrevano sesterzi per continuare la lotta a cesaricidi; ma dove trovarli, dato che i contribuenti erano stati spremuti e rispremuti? Si trovò la risposta: se i cittadini erano già stati salassati, bisognava batter cassa alle cittadine. Le donne, infatti, erano proprietarie di dote, anche se non potevano disporne dato che ci pensava il marito. Individuate circa millequattrocento matrone possidenti e sole, prive cioè di padre e marito che potessero proteggerle, si inviò loro l’ordine di stimare i propri beni su cui si sarebbe calcolata la tassa, pena atroci ripercussioni pecuniarie in caso di dichiarazioni false e omissioni. Addirittura, era previsto un ricco premio per eventuali schiavi delatori. La matrona romana, si sa, era allevata per essere silenziosa, docile e obbediente al pater familias; quella volta, le signore esplosero. Bisognava agire, ribellarsi a quell’ingiustizia. Per prima cosa, un gruppo di matrone andò a parlare con le donne dei Triumviri, perché intercedessero per loro. Alcune, come Giulia madre di Marco Antonio e Ottavia sorella di Ottaviano, s’impegnarono in tal senso; altre, come la simpaticissima Fulvia moglie di Marco Antonio, le cacciarono in malo modo. In ogni caso, fu un niente di fatto. La tassa incombeva sui patrimoni femminili di Roma. L’unica speranza era trovare un avvocato disposto a patrocinarle nel foro, davanti ai Triumviri: ma tutti, vedendo la faccenda come una causa persa, rifiutarono. Fu allora che entrò in scena Ortensia. Era figlia del defunto Quinto Ortensio Ortalo, grandissimo avvocato; quello che aveva chiesto a Catone la moglie in prestito, per capirci. Dal padre, Ortensia aveva ereditato la parlantina sciolta e l’intelligenza pronta, e sempre da lui aveva appreso le leggi e l’ars oratoria. Assunse la difesa delle donne di Roma, e si recò nel foro a capo di un gruppo di matrone. Ortensia sapeva il fatto suo: per i romani era disdicevole che delle donne parlassero in pubblico, quindi occorreva far capire che, se si era arrivati a tanto, lo si era fatto perché non c’era stata altra scelta. Quindi, per prima cosa informò che le matrone, come d’uso, si erano rivolte alle donne di famiglia dei Triumviri, ma non avevano ottenuto nulla. Come secondo punto, fece notare che le guerre civili avevano privato le donne di padri, mariti, fratelli e figli maschi adulti: le matrone erano quindi sui iuris, dovevano rappresentarsi da sole, non avendo più uno straccio di maschio che potesse farne le veci. Una volta fatto accettare questo – e difficilmente si sarebbe potuto negare, visto lo sterminio vero e proprio che si era creato nella popolazione maschile – Ortensia passò al punto tre: i loro padri, dando loro una dote, avevano destinato le donne a una certa posizione economica e sociale: privarle di questa dote avrebbe significato andare contro i desideri dei loro genitori, il che contravveniva al mos maiorum, le vecchie usanze, tanto care ai romani. – Le donne sono escluse dalla magistratura, dai pubblici uffici, dal comando e dalla res publica – concluse Ortensia, ormai lanciatissima – Perché allora dovrebbero pagare le tasse? Fu un momento storico: una donna aveva osato attaccare pubblicamente gli intoccabili Triumviri. Fu ordinato alle signore di andarsene dal foro, e furono costrette a sgomberare; ma allora insorse la gente in loro favore, trascinata com’era dall’arringa di Ortensia. I Triumviri dovettero cedere, anche se parzialmente: condonarono la tassa a un migliaio di donne, facendo pagare solo le quattrocento più ricche. Non potevano certo perdere la faccia davanti a delle femmine, loro! Nei tempi successivi, perché un simile scandalo non si ripetesse, i romani impedirono per legge che le donne potessero postulare pro aliis, perorare cause altrui. Ne avevano avuto abbastanza, di una donna avvocato! Preferirono quindi zittire le matrone perché, come ebbe a dire Catone l’Uticense: – Non appena le donne avranno la parità, saranno superiori. Insomma, i grandi romani, i conquistatori del mondo di allora, avevano paura delle donne.
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